Gummo (1997) è uno di quei film che ridefiniscono fin dalle fondamenta il concetto di “a bella posa”, tanto programmaticamente sgradevole da suscitare tenerezza: provinciali cattivi, menomati e mentalmente bacati che vanno in giro a fare cose turche, fastidiose e comunque prive del benchè minimo significato. Non c’è trama. A un certo punto spunta fuori anche qualche gatto morto (vero). Prendete ottantasette minuti e buttateli al vento: l’effetto è quello. Il regista (si fa per dire) di questa roba è l’allora poco più che ventenne Harmony Korine, skater problematico, degno sodale alla corte di Larry Clark (sue le sceneggiature di gran parte dei misfatti del vecchio pervertito), videomaker a tempo perso nonché, ehm, idolo di Asia Argento quando ancora se la faceva con Kirk Hammett (e andava in giro a spiattellarlo ai quattro venti). Che il ragazzo fosse un po’ disadattato, realmente e al di là dei ributtanti script “controversi” sfornati su richiesta per il pessimo Clark, lo si capisce dalla colonna sonora che ha imbastito per questo suo primo exploit dietro la macchina da presa. Korine è convinto, forse a ragione, che tutti i ragazzini della suburra americana siano minorati mentali e in quanto tali si sfondino di dischi metal e video degli Abruptum dalla mattina alla sera; poco male, se tanto serve a mettere insieme una delle compilation più improponibili di sempre della storia del cinema passato, presente e futuro. Brani di Sleep, Eyehategod, Spazz, Brujeria, Bethlehem, Nifelheim, Mystifier, i temibilissimi Namanax di Bill Yurkiewicz e James Plotkin (capaci di condensare in un unico album, il magistrale Audiotronic, tutto quel che i Sunn cercano affannosamente di raggiungere da che esistono), Absu, Bathory e perfino Burzum (prima, e ad oggi unica apparizione del Conte in una qualsivoglia soundtrack), oltre a un malatissimo e fastidiosissimo intro a base di voce filtrata (probabilmente di uno degli spastici protagonisti del film) che declama terrificanti frasette nonsense in una sorta di lascivo e perverso yodeling da far ghiacciare il sangue nelle vene. Va a finire che la colonna sonora è di parecchie tacche superiore al film stesso. Di più: è ancora oggi la colonna sonora più eccitante che potessimo anche solo provare a immaginare. Pubblicata in CD nel 1998 e immediatamente finita fuori catalogo (se ne trova qualche esosissima copia usata su ebay di tanto in tanto), ha come unico difetto l’omissione di brani di Brighter Death Now, Buddy Holly e Roy Orbison, oltre che di un secondo pezzo di Burzum – la ragione probabile è che già così si sforavano abbondantemente i 78 minuti (durata massima consentita dal formato). Korine dimostrerà di saperci fare con il successivo Julien Donkey Boy (1999), girato aderendo alle regole del Dogma, ancora decisamente programmatico e gratuito ma allo stesso tempo non privo di un certo spettrale magnetismo (c’è anche Werner Herzog nella parte di un dispotico padre di famiglia – l’avreste mai detto? – completamente andato di cervello), oltre che intriso di sincero dolore e partecipe senso dell’umana pietà.
io ce l’ho originale con tanto di cartolina ufficiale del film
E’ la classica pellicola della cui conoscenza si vanta l’indie di provincia. E solo per l’uccisione dei gatti, attività sovversiva piuttosto quotata tra gli alternativi disadattati figli di papà.
Bella merda, anzichenò.
esatto.
Film di merda come il “regista”.