Times New Viking @ Covo, Bologna (7/10/2009)

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Era da un po’ che non mi facevo un concerto infrasettimanale al Covo, non ricordo quando è stata l’ultima volta, di solito la programmazione è limitata alle sole serate di venerdì e sabato (dove i live sono quasi una scusa, un antipasto alla selezione musicale che seguirà) e appena entro capisco come mai: il locale è praticamente deserto, giusto un pugno di irriducibili e qualche frangetta spaesata, probabilmente a disagio senza la calca del weekend. I Times New Viking in Italia hanno attecchito poco; nonostante una copertina e qualche articolo sui fogli che contano, e un moderato chiacchiericcio telematico sulla minuscola scena shitgaze di cui sarebbero incontrastati alfieri (praticamente un incrocio tra garage, noise e rock psichedelico, il tutto registrato a bassissima fedeltà), i loro dischi rimangono una faccenda per pochi. Forse a ragione, dal momento che il trio di Columbus, Ohio non è più riuscito, almeno a parere di chi scrive, a replicare la bellezza e l’efficacia dell’esordio Dig Yourself (2005), disco che, pur non aggiungendo alcunchè di nuovo e men che meno di “rivoluzionario” al genere e alla scuola di pensiero da cui prende le mosse, costituisce senza dubbio ascolto piacevolissimo e coinvolgente, capace di evocare lancinanti nostalgie per chiunque fosse uso rovinarsi irreparabilmente i timpani con il noise più storto e la lo-fi più marcia in anni in cui eravamo tutti più giovani e più felici. Ed è esattamente con questo spirito che saluto l’ingresso dei Times New Viking sul palco: da loro mi aspetto niente meno che un attentato ai padiglioni auricolari, una sconsiderata overdose di decibel da far sanguinare il naso, digrignare le gengive e spedire la calotta cranica e tutto il suo contenuto dritta dritta su Saturno. Verrò accontentato, anche se non nel modo che speravo: i volumi sono assordanti e l’intensità delle onde sonore è tale da mettere a durissima prova la sopportazione delle mie orecchie comunque destinate a un futuro nel segno dell’Amplifon, ma la cosa finisce qui. Il gruppo ha deciso scientemente di non avvalersi di tutta l’effettistica che ha usato in studio (per “non complicarsi la vita” e “non avere troppa roba da portare in giro in tour“, mi diranno loro stessi più tardi), rinunciando quindi a ogni tipo di distorsione che – e la cosa emerge in maniera perfino brutale – era quel che rendeva la loro musica degna di essere ascoltata; quel che resta sono sciapissime canzonette garage pop che qualsiasi idiota con la chitarra al collo e il baffetto sbarazzino saprebbe tirare fuori in cinque minuti, e il fatto che suonino a volumi altissimi non basta a renderle interessanti. Quando tra una canzone e l’altra vado al cesso e mi accorgo che quel che stanno facendo sul palco si sente molto meglio a tre stanze di distanza ho la conferma definitiva che a ‘sto giro alzare il volume non ha significato nulla: è solo più fastidioso. Fortuna che al banchetto del merchandising hanno una stilosissima maglietta con su scritto FUCK YOUR BLOG in rosa a caratteri cubitali, e la cantante Beth Murphy è molto gentile e molto paziente e continua a sorridermi anche quando le dico che il concerto non mi è piaciuto perché non c’erano le distorsioni. La memoria torna spontaneamente al 2004, concerto degli Hunches (era tra l’altro lo stesso giorno: 7 ottobre), Covo ugualmente semivuoto, tuttora una delle dimostrazioni più radicali di melodia applicata al rumore puro a cui abbiamo mai assistito. Altra storia.

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