Monarch @ Scalo San Donato (Bologna, 4/11/2009)

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Vedere i Monarch dal vivo per lunghi anni è stato per me poco meno di un pio desiderio, qualcosa di molto vicino a una fantasia irrealizzabile, tipo vincere al Superenalotto, diventare Re del Mondo o svegliarsi una mattina con il cazzo più grosso. Fantasia formatasi intorno alla fine del 2005, quando rimasi letteralmente folgorato dal primo album del collettivo di Bayonne, un mostro di un’ora e mezzo per tre fluviali insostenibili maceranti composizioni di terminale funeral-sludge-doom con innesti ambient e noise rimescolati in una produzione tra le più fangose e putride fosse mai dato sentire, qualcosa di – letteralmente – mai udito fino ad allora, e finalmente divenuta realtà quattro anni più tardi grazie a un temerario mini-tour europeo che ha graziato l’Italia di ben tre date (le altre erano ad Arcore e Torino); nel frattempo ci sono stati uno scioglimento e una reunion, tre split EP (rispettivamente con Elysium, Moss e Grey Daturas), altrettanti album (sempre in tirature risibili, spesso in vinile colorato, comunque con due pezzi per botta e copertine manicomiali), un EP di cover dei Discharge (…) e perfino un best of (Dead Men Tell No Tales, del 2007, il titolo è preso dal pezzo che apriva il disco di debutto). Basso profilo (il loro demenziale sito ufficiale non esiste più da anni), umiltà e fede incondizionata all’etica underground, i Monarch sono tra i segreti meglio custoditi della scena doom mondiale. La sala dove vengono fatti suonare è adeguata alla loro musica, uno scantinato buio e umidissimo nelle viscere dello scalo merci di via Larga; per l’occasione è stato imbastito un mini-festival con un cartellone che è una gioia per chiunque ami farsi sfasciare i timpani con criterio. L’inizio a orari antelucani mi impedisce di godere delle performance di Jagannah e Iron Molar (comunque già visti e sentiti in più occasioni: spaccano il culo e probabilmente ne parleremo presto); ad accogliermi trovo invece l’impressionante muro del suono eretto dai Malasangre, ormai da un decennio tra le realtà italiane più consolidate in ambito stoner-doom. Dalla psichedelia viaggiosa e spinellante dell’esordio A Bad Trip To… (autentico tesoro nascosto di cui sarebbe auspicabile una ristampa quanto prima) la loro proposta musicale si è lentamente evoluta verso un doom acido, altamente depressivo e saturo di basse frequenze, con attitudine black metal, vocals salmodianti e occasionali inserti di samples, una roba ideologicamente molto vicina a quell’inclassificabile UFO che fu From the 13th Sun, il disco dei Candlemass che i Candlemass stessi vorrebbero non fosse mai esistito. Loro citano Nightstick, Skepticism, Burzum e Clandestine Blaze tra le principali influenze, e c’è da crederci. La qualità del suono questa sera gioca però a loro sfavore, i volumi elevatissimi e un’amplificazione che è quel che è rendono i timbri eccessivamente sgradevoli e la permanenza in sala un autentico tour de force; dopo parecchi minuti di tempie pulsanti e gengive tremanti alzo mio malgrado bandiera bianca e risalgo al piano terra dove sento tutto benissimo con il pavimento che vibra sotto i piedi.
Il set dei Monarch è breve ma circostanziato e pienamente appagante: un solo brano, finora inedito, di quarantacinque minuti, che nasce dal nulla e cresce inesorabilmente in intensità e volume montando lentamente tra funerei drones e stentorei colpi di batteria, con la cantante Emilie che, ripiegata su sé stessa, si prende tutto il tempo necessario per far lievitare la tensione fino ad esplodere in una serie di urla belluine opportunamente effettate, comunque sommerse dall’opprimente cappa sonora che tutto avvolge e tutto inghiotte. Una progressione ipnotica, stordente e malvagia che riporta alla mente il minimalismo più ferreo quanto le meraviglie del (finora) unico album dei Teeth of Lions Rule the Divine, un’incursione nei luoghi più inospitali della mente che entra nel sangue e lascia spossati, debilitati, inerti al suo termine.
Chiudono gli Akronia con il loro arcigno industrial-ambient marziale, tetro e negativista, un reiterato assalto al sistema nervoso punteggiato da inquietanti vocals femminili che accrescono l’unicità e la peculiarità dell’atto, la sonorizzazione ideale per incubi notturni invasivi e difficili da dimenticare.

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