IL DISCO
Rilasciato, bisogna dire con scarso tempismo, nel pieno dell’estate 2005, Mistelteinn è tuttora uno dei dischi più tristi che possiate mai immaginare. Ne sono autori due emeriti sconosciuti di Bonn, Stefan Otto (pelato con barba) e Thomas List (moderatamente capelluto), il primo alla voce (stentorea), entrambi alla chitarra (acustica), come prassi nitidissima e cristallina; si fanno chiamare Nebelung, che – si peritano di farci notare – significa “Novembre” in tedesco antico, tra le principali fonti di ispirazione vantano “le foreste, le foglie che cadono, la pioggia e l’inverno, il bosco, la notte“. Non ingannino tali dichiarazioni, di naïveté assoluta, né tantomeno i testi (rigorosamente in madrelingua) che vanno avanti a furia di citazioni da Nietzsche, Baudelaire e Von Hofmannsthal, o la copertina anonimizzante, con un bel tronco d’albero in primo piano e uno sfondo color verde vomito che perfino un ragazzino che smanetta a caso con una copia crakkata di Photoshop si vergognerebbe; il disco è veramente lacerante. Aiutati da una serie di ospiti ora al violoncello, ora al violino, ora al flauto, ora all’accordion (che è un modo meno plebeo per dire “fisarmonica”), i due dipanano una brevissima serie di pezzi (cinque escludendo l’intro che peraltro non è nemmeno indicato nella tracklist) assolutamente commoventi per ispirazione e rigore, dalla semplicità disarmante (pochi e ripetuti come tanti piccoli mantra gli arpeggi in ogni brano), pari almeno all’intensità delle sensazioni sprigionate. In pochi sono riusciti a dire così tanto con così poco; tra quei pochi ci sono sicuramente i Forseti del povero Andreas Ritter, a cui i Nebelung senza alcun dubbio devono ben più di un po’. Ma la sofferenza, il dolore, il senso di autentica e insanabile disperazione di cui queste poche indifese tristissime canzoni sono portatrici e generatrici è innegabilmente autentico, è reale, e fa male. Pericolosissimo accostarsi a Mistelteinn se si è anche solo lontanamente presi male; dura meno di mezz’ora, ma è di quelle mezze ore che non si dimenticano.
PERCHÈ NON STA NELLE CLASSIFICHE DI FINE ANNO
Innanzitutto è uscito in tiratura ultralimitata (la prima stampa, 500 pezzi, è andata presto esaurita; ne è seguita una seconda di 300. Copie del disco sono ora facilmente reperibili via mailorder, ma a prezzi non esattamente popolari). Poi: il genere di cui i Nebelung fanno parte, il neofolk schiettamente e fieramente europeo, è materia di cui alla critica che conta non potrebbe fregare di meno. Totalmente ignorato (quando va bene), irriso o comunque guardato spesso dall’alto in basso con un bagaglio di pregiudizi grosso quanto l’Everest, da sempre è appannaggio esclusivo di pseudonazi con gravissimi problemi comportamentali o monomaniaci totali che conoscono a menadito ogni singola uscita e ignorano beatamente tutto il resto. Salvo rarissime eccezioni il neofolk non è ancora stato “storicizzato” a dovere, e probabilmente non lo sarà mai.
PERCHÈ STA QUA DENTRO
Perché vale la pena ascoltarlo. I primi due pezzi, Heimsuchung e Abel und Kain, sono tra le cose più belle e struggenti incise negli ultimi dieci anni. E poi, tolto il respingente cantato baritonale in tedesco, le similitudini con suoni e personaggi più potabili sono più di quante siate disposti a credere. Voglio dire, le stesse cose le fa Steve Von Till con Amber Asylum ospite e tutti (giustamente) a sborrare nei pantaloni; le fanno due crucchi dissociati e restano patrimonio per soli nazistelli particolarmente introspettivi. Questo non è giusto.