Dopo Calculating Infinity (che è un disco che non dovrebbe mancare in ogni casa che si rispetti), la rovina. Da allora, ogni disco dei Dillinger Escape Plan fa più schifo del precedente. Ma poi, la merda che si sono messi a fare: una robaccia indescrivibile che al confronto gli Asia degli anni belli o gli Yes di 90125 sono sobri e minimali, un indigeribile beverone tra svisate math core dei mongoloidi, metallaccio pomposo di ultima categoria e figure di crossover generalismo nate già decrepite, scariche di onde radio a cazzo di cane, ogni tanto qualche tastierata reboante tanto per gradire, il latte alle ginocchia travasa, sullo sfondo i latrati di uno scimmione anabolizzato povero cristo. Fanno talmente schifo al cazzo i loro dischi che ormai si aspetta quello nuovo con la perversa curiosità di misurare quanto ancora avanti abbiano spostato l’asse del pessimo senza possibilità di redenzione, del paradossale, del tragicomico, del gratuito. E, puntualmente, ogni nuova uscita non delude: è talmente brutto Option Paralysis, talmente votato al disastro completo e totale con decisione e convinzione incrollabili che la sua intrinseca schifezza diventa al di là del bene e del male. Ormai non è nemmeno più tristo cabaret involontario; è un rotolarsi scientemente nei propri stessi escrementi mentre un cieco sta praticando una lobotomia col trinciapolli. Non ci sono più parole e abbiamo esaurito da un pezzo lo sbigottimento. Seguirli, a questo punto, diventa puro atto di fede.
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