Beinhaltung (due pezzi rispettivamente di ventinove e venticinque minuti) e Dach (un unico pezzo di cinquantasei minuti suddiviso per assurde ragioni di praticità sul CD in quattro tranche distinte) catturano tre diverse esibizioni del trio composto da Phil Durrant (violino), Thomas Lehn (sintetizzatore analogico) e Radu Malfatti (trombone) rispettivamente a Graz (Beinhaltung 1), Bremen (Beinhaltung 2) e Ulrichsberg (Dach) tra il 1996 e il 1999. Il problema è che, nei suddetti CD, non è inciso praticamente niente: un sibilo, uno sbuffo quasi impercettibile, uno scricchiolio probabilmente ottenuto dallo sfregamento infinitesimale dell’archetto su una corda a caso, una scarichetta di onde radio praticamente inudibile (a questo dunque servivano i sintetizzatori analogici), il tutto intervallato da lunghissimi minuti di silenzio assoluto. “Dach” in tedesco significa tetto, infatti il CD si apre con la registrazione della pioggia che batte – per l’appunto – su un tetto. Ma è questione di attimi, e di nuovo si torna al silenzio quasi totale (in effetti a un certo momento qualcuno tra il pubblico tossisce, qualcun altro – forse alzandosi – fa scricchiolare la sedia) tra un soffietto, uno sfrigolio, ogni tanto un fruscio. Tra la fine degli anni novanta e l’inizio dei duemila si è parlato tanto di microsuoni, e questa è tra le degenerazioni più evidenti di tanto belare: dischi con su inciso il nulla o quasi, oltretutto spesso e volentieri realizzati da musicisti fino ad allora rispettabilissimi. Il grado zero dello scrutare il proprio ombelico. E c’è pure chi ci cascò (oltre al sottoscritto): senza bisogno di stare a scomodare il Gran Visir degli scoreggioni David Toop, su un numero di Blow Up del 2001 l’altrimenti lucido Etero Genio delirava, a proposito di Dach, come di uno dei CD più belli ascoltati questo mese. Il fatto che praticamente chiunque sulla faccia della terra potesse realizzare “dischi” del genere è diventato evidente alla kritika ke konta nel giro di qualche anno; Malfatti nel frattempo aveva inciso il temibilissimo Futatsu assieme a Taku Sugimoto, pubblicato nel 2003 a nome Raku Sugifatti (prego notare il sense of humour da neurodeliri). Stessa solfa dei precedenti, solo che il disco qui è doppio e il primo CD è interamente occupato da un solo “brano” di un’ora e dieci. Roba da esperimento nazista sul sistema nervoso, senonchè l’anno successivo Malfatti è già “redento” via Whitenoise, una collaborazione con quel cialtrone di Mattin che frutta due pezzi di venti minuti l’uno il cui contenuto corrisponde esattamente al titolo del programma. Stasera Malfatti suonerà ad Angelica e mi è sembrato giusto rispolverare questi simpatici sottobicchieri in ricordo di tempi nefasti. Lui è un gigante.
Gesù gesù…