Un tipo tranquillo.

 
Casi umani esultate, è uscito il nuovo album di Burzum. Undici anni di silenzio discografico, nel mezzo una detenzione, una mezza evasione, qualche libercolo sicuramente lucido, pacato e progressista, sopra ogni cosa una crescente passione per l’agricoltura. Accantonata senza rimpianti di sorta l’imbarazzante parentesi “ambient” degli ultimi dischi per sola pianola (al gabbio non gli lasciavano tenere nessun altro strumento), torna a dedicarsi al black metal grezzo e angosciante e ventoso e unico al mondo che faceva più che egregiamente prima di finire al fresco, e improvvisamente sembra di essere stati catapultati di nuovo nel 1993. Lui è una specie di totem per ogni dissociato con più o meno seri problemi relazionali che si rispetti: io ascolto Burzum = io sono necroelitario, sprezzante, superiore alla massa, odio la gente, amo solo la natura, sono pagano, ho capito bene Nietzsche. Qualsiasi emarginato dalla società, meglio ancora se metallaro, trova in Burzum la sua rivincita: un ammazzacristiani nazo e misantropo stimato e rispettato, famoso, in qualche misura perfino temuto, con un posto nella storia della musica già suo di diritto e un pugno di dischi di indiscutibile valore all’attivo. Praticamente un semidio. Il Leonardo da Vinci dei deboli e dei reietti. Nell’ormai notorio documentario Metal: a Headbanger’s Journey viene definito (dal regista stesso) il musicista metal più famoso nel mondo, e probabilmente è proprio così: da decenni l’uomo è diventato, nell’immaginario collettivo, uno stereotipo più o meno sgradevole (a seconda di chi e come ne parla), il paradigma del musicista metal tarato. Una macchietta che in fin dei conti nemmeno fa più ridere tanto si rivela, in un secondo momento, al tempo stesso surreale e brutale. Pochissimi conoscono i suoi dischi ma chiunque sa chi egli sia. Continuerà a venire tirato in ballo come argomento bizzarro per svoltare nelle conversazioni brillanti, o totalmente a sproposito come esempio negativo per stigmatizzare in un sol colpo il metal e chi lo segue, questo nulla potrà cambiarlo. Più interessante segnalare che lo scorso 4 dicembre (brr brrr brrr) è uscito in America il documentario Until the Light Takes Us, dove a giocare la parte del leone è una lunga intervista raccolta tra le spesse pareti del carcere di Bergen a un Conte disinvolto e baffuto che con invidiabile scioltezza e acume discetta sulla scena black metal norvegese dei tempi belli.

One thought on “Un tipo tranquillo.”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.