Dennis Hopper (1936 – 2010)
Un cancro alla prostata si è mangiato questa mattina l’uomo che, dopo William Burroughs, più di ogni altro è passato attraverso tanta di quella droga da mandare al Creatore legioni di elefanti rimanendo (relativamente) lucido. Grandissimo attore quale che fosse il film in cui era coinvolto, diseguale come regista, capace al tempo stesso di capolavori assoluti (The Hot Spot, probabilmente il noir americano più sottovalutato di sempre), deliri allucinanti da mandare a casa piangendo il Roger Corman del periodo “acido” (Fuga da Hollywood) e sciocchezzuole da offesa alla dignità umana (Una bionda sotto scorta). Negli ultimi anni aveva continuato a passeggiare con kinskiana nonchalance tra la B più bieca (10th & Wolf, con un cast tra l’incredibile e l’improbabile che pare assemblato tirando i dadi), special guests caricaturali (La terra dei morti viventi) e il vecchio cinema d’Autore (il pazzesco Palermo Shooting, dove tra l’altro ha riallacciato i contatti con il vecchio amico Wim Wenders), finendo anche invischiato – probabilmente per ragioni puramente alimentari – in qualche telefilm del cazzo di ultima generazione. Celeberrima la sua battuta, ai tempi del secondo mandato di George W. Bush: “Ho votato per lui, ma non ditelo troppo in giro. Non è un buon momento per essere americani, questo“. Una litrata di whisky pregiato e un paio di piste di colombiana lunghe quanto un braccio sono il modo migliore, forse l’unico, per celebrare questo grandissimo UOMO.