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Un malore improvviso ha portato via una delle facce da gangster più perturbanti della storia del cinema passato, presente e futuro. Corso Salani era la versione italiana di Robert Davi, solo (ancora) più emaciato, scavato e divorato dalla vita, nonchè decisamente più versatile rispetto al canagliesco, unilaterale doppelgänger oltre l’oceano; con quei crateri a punteggiargli le guance e le tempie poteva essere il più spietato dei boss mafiosi come un eroinomane all’ultimo stadio che ha appena effettuato uno scippo a regola d’arte e ora vuole solo spararsi in vena il frutto delle proprie fatiche. Ogni minimo particolare del suo volto giacomettiano raccontava delle infinite sfumature di chi vive costantemente ai margini della legalità, un delinquente fatto e finito, comunque sempre ambiguo e pure in qualche modo perversamente inquietante. Eppure, come attore, ha quasi sempre fatto altro. Titanica la sua interpretazione ne Il muro di gomma di Marco Risi, con cui rinnova il sodalizio nel successivo Nel continente nero; in entrambi i casi incarna personaggi positivi. Un veloce passaggio nel giallo da paperback nel bellissimo e dimenticato La fine è nota (l’unico bel film di Cristina Comencini), una comparsata nell’insipido Cuori al verde di Giuseppe Piccioni poi più nulla a livello mainstream, mentre prosegue con passione e rigore inalterati l’attività di documentarista e sceneggiatore attento, puntuale, sensibile, al tempo stesso discreto e schietto. Ricompare protagonista nel notturno Il vento, di sera (2004), rottoinculo devastato dalla morte accidentale del compagno, costretto a vagare senza requie in una Bologna deserta e lunare. Poi la consueta transumanza in progetti più o meno oscuri, più o meno centrati (da Louis Nero a “Un caso di coscienza“, dal bruttissimo Piano, Solo all’italo-rumeno Mar Nero), fino alla morte che lo sorprende la sera del 16 giugno mentre passeggia sul lungomare di Ostia.