A dare uno sguardo alla sua pagina Imdb in questi giorni, si legge che Michael Rooker è coinvolto in dodici progetti (undici film e un TV-movie) di prossima uscita. Ne ho aperto uno a caso: Matadors, con Stephen Lang, Kiele Sanchez e David Strathairn, regia di un vecchio leone della B più fiera, quell’Yves Simoneau che più di tre lustri fa mi traumatizzò con l’efferato e prevaricatore La Notte della Verità (thriller estivo da cinema di periferia come non ne fanno più, con il pisellante Peter Gallagher e una scombinatissima Jamie Lee Curtis da brividi freddi lungo la schiena). Ne apro un altro: Hypothermia, scritto e diretto da tale James Felix McKenney. Questo è in post-produzione quindi le informazioni ancora scarseggiano, ma scorrendo parte del cast non posso fare a meno di notare la presenza di Blanche Baker, terrificante matrigna sadica nell’insostenibile The Girl Next Door. E ancora: Atlantis down, temibile epopea sci-fi da sala parrocchiale deserta, dove Rooker veste il doppio ruolo del padre e dell’alieno (…); Super, ritorno al cinema di James Gunn dopo lo strabordante bagno di sangue citazionista di Slither (che pure vedeva Rooker protagonista assoluto); Bolden!, con l’inquietante Jackie Earle Haley, e il personaggio di Rooker che si chiama “Pat McMurphy”, come Jack Nicholson in Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo; financo un film intitolato Pure shooter (dove Rooker interpreta il “coach Miller”), che se l’uomo avesse fatto il regista invece che l’attore sarebbe la storia della sua carriera racchiusa in due parole.
Michael Rooker è il mio attore preferito, da sempre. La folgorazione è stata immediata, da quando nella torrida estate 1992 sognavo Henry: Pioggia di Sangue (ne avevo letto un’estasiata recensione sulle colonne di cinema del “Punitore“), impossibilitato alla visione perché il film era vietato ai minori di 18 anni. Henry (che nel resto del mondo era uscito sei anni prima, nel 1986) è la fulminante partenza in pole-position del semiesordiente Rooker (prima soltanto una particina nel pilota di Crime Story, dove – manco a dirlo – impersonava il “luogotenente”): corporatura massiccia, mascella quadrata e uno sguardo che perforerebbe il titanio, Michael Rooker pare uscito per direttissima da una striscia di Chester Gould. I primi anni vedono le quotazioni dell’uomo in costante, vertiginosa ascesa: dopo qualche comparsata di riscaldamento (in Poliziotto in Affitto, con Burt Reynolds e Liza Minnelli, e La Luce del Giorno di Paul Schrader), esplode nel vibrante di sdegno antirazzista Mississippi Burning, a fianco di Gene Hackman e Willem Dafoe. Nel 1989 è in The Edge, TV-movie del figlio di Elia Kazan, e nel giro di pochi mesi lavora con Michael Mann (Sei Solo, Agente Vincent), Al Pacino (Seduzione Pericolosa) e addirittura l’überintellettuale Gosta-Gavras (l’invero avvincente nonchè piuttosto serrato Music Box – Prova d’Accusa). Ancora sulla breccia nei due anni successivi: in Giorni Di Tuono è il rivale di Tom Cruise, ‘Rowdy’ Burns, personaggio intriso di chiaroscuralità gay come soltanto Val ‘Iceman’ Kilmer nell’analogo Top Gun. Nel mastodontico JFK di Oliver Stone è addirittura co-protagonista, braccio destro del titanico e arringante Costner (sopraffatto dai nervi, mollerà poco prima della tirata di ventisette minuti sulla pallottola magica): è il picco massimo della sua carriera, in termini di popolarità e rispettabilità mainstream. Ma non è il suo gioco. Non è quello il suo campionato. Lo dimostra nel 1993, compiendo le sue prime scelte davvero radicali, scegliendosi le compagnie che più gli aggradano: nello specifico, George A. Romero per La Metà Oscura (Rooker è il collerico sceriffo che dà la caccia al mefistofelico Timothy Hutton), Renny Harlin per l’action ad alta quota Cliffhanger (futuro evergreen dei videonoleggi prima e di Italia 1 poi) e il sovrano della B di un certo livello George P. Cosmatos (Cassandra crossing, Cobra, Leviathan) per lo sgangherato Tombstone (assieme a eroi del tenore di Kurt Russell, Val Kilmer, Sam Elliott e Powers Boothe per dire soltanto i primi che mi sono venuti in mente). Ma il turning point vero si compie nel 1994: è infatti il personaggio di Jonah Mantz, l’irascibile poliziotto corrotto protagonista del fondamentale Uno Sporco Affare, a garantirgli l’immortalità nella produzione da videonoleggio passata, presente e futura. La sua interpretazione carica di rabbia repressa troppo a lungo diventa istantaneamente un marchio di fabbrica, tale da accostare Rooker, nell’immaginario collettivo, a bestie da distretto del calibro di Ray Liotta, Brian Dennehy o David Caruso (altri golden boys del videonolo con precedenti mainstream più o meno duraturi – Liotta lavorò perfino con Scorsese). Una scelta di campo talmente radicale che, da allora in poi, gli “straight-to-video” e la televisione rimarranno il suo esclusivo pane quotidiano: Rooker attraverserà il resto dei novanta e gran parte del decennio da poco conclusosi zigzagando amabilmente tra Z-movies più o meno beceri e praticamente qualsiasi serie televisiva che implicasse poliziotti, avvocati o quant’altro (CSI, JAG, Numb3rs, Thief, Crossing Jordan, Law & Order, ma pure fulminee incursioni in Tremors, Lucky, Stargate SG-1 e un sacco di altri), fino all’inaspettato recupero da parte del grande Doug Liman in Jumper che è storia recente.
Da sempre e per sempre il più grande eroe della serie B assieme soltanto al mitico J.T. Walsh, autentico corpo votato alla marginalità da VHS come ormai, purtroppo, non ne esistono più.
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