VIA
La funambolica cantautrice polistrumentista maceratese arriva alla prova del terzo difficile album con la fama di uno dei primi della classe dell’indie italiano. Verso i vent’anni avevo smesso di ascoltare solo metal e punk e rockettone e avevo deciso –essendo UN SACCO IN VOGA in quegli anni- di iniziare ad apprezzare il pop caleidoscopico e/o a trecentosessanta gradi, perché era giusto e dava idea di espandere le concezioni del crossover a un contesto meno caciarone e più etero. Se fosse uscito in quegli anni un qualsiasi disco di Beatrice Antolini avrebbe fatto un sacco di legna. Poi s’è scoperto che il livello di caciaronaggine era lo stesso del crossover metallone anche con la gente che cantava, e che in nome del completismo ad ogni costo la gente stava compiendo crimini sempre più efferati e crudeli. Così il pop caleidoscopico s’è estinto senza lasciare più o meno tracce, a parte la depressione di Beck e qualche altro triste avvenimento collegato. In tutto questo andare e venire io mi sono definitivamente rotto le palle di aspettare che dietro tanto disciplinato virtuosismo senza frontiere (stavolta estremamente groovy, tra l’altro, brr) Beatrice tiri fuori una canzone che valga la pena di ascoltare, e m’impegno fin da ora a non ascoltare il quarto
STOP
Non si capisce nulla di quello che scrivi,vergognati, impara a scrivere.
uhm sì, lo sto facendo.