Lo spirito continua (col cazzo).
(M.C.)
A leggere fanzine e riviste fino a una quindicina di anni fa (forse anche meno) sembrava che fino alla fine degli anni ottanta la gente che si ascoltava hardcore e quella che si ascoltava thrash metal si menasse da mattina a sera e non ammettesse all’interno di nessuna delle due cerchie gente che suonasse l’altro genere. Ora, io sono nato nel ’77 e ho messo le mani sulla mia prima rivista di musica nei primi anni novanta, e insomma quella fase me la sono ciucciata in differita sentendone parlare al presente, come di una guerra ancora sanguinosa ma che andava lentamente estinguendosi (e che rivisse poi un breve lampo di splendore verso la fine degli anni novanta con il ritorno in auge dell’heavy metal puro, una cosa che ai tempi sembrava iper-logico odiare per partito preso e oggi guardiamo con rispetto e devozione). Paradossalmente, quasi tutti i dischi che mi stavo mettendo in casa erano a metà tra le due cose. Verso metà anni novanta ti andavi a spulciare una distro e ti ritrovavi con decine di nastri in saccoccia che avevano tutti quanti la copertina fotocopiata in bianco e nero, nomi/titoli/tracklist che contenevano sedici volte le parole Corporate o Capital o Agenda e impianti musicali sostanzialmente impossibili da distinguere se non per un paio di caratteristiche marginali (questi suonavano senza il basso, quelli avevano due cantanti di cui uno con la voce da bambino pazzo, questi qua i pezzi non superano mai i sedici secondi). Nel mio modo di pensare l’ho sempre chiamato crust o grind o thrash, in modi più o meno intercambiabili e senza pormi il problema in merito al fatto che avesse senso definirli sulla base di cosa o cosa no. Ogni tanto guardo a certi dischi che non sapevo di possedere e li rimetto su con un misto di tenerezza ed esaltazione, tutto sommato lo stesso atteggiamento che riservo a Come into my Life di Gala e ai primi 883. Sta di fatto che se togliamo gli Slayer, gli SOD e il death floridiano questa roba non è MAI andata di moda e non ha permesso a nessuno di quelli che la suonavano di comprarsi una villa con piscina. Nella maggior parte dei casi non han fruttato manco i soldi di un innaffiatoio, e quelli della scena che non si aggirano ancora senza denti per posti occupati alle sei del mattino biascicando frasi fatte contro il capitalismo, hanno probabilmente accettato l’offerta del padre e si sono messi a smerciare divanetti o prodotti per l’agricoltura. Mi piacerebbe sapere di anche solo UN SINGOLO caso documentato di punk pestati a sangue da metallari, ma francamente non è una cosa che mi ha toccato manco da lontano.
Dall’altra parte c’è da dire che l’atteggiamento di scostante fastidio di questo genere ibrido da TUTTO quel che succede al mondo, gli ha permesso di sopravvivere senza colpo ferire a tutte le contromosse i fascisti siano riusciti a mettere in campo, ivi compresa l’ipersaturazione di qualsiasi altro genere di punk e metal sconfitto dall’essere andato di moda anche solo per sei mesi o aver trovato qualcuno che ci buttasse dentro soldi grossi, anche in preda a raptus di palese insania mentale. Il più evidente risultato finale è la cosiddetta sindrome di Shane Embury, vale a dire l’idea che i Napalm Death da Enemy of the Music Business siano sempre e solo “una boccata d’aria fresca” e l’ultimo baluardo di un’attitudine profondamente arcòr stile già che abbiam fatto trenta facciam trentuno ma con copertina in bianco e nero. L’esempio di Utilitarian, per cui il mio collega (e più grande scrittore di musica mai esistito al mondo) m.c. spendeva parole pesantissime mentre il resto del mondo faceva a gara a chi leccava più il culo, è abbastanza emblematico. Dall’altra parte dello spettro sonoro, che in questo caso specifico è comunque la stessa identica musica, abbiamo gente che suona in gruppi blasonatissimi et smerciatissimi, nei limiti di quanto vengano smerciati i gruppi oggigiorno, dispostissimi ad appendere il chiodo al chiodo per mezzo minuto e mette insieme una superband di orientamento crust-nichilista rispettando tutte le regole del genere e buttando fuori un disco “povero” che non sappiamo a che titolo continuiamo a riascoltare in ogni nuova forma (si distinguono dagli altri gli Scum di Casey Chaos, che per il fatto di avere Casey Chaos in formazione suonano molto più storti e sconvolti della media di questi progetti). Nella fattispecie oggi siamo qui a parlare di tali Primate, in formazione Kevin Sharp e un membro dei Mastodon di quelli che non contano (vale a dire NON il batterista) e solito profluvio di suoni millelire sparati alla velocità della luce (la quale comunque ultimamente sta rallentando molto). Un disco autoprodotto esaurito in poco tempo, ora ristampato in extended version da Relapse, e la stessa tristissima sensazione provata con L’ALTRO side project di Sharp, i dispensabilissimi Venomous Concept, che quando ti rimetti in carreggiata tutto fa brodo a patto di sembrare sempre incazzato e vedere a occhio nudo la fine del mondo. Non sono i primi e non saranno gli ultimi, ma prima o poi avremo il coraggio di metterli in fila contro un muro, urlare vaffanculo e tornare felici all’ufficio paghe dove lavoriamo quasi tutti.
come into my life è un pezzone, cazzo.
Perché tutte le volte che vengo su Bastonate mi devo sentire in colpa perché “Utilitarian” mi piace molto? Trovo sensato il discorso sulla “sindrome di Shane Embury” e una certa intercambiabilità di parte dei riff. Detto questo, gruppi al settantacinquesimo disco in questo stato di forma ne vedo pochi.