Pagare la musica #4

(Hamilton Santià è un ragazzetto che ogni tanto mi scopo)

 

Pagare la musica?

Sì, ma.

Ma cosa?

Non come potete pensare.

Ecco che adesso arriva l’apologia del ladro.

Ladro? No, dai, non cadiamo nel solito luogo comune. Perché dovrei spendere soldi per dei dischi inutili? Alla fine avere la casa piena di dischi sarà bello, ma ti occupa un sacco di spazio e per di più di roba che ti sei pure dimenticato di avere. Io, per dire, ho dei dischi di personaggi che non ricordo e non so nemmeno perché.

Non credi sia un problema tuo?

Certo, sono tendenzialmente un compulsivo. Ma se pensiamo sempre che dall’altra parte vada tutto bene non andiamo da nessuna parte.

Scaricare non è come rubare?

No. E’ come copiare.

E copiare non è come rubare?

Semmai è come fregare.

E allora?

E allora non credi che ci si dovrebbe fare tutti qualche domanda? Non solo noi che scarichiamo, intendo.

Tipo?

Tipo perché anziché fare ecologia continuiamo a produrre quintalate di musica che non conta un cazzo fatta da gente che poi dal vivo non è in grado di suonare in maniera convincente? Non dico ‘spaccare’, ma almeno non fare schifo. La verità è che siamo circondati da roba che ti dimentichi dopo due minuti e che poi magari scopri che ha già all’attivo tre dischi? Ma ti pare? Alla fine qualcuno un po’ di pulizia la deve pure fare. E se non arriva dall’alto, arriva dal basso.

E quindi tutte le tue belle storie sul mercato in collasso e il download che ci liberera tutti?

Non ci siamo ancora arrivati. Ora la saturazione permette ancora di portare avanti le cose. Ma non so quanto potrà durare. Ma se si pensa davvero che si possa tornare indietro, beh, auguri.

Quindi?

Quindi noi continuiamo e continueremo a scaricare. Magari sentendoci anche in colpa. Ma continueremo a contribuire in qualche modo. Andando ai concerti, tipo. Che poi, se proprio vogliamo dirlo. Noi ci facciamo tutte queste storie perché l’Italia sta nel terzo mondo pure per quanto riguarda le questioni del diritto d’autore. Per esempio, un servizio come Spotify è perfettamente legale. C’è la pubblicità. Ti assicuro che rompe le palle, eh, però poi ti puoi ascoltare la musica. Gratis.

E come la metti con la questione del fatto che avere accesso a una grande quantità di roba senza pagare la porta a essere considerata, appunto, senza valore? Non credi che pagare il disco si anche dare al disco un valore che si traduce in impegno e serietà nell’ascolto?

Nessuno dei due atteggiamenti sono necessariamente automatici. Alla fine, lì, è un problema di cultura, di approccio all’ascolto e di predisposizione. Altrimenti pure i giornalisti che ricevono i dischi gratis, sotto sotto, deprezzando il bene, lo considerano senza valore. E non mi pare succeda così. Alla fine chi viene a mancare non è l’ascoltatore forte, che se non paga il disco va comunque al concerto (pagando) dove o compra il disco o compra altro (magliette, poster). Manca l’ascoltatore debole. Quello che compra un disco all’anno e per una canzone sola.

 

E l’esperienza ‘tattile’?

Maddai.

Sul serio, il feticismo del vinile non ti interessa?

Sinceramente non più. Ma questa è solo la mia opinione. Rispetto molto chi ancora si danna per mettere in piedi etichette indipendenti. Ma ascoltare la musica in digitale mi rende un ascoltatore peggiore?

Beh, insomma.

Perché?

Perché la musica è pensata per essere un’esperienza di tipo multisensoriale. E dietro l’artwork di un disco c’è tutto un lavoro e un mondo che ha bisogno di andare avanti.

Sono d’accordo. Ma questo non ha niente a che fare con la musica. Semmai con una concezione più estesa di industria culturale che ci porta molto molto molto lontano. Prendi Tony Wilson. Quando ha fatto il singolo di ‘Blue Monday’ ha architettato un gatefold costosissimo per il 12″. Concettuale. E quello che vuoi. Ma quanti alla fine se ne saranno accorti? E cosa avranno capito? E, soprattutto, cosa se ne saranno fatti? Stringi stringi. E come se non bastasse, la Factory ci perdeva pure dei soldi per ogni disco venduto. Pazzesco!

E l’industria discografica in senso stretto?

Ecco, quello è il vero problema. Il problema dei posti di lavoro. L’unico. Perché l’attuale crisi del mercato discografico alla fine distruggerà l’industria. Non certo la musica.

Ma non ti pare di essere riduzionista?

No. Non credo di essere un riduzionista. Credo semmai che le cose siano sempre più complicate di come appaiono. E ora vogliono apparire tipo “buoni/cattivi”. Ma non è così. Ci sono dei motivi per cui il gratis ha preso piede. Ottimo. E sono motivi sia di convenienza, sia di ‘risposta’ a una determinata situazione. E alla fine secondo me è molto più utile ragionare su come costruire qualcosa dal nuovo stato delle cose che non lamentarsi e demonizzare. Ma voglio dire che non mi sto giustificando. Io credo davvero che il gratis e la musica in un futuro – anche se non so quanto prossimo – celebreranno un matrimonio fruttuosissimo.

Stai cambiando discorso.

Hai ragione, ma ‘Blue Monday’ è un grande pezzo. Artwork o non artwork. Non credi che alla fine il problema sia questo? La pirateria esiste anche al cinema. Eppure al cinema ci si va ancora. Ripeto: non dobbiamo essere sempre e solo noi a porci delle domande. E poi, mi ripeto un’altra volta. Steve Albini ha detto che il download aiuta a diffondere la musica che veramente ci piace. E non sarò certo io a contraddirlo.

… ci sono molti punti che, per ragioni di spazio e di taglio non si possono toccare qui. Ma qualcosa mi dice che il dibattito continuerà.

 

 

4 thoughts on “Pagare la musica #4”

  1. vi seguo con affezione ma commento raramente. Sottoscrivo ogni parola, dal dire basta ai feticismi alla necessità di guardare avanti piuttosto che cercare di salvare il salvabile (che non si merita di essere salvato, ecco).
    ciao

  2. E’ vero, Steve Albini lo ha detto. Dice che in Polonia non hanno mai venduto un solo disco ma ai concerti c’era il tutto esaurito.

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