Pagare la musica #5

(R. Amal Serena, sostenitrice recentemente acquisita. Per lavoro (tra le altre cose) gira l’Italia e fa foto ai gruppi che suonano. Per hobby si lamenta del suo lavoro.)

 

Ok, chiaro, qui si parla di pagare la musica.

Ma voglio rigirare il concetto. Lo faccio sempre, non ve la prendete.

La domanda implicita è: quanto mi costa la musica?

In media tanto, ma a volte troppo poco.

Quando mi hanno chiesto di sprecare bit nella rete per raccontare quanto costa seguire i gruppi in giro diventando la loro paparazza-stalker personale, all’inizio pensavo di raccontare quanto costano gli strumenti del mestiere, ottiche, corpi macchina e così via, oppure come si fa a non spendere un centesimo per i pernottamenti e le birre extra.

Ma quella roba è noiosa.

Ma noiosa davvero, eh.

Noiosa quanto guardare un testa a testa tra una lumaca morta e un bradipo impagliato.

Perché per quanto io sia genovese da una dozzina d’anni, o giù di lì, sono abbastanza incapace di parlare di soldi con chi mi ingaggia. Una mezza sega sull’argomento (e alcuni altri).

Perché pare che l’unico prezzo da pagare sia quello dei fogliettini di carta colorati e delle monete, che a volte mi sembrano quelli del Monopoli e non euro veri. Nel senso che a volte mi fregano e mi pagano con dei soldi finti. Diciamolo.

Devo essere io che ci vedo male, visto che spesso e volentieri il rapporto soldi/sbattimento è ridicolo: i cachet posso essere molto bassi e le richieste non per questo meno alte.

Per quanto mi riguarda la musica costa per lo più chilometri, tempo e ore di sonno, che sono tutti fattori difficili da quantificare, soprattutto in tempi in cui si trovano in giro più macchine fotografiche pro-capite che scarpe senza buchi nelle suole.

Se mi fermo un attimo a pensarci, dal novembre del 2011 ho percorso in Italia, via terra, circa quindicimilaottocentosettantaerotti km al seguito di circa una ventina di band diverse (con una forte fedeltà ad alcuni gruppi italiani). Sempre approssimando per difetto, ho preso almeno una sessantina di treni (la maggior parte regionali e quasi tutti a lunga percorrenza), ho rimediato una ventina di passaggi in furgone e ho camminato a piedi con il vento che mi tagliava la faccia e i piedi nella neve non so per quanti chilometri.

Ah quanti compagni ho visto cadere nell’impresa! Ma voi che ne sapete dell’Assedio di Stalingrado, eh? Che ne sapete?! Ah no scusate, ho sbagliato racconto.

Dicevo: per mesi non ho passato più di tre, quattro notti nella stessa città e a un certo punto ho iniziato a svegliarmi chiedendomi in quale lingua dovessi dire buongiorno (visto che non è vado a zonzo solo con gruppi italiani) e cercando di ricostruire dalla visione della finestra dell’albergo in quale posto mi ritrovassi. Tipo Edward Northon all’inizio di Fight Club, insomma. Il problema è che gli alberghi spesso sono delle oasi in tangenziale e si sa, le tangenziali sono un po’ tutte uguali, per cui alle volte ci si mette un po’ a ricostruire dove ci si trova e con chi (i “perché” i “come” e i “quando” sono sempre relativi).

Ma questo sarà sicuramente colpa del collo di bottiglia provocato dalle limitate capacità di elaborazione dati del mio unico, svogliato neurone.

Nell’arco di questo anno e di questi quindicimilaottocentosettantaerotti chilometri ho mandato due volte in assistenza il 18-70 (l’ottica che si porta addosso la maledizione dei Gazebo Penguins), ho fatto pulire tre volte lo specchio, ho mandato in assistenza uno dei due corpi macchina (vecchi e praticamente di recupero) che mi porto appresso, per non parlare di quella notte in consegna delle foto dei Notwist quando una tazza di camomilla è finita sulla tastiera del mio mac a Milano e nello slancio ha colpito anche il sigma 70-300, l’iPhone della mia commare, la mia agenda e la Wacom. Uno strike da centinaia di euro di danni e un’imprecisata mole di bestemmie.

Insomma se pensiamo che sto arrotondando per difetto, che delle circa 40 date che ho fatto in giro nell’arco di un anno, escludendo quelle seguite nella mia città che sono più o meno altrettante, l’acufene e il costo dei tappi per le orecchie ed escludendo dal computo tutti i quei (rari) concerti a cui partecipo per il puro amore per la musica, i festival di fumetto e le presentazioni dei libri… Se pensiamo che Sidney dista da Genova circa sedicimilaseicentoerotti chilometri e che io li ho percorsi TUTTI via terra senza prendere un solo aereo e senza uscire dai confini dell’Italia, direi che la musica per l’annata personale che va da novembre 2011 a novembre 2012 mi è costata un viaggio di sola andata in Australia. Mi sa che ho sbagliato tutto. Vaffanculo alla musica indipendente.

20 thoughts on “Pagare la musica #5”

  1. L’agendina effettivamente è una moleskine… ché altrimenti che razza di fighetta alternativa sarei? I wayfarer si mangiano?

  2. Non riesco a non pensare che se questo articolo fosse apparso su un altro sito (che non fosse Vice) sarebbe stato demolito su questo blog da qualche collaboratore.

  3. in effetti ascrivibile un po’ alle nuove groupie del nuovo indie italiano! ahahah dai lo dico con simpatia! ne conosco un paio e sono brave ragazze!!!! “non mi piace il cazzo vai via con quel cazzo!” uahuahah muoiooo

  4. Credo che sia il pezzo più inutile della rubrica. Non volevo darvi l’idea di sapere davvero di cosa stiamo parlando, e nemmeno fare troppe polemichette inutili da gente che non c’ha una vita.
    Comunque assomiglio così tanto a una groupie che un sacco di gente è convinta che io c’abbia centimetri di minchia nelle mutande. -___-

  5. Ma cosa vuol dire “Non volevo darvi l’idea di sapere davvero di cosa stiamo parlando”? Scusa ma hai avuto una opinione che hai esposto, tuo diritto pieno, e ti stiamo dicendo che ne pensiamo, nostro diritto di lettori; 1) accetta e argomenta oppure 2) fottitene e non rispondere, ma NON una roba alla “ma sì tanto era per ridere non ci ho messo impegno”. E’ avvilente sia per te che scrivi che per noi che leggiamo,così hai fatto perdere tempo a tutti. Almeno l’atteggiamento passivo-aggressivo vorrei non vederlo su Bastonate. Almeno quello.

  6. Ok, ok. Io non sopporto le polemiche da internet. Ancora meno quando sono molto sterili. Un paio di mesi fa scrissi un pezzo proprio su questo argomento, sul pagare la musica, pagare i fotografi, rispettare il lavoro delle persone. È un post che per gli standard di quello che scrivo ha girato un po’, sicuramente tu non l’hai letto e io non te lo spammerò qui. Che non mi sembra proprio il caso.
    Passivo aggressivo adesso. Né passivo né aggressivo. Era più un tentativo di dare delle risposte elusive e da bionda. Visto che mi lamento tanterrimo nel post e visto che mi lamento troppo poco di come è complicato essere femmina. Tipo che ti pubblicano un post su bastonate solo perché sei femmina e fai le foto e c’hai i tatuaggetti. Mica perché avresti qualcosa da dire! Sia mai!
    Ci ho messo impegno a scriverlo e ci ho messo impegno nel cercare un registro particolare nel scriverlo, perché sono convinta che le bastonate puoi darle anche con il sorriso in faccia. Che si possa dire qualcos’altro oltre al solito discorso di pagare i fotografi, dell’importanza di foto fatte in un modo invece che un altro.
    Non volevo annoiare parlando di professionalità e altri cazzi.
    Volevo solo rigirare il punto di vista.
    Della fatica fisica che fanno anche quelli che non suonano e si prendono molti meno complimenti per quello che fanno.

  7. Ecco, adesso posso o non posso essere d’accordo con quanto dici nell’articolo (di solito se ti esponi su un blog con i commenti aperti la gente poi è capace che ti va bene ti fa domande o ti va male ti trolla ma cmq un confronto lo cerca) ma di sicuro leggere che difendi il tuo pezzo mi porta molto di più a pensare che tu stia agendo in buona fede, per quanto continui a non piacermi il tuo punto di vista, rispetto alla risposta da Facebook/Milano is burning di prima.

  8. Sai… quando il tenore dei commenti diventa grottesco, al livello di “non mi piace il cazzo, vai via con quel cazzo” non credo di dover rispondere necessariamente come se mi fossi ingoiata un professore di Lettere a colazione. Mi sento anche di dare una risposta accazzo™. Così per dire. Poi se mi chiedi delle cose “nel merito” di quel che si è scritto, come hai fatto dopo, io rispondo, nel merito. Non difendendo o cosa, semmai spiegandoti un non detto. Dove tu puoi o non puoi essere d’accordo. Non è di certo una guerra. Sono solo opinioni, e nemmeno così fondamentali.
    That’s all.

  9. E qui non posso dire niente perché hai ragione. Avrei dovuto scrivere direttamente il secondo commento o ancora meglio invece di fare il bullo dire direttamente cosa non mi è piaciuto. Facciamo che riprovo parlando seriamente:
    sono rimasto colpito negativamente da questo articolo. Non sarebbe stato più interessante la versione con fatti e dati tecnici di cui hai parlato in un commento precedente? A questo punto sarei curioso di avere un link. Soprattutto, cosa volevi dire con questo pezzo? Quale sarebbe la lamentela di cui parli? Lo chiedo perché a me è sembrato un pezzo “simpatico” e vuoto stile GQ che non mi sarei mai aspettato su questo sito. Premesso chiaramente che non so chi sei e certamente un articolo su internet non è rappresentativo della personalità di qualcuno. Tutto quello di cui sto chiedendo è riferito a questo articolo e non alla persona, anzi mi scuso per aver fatto il pirla prima ed essere uscito dal sentiero di quello che doveva essere la conversazione.

  10. Il fatto che tu mi faccia queste domande implica che io ho fallito il merito di quel che volevo scrivere.
    Quanto costa fare il mio lavoro? Quanto costa a me? Quanto mi pagano?
    Giuro che sono tre domande la cui risposta rende interessante il pezzo quanto il famoso testa a testa tra la lumaca focomelica e il bradipo morto di cui sopra.
    Un paio di cose su quanto non ti pagano le dico (i soldi del monopoli) e sposto l’accento sul viaggio. Su quella roba lì dei chilometri, perché ti assicuro che quel tempo passato su regionali-furgoni-autostrade-stazioni è tanto. E per quanto mi riguarda ha un costo fisico oltre che economico.
    Il resto riguarda meno la musica e di più il lavoro dei fotografi. Ma lì, appunto, mi sono già espressa. Per trovare il pezzo il link al mio blog è in testa a questo post. Se non sbaglio è il terzo o il quarto in home. Senza che io usi i commenti per autospammarmi ulteriormente 🙂

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