
Perchè Argo è un film della madonna? Mica perchè, come per tutte le regie/produzioni targate George (Clooney, l’altro George è morto poche settimane fa e diventerà un cartoon Disney), si sente che finalmente qualcuno recupera il cinema americano d’impegno civile degli anni settanta. No, quelle sono balle, il salto non è così lungo, si ferma piuttosto ad un primo intermediario: la buona e sana televisione destrorsa degli ultimi 10 anni. West Wing. 24. Che è cinema anche quello, ma la gente è più difficile da convincere sulla questione. E’ la struttura stessa del film che ce lo dice: il soggetto è carico di relativismo, perchè è giusto sentire tutte le campane prima di iniziare un’opera d’intrattenimento buoni vs cattivi. Con sfumature, ma buoni vs cattivi. Così, dopo il biscottino liberale, si può partire col thriller venato di drama, con la CIA che è il terzo reggimento cavalleria e coi miliziani iraniani che in pratica sono gli indiani, il nemico della fiaba, il predone che agita la scimitarra de L’arca perduta. Allora ecco, Argo è un film della madonna perchè non è un film d’impegno civile in senso stretto, ma una dichiarata opera d’intrattenimento americana. I valori ce li ha già nel sangue, senza bisogno di simbolismi aggiunti.
Poi?
Poi dopo 20 minuti d’interpretazione minimalista da parte di uno che il minimalismo è costretto a farlo da una vita per motivi genetici, capisci una cosa: Ben Affleck mentre recita in Argo è imbarazzato, s’è accorto che gli sta venendo fuori un film della madonna. “Oddio cosa faccio?” sembra dire in ogni scena. E allora stacca l’inquadratura dal suo barbone verso un John Goodman, un Alan Arkin, un Bryan Cranston. Loro vanno per la maggiore. Ad un certo punto tira fuori gli addominali come arma segreta, ma no, li fa vedere solo riflessi allo specchio per pochi secondi, si vergogna. “Dovevo metterci George.” pensa “O mio fratello.” Probabilmente aveva già girato tutto il film senza la barba, ma poi l’ha aggiunta in post produzione perchè qualcuno gli ha detto che negli anni ’70/’80 non esistevano mascelle come la sua. Alla fine del film scoppia pure a piangere. E invece andavi bene così, Ben.
Poi?
Poi abbiamo i botta e risposta, 20 minuti di montaggio alternato, scene di massa, gente che trema per la paura e i “buoni” che oltre che con i “cattivi”, hanno a che fare con i fessi dei piani alti. Un copione che va molto di moda in questi anni di neoclassicismo hollywoodiano, certo girato facendo i conti con le recenti visioni indispensabili di grandi veterani. Per questo i primi nomi che si associano allo stile di Ben, con distanze e rispetto, sono Clint e Mann. Però non so, mentre scorrono le immagini qualcosa non torna. Clint e Mann. Forse gli anni settanta di cui si diceva prima c’entrano qualcosa, ma non sono Schlesinger o Pollack. Forse più lo Spielberg di Incontri ravvicinati, quello del cinema dall’equilibrio magico che poteva parlare di qualunque cosa, anche la più straziante, eppure capivi subito che non era necessario dargli una forza politica, destabilizzante o stabilizzante. A questo punto, non è nemmeno importante da dove nasce Ben Affleck regista. E’ una gran bella storia all’americana.
E poi Scoot McNairy, al terzo checkpoint, dà vita ad Argo. Gesticola per farsi capire, e farsi capire è tutto, ha gli occhi lucidi per la tensione, prende in mano i fogli, parla svelto e sicuro come se Argo fosse il progetto della sua vita, come se il cinema fosse la cosa più importante del mondo e in quel momento per lui non lo è, ma per noi si. “ARGO di Ben Affleck” è sospeso e Ben infatti resta lì in silenzio a guardare, a bocca minimalmente aperta, “Argo”, il film di fantascienza che viene girato in quel momento. Ed è un film della madonna.