Ke$ha (o no, è confusa)

kdy

La brutta notizia è che la settimana scorsa un tizio del Connecticut è entrato nella scuola dove insegnava sua madre e ha ucciso 26 persone (perlopiù bambini). La buona notizia è che negli Stati Uniti la gente si è messa d’impegno a farsi un esame di coscienza ed evitare che una strage del genere possa accadere in futuro. Curiosamente, tra le prime vittime del repulisti non c’è il secondo emendamento della Costituzione Americana (che a quanto ne so ti dà il diritto di possedere tutte le armi d’assalto che ti pare) ma il primo singolo estratto dal nuovo disco di Ke$ha.

Questa non è una di quelle storie sulla libertà d’espressione dove da una parte c’è un artista vessato che non chiede altro che di esprimersi e dall’altra una serie di istituzioni vecchie e noiose che fanno messe riparatrici e gridano allo scandalo tutte le volte che un povero sfigato tira fuori le corna. Ke$ha è un’artista mediocre che si è fatta avanti a spintoni pitchando le vocal del ritornello di un pezzo in cui –tra le altre cose- annunciava di lavarsi i denti con una bottiglia di Jack Daniel’s. Culturalmente è una specie di lato oscuro del white trash applicato al pop femminile e nasce in una sacca di spreco del senso comune nella quale gli ascoltatori percepiscono che Katy Perry ci fa ma non hanno il cuore per ascoltare i Circle Jerks da mattina a sera, o in alternativa per gente che trova Katy Perry una persona troppo intelligente per parlare davvero la lingua del suo pubblico. Ke$ha è una soluzione di comodo nata più o meno per caso e/o l’occasione per Dr. Luke di differenziare il proprio immaginario aggiungendo una tacca a destra e una a sinistra (dipende dai singoli che si considera, più che altro). Musicalmente i dischi fanno schifo, ma in un modo molto rivelatore e concreto, senza menare il can per l’aia o chiamare in causa riferimenti culturali secondo cui appunto dovrebbero fare schifo e poi essere ripescati secondo un complicato gioco di scatole cinesi –al primo ascolto del primo singolo ti sembra che finalmente i Daft Punk abbiano conquistato l’universo, poi Ke$ha inizia a cantare le strofe con quel berciare trash anni novanta LALALALALA come se le Yeastie Girlz fossero state un gruppo serio e finisce tutto in vacca; scopri solo dopo qualche tempo che Ke$ha è tutta lì, elaborabile in circa 32 secondi. Warrior, in questo, è la sua opera più compiuta: si beve metà del minutaggio in singolini intercambiabili con ritornello al vocoder e fughe di cassa dritta che il David Guetta di Titanium a confronto è Robert Hood. Alla fine è questa povertà d’intenti a fregarti: a metà del primo pezzo ne hai avuto abbastanza, quando è finito il terzo inizi a pensare che abbia ragione lei e dopo una mezza dozzina di canzoni tutte uguali diventa come una sbronza col Caffè Borghetti. La totale mancanza di una visione d’insieme nell’opera di Ke$ha ti mette a confronto con una sensazione scomoda: la scorpacciata di singolini d’accatto tutti intercambiabilmente medi e pitchati e dancey e identici l’uno all’altro ti rendono più facile considerare Warrior un disco di musica industriale con un unico pezzo di quaranta minuti, piuttosto che una raccolta di canzoni pop in senso stretto. Le variazioni sul tema, tipo qualche pezzo alla Nat Imbruglia sulla redenzione o un patetico duetto VS Iggy Pop nel quale comunque Kesha Sebert ci fa la figura dell’uomo (rendendo in qualche modo sublime il fatto che Iggy Pop continui a mettere in pratica il suo diritto a fare il cazzo che vuole buttandosi via in dischi uno più brutto e inutile dell’altro, e tra l’altro il pezzo è spudoratamente simile nell’impostazione al duetto tra Iggy e Peaches che stava forse su Fatherfucker e ne approfitto dell’autosponda per ricordarvi che voi, ANCHE VOI, date degli hater a quelli come noi e a un certo punto avete pensato che in qualche misura un’artista di merda come Peaches avrebbe potuto salvarci o quantomeno rappresentare il punk dei primi anni duemila. Buffoni.), sono roba che sentiamo come in più, corpi estranei messi dentro a un programma drittissimo non si capisce bene per quale motivo. Warrior è un monolite anche rispetto agli standard dei dischi di Ke$ha, la quale comunque nell’ultimo anno ha deciso di caricarsi la croce dell’artista vero incastrato in panni della popstar caciarona o anche sindrome di Andrew WK, collaborando con i Flaming Lips in quello che poi s’è rivelato essere uno dei pezzi meno interessanti di Heavy Fwends e minacciando di fare uscire con Warrior il disco che è nata per fare, vale a dire un album di rock cafone anni settanta (e fortuna che non, insomma). Intervallo:


(consiglio la visione senz’audio)

Tutto questo sfaccettato immaginario da artista indipendente che lotta post-mortem per risorgere dalle spire del commercio e del trash più bieco, una cosa molto slayeriana se ci si pensa, si è ritrovato l’ultima pietra tombale tra capo e collo un paio di giorni fa. Ricapitolando: un tizio entra in una scuola facendo fuoco sui bambini, l’America inizia a far penitenza, qualcuno inizia a dire che una canzone intitolata morire giovani  in testa alle classifiche non s’intona ai tempi. Gli Stati Uniti funzionano che tutti dicono il cazzo che vogliono finchè non arriva una bella ondata di contrizione nazionale, poi tutti col capo chino per un paio di mesi e quando qualcun altro inizia a sentire aria di bigottismo e allineamento nasce un’altra Ke$ha che abbassa un altro po’ il livello. Il problema con QUESTA Ke$ha è che alla prima avvisaglia di maretta ha disconosciuto baracca e burattini: twitta che Die Young, una canzone sul vivere appieno la serata (con un video stracarico di pentacoli e carri funebri pescati da un immaginario Lady Gaga meets Rob Zombie but worse, totalmente innocuo già al primo passaggio, oppure già che siamo a dar fuoco alle fascine portatemi Tim Burton), è stata COSTRETTA a cantarla. Poi ci ripensa e toglie il twit, sostituendolo con un altro in cui dice che è costernata e/o ritiene lei per prima che un singolo come Die Young non sia la cosa più divertente da ascoltare in radio a una settimana dalla strage di Newtown.

Il mio momento preferito è il rilancio sulla posta di FIORELLA MANNOIA, che sul suo profilo Facebook parla di quanto le fa schifo il video di Ke$ha citando riferimenti massonici, satanici e pseudonazisti. Non voglio dire che non, ma insomma. Tra l’altro la canzone che conosco meglio di Fiorella Mannoia parla del carattere delle donne e a un certo punto dice portaci delle rose, nuove cose, e ti diremo ancora un altro sì; io rosico perché una sera ho portato rose alla mia fidanzata e lei non me l’ha data perché doveva interrarle. Voglio dire, CHE CAZZO C’ENTRA? E che cosa significa esattamente PSEUDONAZISTI? Non-nazisti? Non abbastanza nazisti? Nazisti-wannabe che in realtà non credono alla purezza della razza ariana? Vabbè. Comunque questa cosa di Ke$ha pseudonaza al momento piace a 226mila persone, e il flame sotto il post della Mannoia è un po’ loffio –la sensazione è uguale a quella che si prova leggendo gli articoli sullo stupro che danno la colpa alle donne che si vestono in modo provocante e nei commenti l’opinione pubblica SI SPACCA (a proposito:). Più in generale, tutta la storia ha quel piacevole retrogusto dei romanzi alla Edward Bunker in cui non ci sono né buoni né vincitori, fanno tutti un po’ umanamente schifo e tutti quanti si son fatti un bunker sotto casa per evitare la crisi. Siamo sicuri invece di chi ci perda: per prima cosa la Ke$ha insospettabile artista e rocker cafona anni settanta che abiura il suo singolo e batte in ritirata al primo alito di crisi, seconda cosa chi grazie a Ke$ha porta a casa la pagnotta e terzo chi ascolta la musica per radio questi giorni, che almeno avrebbe potuto intervallare qualche jingle natalizio con la (fino a ieri avrei detto) onestissima Die Young e invece mo’ si becca la full immersion. Speriamo nessuno riesca a sgamare i simboli massonici nel pezzo di Rihanna.

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