daft-pacchi

La cosa più fica dei Daft Punk dal 2005 in poi, è la dimensione del fanatismo nei loro confronti. Probabilmente è una cosa fomentata dall’idea che il gruppo si muova in più dimensioni artistiche (musica, cinema, iconografia pura, coreografia eccetera) ma una cosa abbastanza tipica dei fan dei Daft Punk è che tutti si sentano in dovere di dire qualche cazzo e/o estendere la visione del duo francese a territori che il duo francese non ha mai avuto lo sbuzzo o la decenza di considerare. In alcuni casi sono venute fuori operette pop al limite del genio tipo iDaft (ho scoperto ora che hanno aggiunto un pezzo) e il video Daft Hands poi diventato ufficiale, ma se avete pomeriggi liberi c’è tutta una serie di persone che ha sentito il bisogno di fare cover caserecce su Youtube o di fare uscire versioni 8-bit di Aerodynamic eccetera. I Daft Punk hanno questa cosa di stimolare le coscienze, questo a prescindere dal fatto che la gente che a loro si ispira abbia qualcosa da dire o meno. Gran parte del merito di questa cosa è da far risalire a Discovery, forse il disco pop più bello e importante degli anni duemila (o quantomeno una risposta più giusta di quella ributtante ciofeca di Kid A al quesito di cui sopra). C’è voluto tutto il decennio dopo Discovery per capire davvero Discovery, comunque. Cioè, Discovery è tutto fuorché incomprensibile, ma molta della roba dentro Discovery sembrava essere fatta con uno scopo più o meno attinente a questioni estetiche legate all’epoca in cui era uscito, e vallo a sapere che cose tipo Digital Love sarebbero state la determinante della musica pop degli anni duemila. (in prospettiva Discovery sarebbe potuto essere anche ricordato per due singoloni tipo Harder Better Faster Stronger e One More Time, che comunque sarebbe stato sufficiente credo). L’avessimo saputo probabilmente l’avremmo considerato un monito e saremmo passati ad altro. Un altro punto da cui partire per parlare di oggi è Sounds of the Animal Kingdom dei Brutal Truth, nella fattispecie la conclusiva Prey (un pattern di tre secondi preso più o meno a caso in mezzo alle canzoni del disco e ripetuto in loop per venti minuti filtrando il mixaggio fino a renderlo inintelligibile, probabilmente il pezzo industrial metal più bello degli anni novanta se non si considerano i Godflesh). In mezzo alle due cose ci sta tutta una cultura millelire della ripetizione che ci ha dato momenti di estasi assoluta tipo Epic Sax Guy 10 Hours o appunto il pezzo di cui parliamo nel pezzo. Vale a dire che la scorsa settimana i Daft Punk hanno piazzato un teaser di una dozzina di secondi in mezzo al Saturday Night Live (che è il nuovo Pitchfork, te lo guardi e vedi cosa succede alla musica. per dire come stiamo messi). Qualche minuto dopo il teaser era online ed è bastata qualche ora perché qualche anonimo sfigato, nel senso di genio, lo ricaricasse sul Tubo in un loop di dieci ore.

Il teaser in sé potrebbe non avere alcuna attinenza con il nuovo disco dei Punks. Sono dieci secondi di swag funkettone anni settanta ad altissima fedeltà (nel senso di fedeltà al suono che copiano) e nell’immediato suonano come lo spot di un dopobarba qualsiasi o un art-porno pieno di capelloni coi baffi, chiedo peraltro scusa per aver usato la parola swag, a cazzo per giunta. La versione di dieci ore sembra più una cosa spaziale e sospesa nel tempo nella quale è possibile leggere al negativo quasi tutta la musica uscita da Thriller in poi, o in alternativa uno stato mentale irrimediabilmente compromesso tipo il porno di Sara Tommasi o il twitter di Flavia Vento (roba a cui guardiamo in parte perché siamo stronzi e sadici e in parte per un grottesco revisionismo storico contemporaneo stile lo dicevo io che eran tutte idiote). In un caso o nell’altro, probabilmente la cosa migliore successa ai Daft Punk dai titoli di coda di Electroma in avanti. Forse è il caso di puntare più su un presente matto e laterale che sull’iper-esaltato nuovo disco del gruppo francese, da cui stiamo aspettandoci così tanto (e da così tanto tempo) che una delusione cocente sarebbe solo l’ennesima e giustissima punizione.

kor

Paradossalmente, il lato peggiore dell’influenza dei Daft Punk lo vedi non tanto negli (pseudo-) scrausi che fanno il filmino di Harder Better Faster Stronger con le manine, ma nei professionisti glorificati urbi et orbi. Che poi i cloni dei Daft Punk sono quasi un genere a sé (perlopiù triste e vuoto) la cui legittimazione sta più nell’effettivo bisogno di aver bisogno di continuare di qualsiasi cosa nel pop –che è un altro modo per dire che io ricordo abbastanza distintamente che a un certo punto nella storia della musica si è davvero sentito parlare di French house o French touch. Un caso macroscopico di fronte ai nostri occhi, senza volere con questo metterci ad elaborare chissà che teorie, è quello del disco di Kavinsky in uscita in questi giorni. Kavinsky è un dj francese balzato a fama e gloria imperitura per via di Drive, un film di Refn di un paio d’anni fa. La scena più suggestiva sono i titoli di testa: una macchina che gira per le strade di Los Angeles a notte fonda con i beat pesi di Nightcall a fare da contrappunto e i credits scritti con quel font corsivo rosa. Non quel che si dice il film del decennio, ma abbastanza suggestivo da inchiodare Kavinsky al ruolo di ideale colonna sonora per guidare un’auto vintage indossando jeans skinny e giubbotti da ultras. Il credito di cui gode Kavinsky per quell’unico momento suggestivo (le sue cose testimoniano già fin troppo bene il fatto che l’uomo ha senz’altro il talento sufficiente a farsi includere in una compilation Ed Banger o Kitsuné a caso, ma non abbastanza da svettare tra gli altri nomi coinvolti) ha tenuto accesa la curiosità nei confronti dell’artista fino all’arrivo di OutRun, che già dalla copertina cerca di allontanare con decisione ogni parentela con Drive. Un disco orribile, per inciso: figure AOR-daftpunkiane da karaoke, momenti drugapulco imbarazzanti e quella tipica incapacità di comprendere il tempo -non dico il proprio, ma almeno quelli in cui la tua musica avrebbe avuto ancora un senso- che ammazza il fiato dei dischi come questo. La sindrome dei Justice, sostanzialmente: buono per un paio di video fighetti girati da quel cialtrone del figlio di Costa-Gavras, buono per lo spot di un’automobile per tamarri, buono per mettere qualcosa nella colonna destra di Repubblica che non sia Gaga o Rihanna (e tra un anno manco più per quelli, che già ora siamo in un ritardo imbarazzante). L’estemporanea apparizione di tali e tanti fenomeni da baraccone rende da una parte inaccettabile l’esistenza dei Daft Punk  per il solo motivo di aver generato mostri come questo; dall’altra chiama come indispensabile il ritorno dei due padroni di casa con un lavoro che ci porti in una zona che sia più gradevole per riposare –o che almeno serva a stanare gli stronzi. E quando andremo a riprendere le fila del nostro percorso musicale ci ritroveremo probabilmente a ricordare Kavinsky con un briciolo d’affetto e l’imbarazzo di chi per un brevissimo periodo l’ha considerato come qualcosa di anche solo un pochetto sufficiente, con l’aggravante di avere già trent’anni e passa sulla groppa e -almeno in via teorica- il dovere morale di assumerci la responsabilità di quello che stiamo ascoltando.

9 thoughts on “daft-pacchi”

  1. In tal caso la mia coscienza è linda: i Daft Punk mi hanno sempre fatto vomitare fin dai tempi di quella merda di “Around The World” che pareva la musichina di un videogioco del C64.

  2. ho smesso di leggere attentamente dopo “kid a”.. comunque io tutta sta fotta per i daft punk non l’ho proprio mai capita.. discovery, a parte i singoli e poche altre, è davvero meh.. boh.

  3. Secondo me qui sfociamo un po’ sull’hate gratuito. Che probabilmente è causato direttamente dalla fotta sproporzionata che gira attorno ai Daft Punk (e qui ci sono anche io, che sono andato a vedere quella pisciata di Tron 2 solo per la colonna sonora e che quando hanno inquadrato il dinamico duo mi son sparato la sega più veloce mai ricordata a memoria d’uomo), ma che non per questo è giustificato. Discovery è proprio un bel disco (spoiler: Discovery continua dopo Harder, Better ecc.) e Homework, per quanto piuttosto ripetitivo (ma credo sia voluto) ha alcuni pezzi niente male. Humans After All non l’ho ascoltato.
    Io sto disco lo aspetto con una discreta scimmia addosso, così come una eventuale data italiana. Tiè! http://www.youtube.com/watch?v=dh3jFRvYvDE

  4. a me più che altro ha dato fastidio che abbia detto robe tipo hate gratuito o “discovery continua dopo harder better” etc, diocanta ci ho messo un sacco di tempo a scrivere il pezzo.

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