disco dell’anno.

Ultimamente l’indie rock va considerato come un gioco di sottoinsiemi e sbucciato come una cipolla. Non è proprio una metafora ma ci andiamo vicino. Prendi quello che viene definito indie rock e togli tutti quelli che è definito così per convenzione, la roba major, la roba indie distribuita major e tutto il resto. E questa è la discriminante di base, poi si va a pescare nei sottoinsiemi in maniera arbitraria: ci sono quelli che tendenzialmente scendono a compromessi e quelli che tendenzialmente no; scegli quelli che non, dividi tra gruppi storici e gruppi di nuova formazione, scarti questi ultimi, rimane una ventina di nomi. Di questi prendi quelli che non si sono riuniti negli ultimi dieci anni ma hanno continuato sempre –a fasi alterne, coi loro ritmi e quant’altro- a lavorare. Dopodiché decidi di considerare quelli che (nonostante non siano major, non scendano a compromessi col mercato, non si siano mai sciolti e lavorino con costanza) ogni volta che li vedi salire sul palco sono contenti come dei bambini. A questo punto ti ritrovi in mano (se non erro) due sole carte: Nomeansno e The Ex. Non a caso fanno parte più o meno dello stesso giro: hanno fatto il punk, hanno superato il punk, hanno iniziato a imparare a suonare, sono diventati musicisti della madonna, hanno collaborato con un sacco di gente e stanno ancora a scaricarsi il furgone in posti improbabili di provincia, poco prima di salire e dare la paga a qualunque altro gruppo abbia mai suonato una chitarra in pubblico. C’è anche da dire, comunque, che i Nomeansno non pubblicano un disco da sette-otto anni, mentre gli Ex continuano a sparare sul mercato dischi bellissimi nell’ordine di uno o due all’anno. Quella di cui andiamo a parlare, in ogni caso, è un’occasione speciale: la formazione che incide il disco è la stessa che abbiamo visto l’estate scorsa in giro per l’Italia e si chiama THE EX & BRASS UNBOUND (obbligatorio il caps lock). È composta dagli Ex, ovviamente, nella nuova formazione con Arnold de Boer che canta e suona una chitarra in più; e da un quartetto di fiati composto dalla miglior gente sul mercato: Ken Vandermark, Mats Gustafsson (il quale per il secondo anno a fila suona nel disco dell’anno: nel 2012 era quello di Neneh Cherry & The Thing), Roy Paci (che emenda in un solo colpo tutto una decina d’anni di Puglia Sounds e Concertoni del Primo Maggio) e Wolter Wierbos. È un disco degli ultimi Ex, molto solare e al contempo molto politico nei testi, che tira botte in faccia dall’inizio alla fine. Fate conto di ascoltare un disco tipo il primo con Getatchew Mekuria ma composto solo di otto variazioni della prima traccia. È roba che sprizza amore per la musica e presobenismo in qualunque solco si metta la puntina del disco: suona dritto per tutto il tempo, con Katherina Bornefeld sempre più in primo piano rispetto al resto del gruppo. Enormous Door è esaltante soprattutto per come riesce a devastare ogni pregiudizio sul mefistofelico incrocio tra punk e fiati, svilito da vent’anni di ritmi in levare e terzomondismo a poco prezzo: sentite come si intrecciano nel sensazionale Theme from Konono n.2 (alt-version di una jam uscita originariamente su Turn) e nella reprise di Bicycle Illusion da Catch My Shoe. Roba che ridefinisce il concetto di classe, puro e semplice.

 

Quello che più preoccupa è che di fronte agli Ex cadono le credenze più basilari che abbiamo. Gli Ex sono in giro da quasi trentacinque anni, io li ascolto assiduamente da quindici e sono assolutamente sicuro di non averli mai considerati più in forma di oggi. Nessun altro che produce musica oggigiorno, siano vecchi arnesi del rockenroll senza data di scadenza o giovani punk senza radici ma con un sacco di fotta, NESSUNO suona così fresco e concentrato su disco. Come sempre, ha  ragione Steve Albini:

6 thoughts on “disco dell’anno.”

  1. Tutto pienamente condivisibile, ma quando ho letto “hanno iniziato a imparare a suonare, sono diventati musicisti della madonna” mi è venuto in mente Terrie Ex e ho sorriso così tanto da procurarmi un prolasso rettale.

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