il listone del martedì: GRUPPI FIGHI DA CUI UN MEMBRO È USCITO FACENDO ROBA ANCORA PIÙ FIGA

La routine vuole che tu metti su un gruppo, fai due dischi bellissimi e tiri a campare per il resto della vita tra altri dischi merdosi, side-project merdosi e scioglimenti da cui vengono fuori gruppi merdosi. Esistono pochi casi nei quali invece da un gruppo figo nasce qualcosa di ancora più figo: andiamo a elencarne un pugno. A quattro mani tra me (FF) e m.c. (MC), aggiunte e correzioni accettate nei commenti.

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NAPALM DEATH

Probabilmente l’esempio più clamoroso di quando la somma delle parti supera il totale, e non di poco. Tanto che, a voler essere cattivi, verrebbe da pensare che i Napalm Death abbiano funzionato più che altro come incubatrice per gruppi che poi li hanno superati di diverse lunghezze, o stazione di passaggio per gente che poi è andata a fare di meglio (molto meglio) altrove. Un porto di mare, un costante work in progress dell’alienazione e della presa a male, stando alla piega che avrebbero preso di lì a poco le carriere della formazione che aveva inciso il lato A di Scum: da una parte Justin Broadrick con i Godflesh, semplicemente uno dei più geniali e importanti gruppi industrial mai esistiti, dall’altra Nik Bullen e Mick Harris negli Scorn (il cui primo album Vae Solis vedeva peraltro la partecipazione dello stesso Broadrick), anch’essi una roba irraccontabile e assolutamente imprescindibile per chiunque abbia due orecchie funzionanti e un interesse seppur vago per la musica. Lee Dorrian, l’animalesco vocalist del lato B di Scum e del successivo From Enslavement To Obliteration, finirà per formare i Cathedral, il cui demo In Memorium resta la declinazione più terminale delle pieghe più malsane del doom più marcio, l’unico che valga la pena ascoltare (poi proseguiranno con l’asfissiante Forest of Equilibrium prima di passare a una replica dei Black Sabbath di Volume 4 nei dischi successivi), e l’etichetta Rise Above, la sola capace di dare filo da torcere alla Man’s Ruin come recettore di gruppi stoner dei più scentrati e spinellanti. Il chitarrista Bill Steer faceva già parte dei Carcass, che però hanno cominciato a pubblicare quando stava per uscire dal gruppo, all’indomani di From Enslavement To Obliteration: da Reek Of Putrefaction a Swansong ogni disco è in modo diverso ma speculare negli intenti e nella riuscita un modo tra i più rocamboleschi e imprevedibili di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Mick Harris aveva poi fondato, assieme al chitarrista Mitch Harris (sembra uno di quei giochi di parole assurdi che ti fottono il cervello ma per qualche tempo è stata effettivamente una delle formazioni dei Napalm Death), l’estemporaneo progetto Defecation, il cui mini Purity Dilution è un capolavoro assoluto di deathgrind cibernetico che anticipa le intuizioni dei Brutal Truth di Extreme Conditions (produce Dan Lilker) e di conseguenza di tutta la frangia più deviata e fuori di testa di certo grind contaminato. I binari percorsi parallelamente al tragitto principale dal bruttissimo bassista Shane Embury (che peraltro dai Napalm Death non se n’è mai andato) sono forse i più impegnativi da un punto di vista psichico: Embedded dei Meathook Seed (ancora con Mitch Harris, più Donald Tardy e Trevor Peres degli Obituary), un incubo burroughsiano di industrial tetrissimo che sa dirsi mentale, l’equivalente del primo Tetsuo però girato a Birmingham con un’amarezza che oltrepassa l’umanamente sopportabile; Defiance of the Ugly by the Merely Repulsive (imbattibile già dal titolo), primo e unico mini dei Malformed Earthborn (completano la formazione Dan Lilker e Scott Lewis degli Exit 13, vedi alla voce spiriti affini), un assalto al sistema nervoso che da solo rende pleonastica qualsiasi ipotesi di grind elettronico alla Agoraphobic Nosebleed partorita da chiunque altro, un disco che ancora oggi rimane imprendibile e irripetuto; soprattutto, To Spite the Gland that Breeds a nome Blood From The Soul ovvero Embury e Lou Koller dei Sick Of It All, che però qui sembra il fantasma di uno sconosciuto torturato a morte, probabilmente la trasposizione più efficace in musica del più schizofrenico dei romanzi di Philip K. Dick, uno di quei rari casi in cui un disco può diventare un’arma. Comunque roba al cui confronto i Napalm Death diventano una cacchetta di mosca ad essere generosi. (MC)

ROLLINS

I motivi per cui Rollins è stato fondamentale nella mitopoiesi dei Black Flag hanno a che fare con la musica solo in parte; con la perseveranza piuttosto, avendo resistito a fianco di quel matto di Greg Ginn per più di un paio di singoli, sicuramente con la tracotanza da bulletto rissaiolo sul palco, oltre a una soglia di tolleranza alla fatica virtualmente illimitata. Certo Damaged e soprattutto My War restano pietre miliari a prescindere da generi o preferenze di sorta, ma è altrettanto vero che nei Black Flag Rollins è sempre stato in prestito, facilmente intercambiabile non fosse per la prestanza fisica e la pervicacia, ne sono prova The Process of Weeding Out e soprattutto la raccolta The First Four Years, forse le cose migliori mai incise dal gruppo, e in entrambe Rollins non canta una sola nota. Con la Rollins Band è tutta un’altra faccenda a partire dalla ragione sociale, una dichiarazione d’intenti, un’estensione virtuale della psiche dell’uomo che fin dall’inizio si configura brutale fino all’autoannientamento, un viaggio nelle viscere del blues che non conosce precedenti per intensità, introspezione e rigore; bombe a mano nel cervello, a partire da Hot Animal Machine e poi avanti con Life Time, Hard Volume, il live Turned On, il terminale The End of Silence (la cosa più vicina a Viaggio al termine della notte mai registrata) e in maniera diversa, più mediata ma altrettanto devastante psichicamente nei più controllati Weight e Come In And Burn, sono quei rari casi di dischi che possono dirsi formativi, certo al termine dell’ascolto non si è più la stessa persona di prima. Per tutto il resto, vedi qui. (MC)

 

MIKE PATTON

Per qualcuno i Faith No More continuano a essere la miglior cosa mai fatta da Mike Patton, ma quel qualcuno è probabilmente un ex-metallaro con quaranta dischi in casa che non ha mai voluto sentir parlare di crossover. Lo stesso naturalmente si può dire, dopo una quindicina d’anni di nuovi progetti, di chiunque stia seduto sulla riva del fiume aspettando ogni nuova stronzata partorita da Mike Patton in botta fare le cose e pronto a urlare GENIO ad ogni giro di giostra, la fiera del non capisco ma mi adeguo. In mezzo, grossomodo, la verità: che cose tipo i primi Fantomas e i Pranzi Oltranzisti e se vogliamo (ok, questa è personale) pure Mondo Cane e certi mr.Bungle e la sua attività di discografico stracciano agevolmente un Angel Dust e fanno perdonare i Fantomas da Delirium Cordia in poi e Peeping Tom e tutte quelle robe lì. (FF)

NEW ORDER

I Joy Division li ho scoperti che ero un ragazzino, e nel mio puerile integralismo di ragazzino il fatto che avessero deciso di continuare anche dopo la morte di Ian Curtis appariva come un oltraggio inaccettabile, reso se possibile ancora più amaro dal fatto che quella che si erano messi a fare poi era roba… allegra? Ci avrebbe pensato la vita ad aprirmi gli occhi; a parziale consolazione la certezza di non essere solo in questa cosa, che come me legioni di altri stronzi hanno sprecato anni di vita ignorando scientemente roba tipo Power, Corruption & Lies, Low-Life, Substance 1987, e sì anche Brotherhood, Technique e Republic (che pure conoscevo molto bene per via di Regret programmata a ritmi da esperimento nazista sul sistema nervoso in anni di calzoncini corti e Festivalbar) solo perché l’epilettico aveva deciso di farla finita anzitempo. Ma, come dicevano i Faith No More, a small victory. Resta il fatto che il giorno in cui ho scoperto che Temptation effettivamente mi piaceva tanto da farmi venire voglia di approfondire il discorso e mi sono messo ad ascoltare Substance dall’inizio alla fine cominciando a comprenderne parte della grandezza non sarà stato un grande passo per l’umanità in senso assoluto, tipo quando Jurij Gagarin è volato nello spazio, di sicuro lo è stato nel miglioramento della qualità della mia esistenza. (MC)

THE THE

Magari il collegamento è pretestuoso, in fondo è solo una delle tante situazioni in cui Johnny Marr ha transitato, turnista prezzolato o meno, nel suo incessante vagabondare post-Smiths, e non è mai stato un gruppo quanto piuttosto l’affare personale di Matt Johnson, forse l’unico uomo per definire il quale la parola genio ha effettivamente un senso, forse l’unico vero dono di Dio all’umanità; resta il fatto che qualunque altra esperienza abbia avuto Johnny Marr a parte finire a suonare la chitarra e l’armonica per i The The al confronto diventa merda da pestare. E intendo veramente qualunque altra, incluso il gruppo in cui cantava quel frocetto bizzoso. Se siete vivi e avete un cuore e due orecchie funzionanti e un minimo rispetto per voi stessi, e non avete ancora in casa Mind Bomb e Dusk (ma pure Soul Mining, Infected, Burning Blue Soul, Hany Panky… insomma, ci siamo capiti), ora sapete cosa fare. (MC)

MARK LANEGAN

C’è tutta una teoria di gruppi di cui si dice sempre hanno raccolto molto meno di quel che han seminato. Sono discorsi dovuti perlopiù alla convenzione, a un certo tipo di giornalismo epico e alla mancanza di fantasia dei singoli. Gli Screaming Trees sono una specie di convenzione nella convenzione, per via del fatto che le foto promozionali del gruppo invitassero a parlare di complotti (due su quattro superavano facile il quintale) e perchè gli altri gruppi del loro giro a un certo punto han fatto i soldi veri; in ogni caso, ferma restando la bellezza di dischi come Buzz Factory, possiamo tranquillamente considerare gli Screaming Trees come il trampolino su cui s’è andato a costruire il sodalizio artistico più fruttuoso degli anni novanta, quello tra il cantante dei Trees Mark Lanegan ed un taciturno chitarrista/bassista di nome Mike Johnson, di lì a poco con i Dinosaur Jr, che ci ha dato almeno quattro dischi che fissano uno standard della sofferenza umana a cui ancor oggi facciam fatica ad approcciarci. Darei via un rene per un altro disco di Lanegan scritto da Johnson; non potrei dire la stessa cosa per un nuovo disco dei Trees (peraltro già arrivato e ignorato bellamente dai più). (FF)

SHELLAC

Ci fu quella volta che (per i 25 anni di Touch&Go) organizzarono un concertone con tanto di reunion dei Big Black. Steve Albini sale sul palco, fa scoppiare i petardi, suona quattro pezzi con gli altri tizi e dice qualcosa tipo “come immaginate avremmo evitato volentieri, è che a Touch&Go sono degli amici”. Da vent’anni Steve Albini suona nel miglior gruppo sul mercato, quello che fa i dischi più belli e che ti ascolti più spesso e che fa i concerti più belli e che dice le cose più giuste e che le mette in pratica quando se ne va in giro a nome Shellac. E non è tanto quello, né il fatto che al confronto dei disconi tipo Songs About Fucking sembrino degli esercizi massimalisti di un post-adolescente che sta aspettando di trovare se stesso, quanto piuttosto il modo in cui si può comportare un reduce di qualche fantomatica “età dell’oro” nonostante tutto quel che gli può piovere sopra nel corso degli anni. La gente tenta di sopravvivere a mezzo contratti major, revisioni del suono e reunion all’insegna del vivacchiare fuori tempo massimo; Steve Albini mette insieme un gruppo della domenica assieme a due amici, incide dischi a tempo perso, suona concerti a tempo perso e va avanti per vent’anni senza perdere un grammo di forma. Dati alla mano, di fronte alla carriera degli Shellac non c’è persona al mondo che non debba togliersi il cappello. (FF)

UN SACCO DI BOYBAND

Ora abbiamo gioco facile nel ridere dietro a certi fenomeni da baraccone che ci provano (e peggio ancora in alcuni casi ce la fanno) in qualche reality tipo X-Factor, ma al contempo viviamo e lavoriamo in un’epoca storica nella quale moltissimo del pop più rilevante dal punto di vista artistico è prodotto da gente uscita allo scoperto in delle boyband anni novanta del cazzo. Beyoncé, Justin Timberlake, volendo pure Britney/Christina Aguilera (vogliamo considerare il Club di Topolino una protoboyband?), Geri Halliwell appena più indietro. A conti fatti gente cazzuta che ha tirato fuori dischi cazzuti. Justin Timberlake ne ha sparato uno cazzutissimo manco due mesi fa. (FF)

3 thoughts on “il listone del martedì: GRUPPI FIGHI DA CUI UN MEMBRO È USCITO FACENDO ROBA ANCORA PIÙ FIGA”

  1. A me viene in mente:
    1- Tom Delonge che fatti i soldi coi Blink182, prima di scioglimenti reunion e altre cagate, mette in piedi una band chiamata BoxCarRacers che pubblica solo un disco e che per me è un discone.
    2- Il cantante di una band pop-punk-boyband (una cosa alla finley, per dire) inglese chiamata Busted che mette in piedi un progettino post-hc / nu-emocore a nome Fightstar e che all’inizio fa anche cose buone.
    Così, al volo eh. Poi se ci penso magari trovo anche altri esempi.

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