Surgical Steel

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Pensare che a un certo punto della loro vita i Carcass abbiano fatto soldi e siano finiti sotto contratto con una major ti fa pensare bene della razza umana. Poi le cose sono andate come sono andate e forse ai Carcass è mancato mezzo disco, solo mezzo, per entrare nel giro dei gruppi che hanno fatto il metal negli anni novanta. Non è vero: sono comunque tra i dieci-dodici più grandi di tutti i tempi e ci rode solamente che sia finita tutta d’un botto. Surgical Steel è rimasto lì per un po’. SoloMacello urla qualcosa su twitter, gli scrivo in privato e mi fa, beh, lo sapete come fanno quelli di SoloMacello quando ci sono di mezzo cose come l’ultimo disco dei Carcass. OAHAHAOA GAYNA P**C*****IIO PETTINATO e ti manda una traccia via mail e allora stai lì inebetito e pensi, diobono ANCHE NO. Aspetta. Passo indietro, di cinque o vent’anni.
La reunion dei Carcass è stata abbastanza pulita, tutto sommato: Jeff Walker ha rimesso insieme la baracca, il gruppo ha iniziato a suonare per i festival, la lineup si è aggiustata (Amott è uscito), le condizioni del batterista storico sono quelle che sono e il gruppo ha un disco nuovo. Quello che spaventa è che i Carcass sono la precisa cristallizzazione di un momento storico, un momento in fieri per giunta, in cui la musica rock stava chiedendosi da che parte andare e ha avuto le palle di darsi delle risposte prima di pensare se fossero giuste o sbagliate. Se ascolti Necroticism e Heartwork, tuttora, esce fuori uno spirito che ti lacera la pelle. Il bistrattatissimo Swansong, con tutte le sforbiciate e i compromessi e le ri-registrazioni, è quasi più intenso.
Surgical Steel è così. La recensione di SoloMacello è sufficientemente buona da poter essere linkata e non discussa. Quello che ti devasta di Surgical Steel è che abbiamo un gruppo ai livelli: è difficile dire a quali livelli, perché la carriera dei Carcass è fatta di mutazioni e compromessi. Surgical Steel li inchioda in un periodo e nel farlo definisce per la prima volta il genere musicale del gruppo. Nega la fondamentale verità sul gruppo per cui ognuno ha il proprio disco preferito (il mio è Reek of Putrefaction perché sono banale). Ridefinisce la nostalgia come cut-paste su un periodo storico difficilissimo da decodificare con gli occhi e le orecchie di oggi: un momento in cui l’estremismo, per quanto possa sembrare banale scriverlo, era soprattutto una necessità e si sviluppava sia punendo gli altri che spezzando la schiena a stessi. Il fatto che Surgical Steel possa essere fatto risalire sostanzialmente all’incarnazione carcassiana che produsse Heartwork sembra una contraddizione in termini. Non lo è per tre motivi: il primo è che non è lecito aspettarsi un salto nel buio da gente che sciolto il gruppo s’è barcamenata tra stoner, Skynyrd e musica country. Il secondo è che Surgical Steel trabocca amore di musica assoluto ad ogni solco. Il terzo è che i motivi sono sempre tre. Limitiamoci al punto due, che poi è l’unico che conta: la capacità di analizzare il nuovo album dei Carcass da un punto di vista storico/critico/globale sparisce più o meno a metà del primo giro. È la stessa cosa che capita con i film di John Carpenter: c’è troppo amore e ti arriva tutto in faccia. Così che Surgical Steel, per una volta, diventa l’incarnazione della retorica pelosa del vecchio che ti rompe il culo e ti insegna a suonare. Perché, di fatto, non è altro che questo.

2 thoughts on “Surgical Steel”

  1. un pò mi dispiace che sia uscito stò disco.
    era un così bel quadro tutta la loro discografia base… e questa pennellata in più mi preoccupa.
    Avrò certezze solamente dopo aver ascoltato.
    Un saluto a tutti i carissimi amici di qui

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