tema: IL MIO PRIMO CONCERTO. Svolgimento:

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Correva l’anno 1993 e io ascoltavo dai Body Count ai GBH passando da Suicidal Tendencies e Turbonegro disprezzando tutto l’hard rock classico tipo AC/DC e Dream Theater. questo mi portava a ciondolare con sguardo truce e tre camice a scacchi una sopra l’altra nel fior fiore dei miei 15 anni.
quello che mi portò invece ad andare al vedere Vasco non lo so proprio. ricordo solo che l’acustica faceva schifo ed eravamo al terzo anello di San Siro, quindi Rossi lo vedevamo talmente da lontano che avrebbe potuto benissimo essere una controfigura. gli highlight della serata furono veder passare un chiloom ricavato scavando il midollo di una mazza da baseball e gli amici di mio fratello che scrivevano uno striscione con l’Uniposca appoggiandosi al cofano della UNO ottenendo come risultato involontario la scritta “Vasco uno di noi” tatuata sulla macchina. a parte tanta amarezza non ho altro da dichiarare, quindi baro platealmente e racconto di seguito il mio primo concerto metal.
L’anno 1993 continuava a correre ma il 16 Novembre dovette fermarsi per accogliere in quel di Sesto San Giovanni (MI) i Sepultura che avevano pubblicato da poco più di due mesi Chaos A.D., album con cui ai tempi mi distrussi le orecchie e mai gli zibidei.
Prima di entrare consumai la mia prima Bud gelata, al posto che la solita pisciazza, in onore alla band. per me fu come stappare un Barolo del ’78. ricordo con estrema precisione quel momento e soprattutto quello che mi causò in seguito.
La ressa ai cancelli era furiosa. la camionetta dei Carabinieri cercava di entrare e la folla tentava disperatamente di ribaltarla. un tizio romano urlava “SPIGNETE SPIGNETE PERDIO”. Io ingenuamente chiesi perché e lui mi rispose che aveva un coltello quindi, se non sfondavamo i cancelli, glielo avrebbero portato via. mi sembrò un motivo assolutamente valido e iniziai a spingere pure io fino a che i cancelli cedettero.
Il concerto fu un totale massacro, intendo dire ovviamente un “gran bel concerto”. fecero praticamente tutte le più belle dell’album (Territory, Nomad, Refuse/Resist, etc.) e di Arise e io ero contento come un ragazzino.
In realtà un ragazzino lo ero e pogavo come un forsennato.
Spesso volavo anche, nel senso che, essendo il più piccolo e leggero, venivo scagliato da amici e sconosciuti contro altra gente per il semplice gusto di fare male a me e al prossimo.
un altro volo che mi piaceva tantissimo intraprendere era quello dal palco. in seguito diventai piuttosto famoso per i miei salti carpiati.
Una volta salito, prima che il buttafuori mi acchiappasse, saltavo facendo una capriola sulle prime file. più di una volta il tacco degli anfibi atterrava sul naso di qualcuno, spezzandolo, e costringendomi alla fuga, tipicamente risalendo sul palco dalla parte opposta e lanciandomi verso i lati.
In una di queste fughe, durante Propaganda, inciampai su quella fastidiosissima canalina sporgente che ai tempi posizionavano a terra per portare i cavi dal palco al mixer. inciampare su quell’aggeggio era una costante. Quella volta però fu drammatico perché cadendo strinsi forte la mano destra in cui rimase incastrata una ciocca di capelli di uno sfortunato capellone a cui asportai involontariamente ciocca e un paio di centimetri di cuoio capelluto. non dimenticherò mai la faccia di puro orrore e dolore che fece. gli ridiedi il maltolto e prima che tornasse in sé fuggii nuovamente.

Comunque, aspettavo con impazienza “Biotech Is Godzilla” – di cui ho appena scoperto che il testo fu scritto da Jello Biafra – che non arrivava mai. intanto la birra ghiacciata e il panino con la cotoletta iniziavano a scalciare dentro me. attesi e attesi ma la canzone non arrivava. non ce la feci più e a metà concerto dovetti fuggire, di nuovo, ma questa volta in bagno per scaricare la diarrea che ormai era incontenibile. ovviamente, proprio a metà faccenda attaccarono proprio quella canzone, la più breve dell’album. dovetti quindi decidere: finire di cagare o correre fuori con le braghe ancora calate e gettarmi nel pogo. Optai per la seconda opzione.
Fu in quel momento che vidi Enrico Beruschi. Credetti di aver avuto un’allucinazione mistica da dissenteria e invece era tutto vero. era lì per accompagnare il figlio musicista metallozzo. Lo dissi ai miei amici, con cui ai tempi suonavo (in realtà io cantavo), e scoprii che Beruschi-figlio era un loro conoscente.
Lasciatemi aprire una parentesi in merito a questo personaggio.
Qualche giorno dopo il concerto uno dei miei amico di cui sopra, il batterista, invitò Beruschi-figlio a suonare con noi. ai tempi suonavamo nella fabbrichetta del padre di questo amico.
lo scenario, soprattutto per un gruppo metal, era molto figo in quanto il soppalo su cui suonavamo sovrastava i macchinari: molto industrial, se mi passate il termine.
Tra l’altro era una fabbrica che produceva plexiglass; la colla che si usa per incollare i pezzi tra di loro ha la stessa composizione chimica del popper, solo che è stabilizzata ed evapora molto lentamente. la vendono in tolle da cinque chili, ma io non ve l’ho detto. Ad ogni modo, il tizio arrivò, ci presentammo e lui disse “mi chiamo Aleister, Aleister Demon, ma potete chiamarmi anche solo Aleister”. sul serio, disse proprio così, ma io in testa sentivo solo “orologiao-ao-ao”.
Strimpellò un paio di cose e poi ci fece sentire in anteprima l’ultimo album del suo gruppo, che se non ricordo male erano i FAUST, che si rivelò registrato benissimo ma di una noia mortale.
Insomma, chiusa parentesi, passai il resto del concerto a pogare e fuggire, pogare e fuggire, e ne uscii ricoperto in egual misura di sangue e merda.
Fu il primo di una serie di concerti metal, più di 150, nel corso dei tre anni successivi ma quello fu uno dei migliori in assoluto.
Morale della favola? Mangiate sempre DOPO un concerto, non si sbaglia mai.

(Roberto Vincitore)

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