IL MIO PRIMO CONCERTO – due temini

bomber

La mia carriera di persona che fa della strada per andare dalla musica inizia con un amore lungo sempre e niente macchina.

Fai che abiti in mezzo alle lande romagnole e il tuo migliore mezzo di trasporto è la costituito dalla bicicletta grande che tuo padre ti ha passato qualche mese prima.

Autobus e treni dimenticali, si parla di villaggi, di provincia profonda, di bar davanti ai benzinai e centri storici deserti dopo le sei di sera, la cui conseguenza  pratica è un treno al giorno e poche corriere, quasi sempre nella direzione sbagliata.

L’antefatto vede il sottoscritto innamorato della stessa ragazza da circa sempre, e la stessa ragazza risiede in un altro villaggio, alla frontiera ovest romagnola, dopo Imola.

Il sottoscritto non vede la ragazza in questione tipo mai, ma passa qualcosa come sei sere alla settimana davanti a MSN -ti ricordo la Provincia, ti ricordo la 56kbps e il telefono occupato mentre navighi- sperando in una sua fortuita epifania.

Ogni occasione è buona per parlare, per condividere passioni, per cercare una scusa per incontrarsi, per far finta di aver appena acceso e essere lì per caso.

Lei suona il piano e ti fa ascoltare Giovanni Allevi.

-“Cosa vuoi farci, son ragazzi”.

Però è quasi subito scimmia per G.A., robe che vai a reperirti tutta la discografia del virtuoso talento marchigiano e diventi senza rendertene conto una specie di fanboy infervorato, un po’ come le ragazze che si rassegnano a vedere la partita col moroso pur di starci abbracciate per un po’.

Ma credo che all’epoca mi piacesse davvero un botto, Giovanni Allevi.

Salta fuori che abbiamo una data, dev’essere stato fine febbraio. Non lo ricordo come un giorno eccessivamente freddo, tenevo il bomber aperto.

L’idea era di partire dalla stazione di Massa Lombarda alle tre e qualcosa dirigersi verso l’autostazione di Imola, poi ancora bus+bus+piedi fino al Teatro delle Celebrazioni.

Parti in gran tromba, cuffie nelle orecchie (probabilmente ascolto gli U2 qualche altra hit dei quindici anni perché sento che è sbagliato ascoltare l’artista prima di andare al suo concerto), mando un messaggio con calcolato finto distacco alla sempre amata, Ciao, viaggio verso di te. A tra poco.

Poi è poco bello scoprire che la biglietteria automatica dell’autostazione è rotta, che non puoi fare il biglietto a bordo, che se è vero che #trenitaliamerda beh, anche l’ATC non scherza.

Sostanzialmente devi spararti un’ora e mezza di autobus fino a Bologna con l’ansia che ti brucia lo stomaco e una fermata ogni 800 metri e arrivare brillante e disinvolto a destinazione in tempo.

Non posso non esserci. È la volta giusta. Questa sera la bacio.

Arrivo a Bologna incolume e con la testa che mi scoppia, probabilmente qualche linea di febbre e piove.

Ho messo una camicia a righe e mi sento ridicolo, arrotolo le maniche per convincermi di essere pienamente a mio agio, forse sudo.

Vaffanculo, sono ridicolo e sono in ritardo.

Prendo un autobus a caso, scendo ad una fermata a caso, cammino un’ora su e giù per via Saragozza prima di trovare il teatro, dieci minuti prima dell’inizio. Lei è là, con mamma e amiche, ma mi ha tenuto il posto vicino a lei.

Non ricordo quasi niente del concerto, ma alla fine sono riuscito a tenerle la mano e sono quasi morto.

Facciamo il codazzo per salutare l’autografo, forse la abbraccio, esco di corsa perché è tardi.

Sembra un po’ la fine di qualcosa ma non so perché.

Si è fatto più freddo, fuori.

Salgo in macchina con mio babbo. Detesto farmi venire a prendere, è sempre così leggermente umiliante.

Guardo oltre il rosso dei semafori dei viali.

Sì, tutto bene, bello dai.

Penso solo che non l’ho baciata.

È finito tutto così in fretta.

Come tutte le prime volte.

Noncandeggiare

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http://www.youtube.com/watch?v=ZihdbcznwrM

Nella mia vita musicale c’è un prima e un dopo. La scoperta del metal, intendo. Non che dal Dopo ascolti metal e basta, ma dal Dopo è cominciata la mia tresca con la musica pesa e ignorante che mai verrà santificata dai Castaldi/Assante di turno, nonché la mia lunga frequentazione dell’ambiente (che dura ancora oggi), inclusi concerti, interviste, scrivere di musica e robe varie. La molla scattò con Somewhere In Time degli Iron Maiden (gruppo di reclutamento n.1 in Italia), nel 1991. Da lì la crescente consapevolezza che il “rock” che avevo ascoltato fino a quel momento fosse, in fin dei conti, merda ricoperta di merda farcita di merda – Queen, Sting, Dire Straits, Elton John, Francesco Salvi, tutta roba da inceneritore (tranne l’ultimo). Nel 1992 mi sarebbe piaciuto andare al Monsters Of Rock di Reggio Emilia, ma niente, perché mi rimandano a settembre in matematica e i genitori pongono il tirannico veto. Però l’inverno, a fine novembre, arrivano a Milano i Manowar! Che all’epoca erano una delle mie band preferite! E stavolta mi ci mandano! L’organizzazione del viaggio Versilia-Milano è abbastanza facile: mio padre decide di accompagnare me e i miei tre amici. A dormire, ci fermiano in una casa disabitata di mia cugina, arredata con soli materassi e coperte. Ma questo non conta. Nessuno di noi era mai stato ad un concerto prima d’ora, quindi non sapevamo di preciso cosa aspettarci. La parata di pittoreschi individui capelluti tutti jeans, cuoio e toppe evocava scenari di perdizione, del tipo “e se magari fossero tutti drogati davvero?”, ma alla fine non facevano niente di diverso da quello che ero abituato a vedere in un qualsiasi rione del carnevale di Viareggio. Un gruppetto in particolare era davvero folkloristico: quattro o cinque vichingoni già ubriachi marci all’apertura dei cancelli, che inneggiavano rumorosamente a Odino. Li rividi a fine serata, completamente dilaniati dall’alcol. E arriviamo al concerto. Quando i quattro di Auburn (NY) irrompono sul palco a suon di Manowar (la canzone), la gente intorno a me inizia a fare delle robe strane, cioè si salta addosso pigliandosi a spallate. Dovevo adeguarmi o perire. A mente fredda, doveva trattarsi di quel pogo di cui avevo letto sulle riviste senza capirci moltissimo. Per inciso, una merda, perché volevo anche vedere lo show e non solo cimentarmi nella maschia pugna, quindi dopo due canzoni cambiai posto. Ah, vedere, già. Ai tempi, di immagini dei Manowar non è che se ne trovassero poi molte: la più diffusa era la copertina di Fighting The World, dove Ken Kelly li aveva rinfighiti del 150% e comunque c’erano sempre Scott Columbus e Ross The Boss al posto di Dave Shankle e Rhino. Il concerto in sè fu bellissimo, un po’ perché era il primo, ma anche perché i Manowar erano belli carichi. Non solo. A sedici anni, andare al loro concerto ti faceva sentir parte di una setta di Sommi Conoscitori Della Mvsica, che era tale per autocertificazione. Fatto sta che mi divertii un sacco, e da allora ho rivisto i Manowar altre due volte, nel ’94 e nel 2012. Nel ventennale del nostro primo concerto, io e uno di quei tre amici non abbiamo potuto resistere. Lo rifarei, ovviamente. METALZ!

Negrodeath

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