La pesantata del venerdì: CINQUEMILA DATTILOSCRITTI TRA CUI IL NUOVO FONTAMARA

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Dal 17 novembre Masterpiece (1) ti aspetta ogni domenica in seconda serata su Rai3, dice. Già così e triste, e non avete letto il resto. Da un’idea di FremantleMedia per Rai3, in collaborazione con RCS, nasce Masterpiece, il primo talent show per aspiranti scrittori che competono per realizzare il sogno della vita: pubblicare il loro romanzo con Bompiani.

Sono nato nel ’77, non fate battute, voglio dire che non ho mai vissuto una corrente letteraria italiana rilevante in tempo reale, almeno a quanto ricordo ora. Nessuno della mia generazione ha mai appeso un manifesto da qualche parte per spiegare di cosa si sarebbe occupato, almeno a grandi linee. E quindi non ho la più pallida idea di cosa volessero o provassero le persone nel primo novecento, ma a occhio e croce penso che la maggior parte di quella gente non aspirasse a pubblicare il proprio romanzo con Bompiani quanto piuttosto a -non so- scrivere una cosa che spaccasse la testa ai contemporanei, o una cosa bella, o una cosa che fosse una cosa che avesse un senso in quel momento lì in cui la scrivevi. Probabilmente sono io, certo. Voi che ve ne siete fatti della liberazione dei formati? Come avete sfruttato il fatto che chiunque potesse leggere la vostra merda senza necessariamente dover essere pubblicati da un editore non-a-pagamento? Un cazzo? Anche io. Il piuttosto lucido Jacopo Cirillo (2) dà una sua idea della cosa qui, in modo volutamente fazioso e antipatico e salvato dal fatto che, cristo, mica gli puoi dire che ha torto.

Mi interessava molto anche quell’altra storia, quella di mio nonno che io non ho mai conosciuto ma questa storia me l’hanno venduta sette o otto volte. Mio nonno attaccava pezze a chiunque. Attaccare la pezza in romagnolo vuol dire che vai da una persona e la inizi ad impezzare, perché io dalla Romagna sono uscito poche volte e faccio fatica a spiegarlo però una volta l’ho scritto e facciamo che va bene quello che ho scritto l‘altra volta. Attaccare la pezza (3) si usa quando una persona inizia un discorso estremamente personale, nel senso diretto proprio a TE, del quale ti interessa poco o nulla o comunque non tanto da giustificare il tono confidenziale ed eccitato che la conversazione sta prendendo. Da qualche altra parte in Italia attaccare la pezza vuol dire credo attaccar bottone con una tizia o cercare una rissa, in Romagna si usano altre parole per queste cose. Puoi attaccare la pezza allo scopo di attaccare bottone con una tizia, ma sono due cose diverse -e se la tipa dice che le hai attaccato una gran pezza in genere significa che avrà cura di evitare una seconda conversazione con te e quindi di fatto se le hai attaccato la pezza non sei riuscito ad attaccare bottone. Esiste anche il corrispondente per definire chi attacca le pezze a getto continuo, cioè il cosiddetto attaccapezze. Nessuno vuole un attaccapezze nella compagnia perché tende a non sfangarsi e spezzare la bolgia e insomma alla fine ti scoppia la faccia. Questo a meno che non si consideri la pezza anche in una eventuale accezione positiva, tipo i venditori che ti attaccano una gran pezza e poi riescono appunto a venderti le cose, o quelli che non fanno mai morire la conversazione e a volte la conversazione è bello che non muoia. Ecco, mio nonno era un attaccapezze nell’ultimo modo, dicevano che non stava mai zitto e faceva quel lavoro lì, non il venditore, beh faceva il mezzadro, ma attaccava anche la pezza. Poi di punto in bianco mio nonno ha smesso di parlare. Non è stato per una malattia o un incidente o tre giorni prima di morire. Un giorno ha finito il discorso e non ha più parlato. Due settimane dopo qualcuno ha iniziato a pensare che qualcosa non andava, ma è difficile affrontare queste cose. Mio babbo un giorno s’avvicina e glielo chiede: babbo, ma com’è che non parli più? Mio nonno fissa mio babbo per venti secondi e poi risponde SAOIDADEI, l’accento va sulla E chiusa e muta e non è giapponese ma sempre dialetto romagnolo per cosa devo dire?.

Mio nonno, qualcuno disse, aveva finito gli argomenti. A me piace pensare che a un certo punto decidi che devi dire solo cose interessanti e perdi interesse nelle cose e allora non dici. Oppure non ti piace più sentire la tua voce. Io con la mia voce ho un sacco di problemi, soprattutto quando la sento registrata mi sento il più cretino di tutti e forse lo sono –voglio dire, le voci registrate delle altre persone sono uguali a quelle live, quindi immagino anche la mia, che bello, grazie mamma per queste corde vocali. (4) Dicevo: il reality degli scrittori. Cinquemila dattiloscritti presentati, Massimo Coppola sarà il COACH, Andrea de Carlo tra i giudici.

Non posso dire di essere particolarmente colpito dal fatto che esista un sistema di valori che permetta l’esistenza di un reality show per gente che scrive. La maggior parte degli scrittori che conosco, intendo della gente che scrive, starebbe benissimo in posti tipo l’Isola dei Famosi, come del resto qualsiasi altro essere umano. Parlo per sentito dire, non ho mai visto l’Isola dei Famosi. Ho visto la prima edizione del Grande Fratello, una mezza stagione di X-Factor (quella vinta da Natalie Giannitrapani, una grandiosa Tori Amos alla vaccinara che non riuscì a superare il Sanremo di quell’anno; controllando su Wiki scopro che la miglior performance del suo ultimo disco, uscito quest’anno, è stata il ventesimo posto in classifica, che credo voglia dire milleduecento copie). Il mio reality show preferito è stato Operazione Trionfo, il quale credo sia durato una sola stagione ed era condotto da un Miguel Bosé in botta pesantissima, che senza conoscere l’italiano si magnava un gruppo di concorrenti completamente indifeso. Una cosa che può trasparire da questa cosa è che non so distinguere benissimo i concetti di reality show e talent show. Dicevo: molti scrittori che conosco, intendo con scrittori gente che ama passare il proprio tempo libero scrivendo (non conosco scrittori affermati), sarebbero carne buona per qualsiasi reality. Sei puntate sul loro concetto di igiene personale, poi qualcuno cita Deleuze e si scopa. Per tutto il resto, non saprei davvero dire se ci possa essere spazio a livello televisivo per questa merda, intendo dire –che so- qualcuno che sale su un predellino e legge il suo componimento e qualcuno sotto che dice “bravo, sei molto Eggers in questo passo, ma dovremmo andare oltre Dave Eggers, non ti pare?”.

Una cosa che mi disse Marco Pecorari quando lo intervistai:

il nostro Paese, anzi il nostro paese con la p minuscola, allo stato attuale è forse uno dei paesi AL MONDO dove la cultura sta lentamente, anzi velocemente scomparendo in tutte le accezioni che trovi su wikipedia (che anche questa è una bella gag). Ed è inutile dare la colpa a Berlusconi e al berlusconismo, la supposta controcultura o la supposta alternativa (in questo senso: la cultura di sinistra, diciamo così per tagliarla con l’accetta, gli eredi del PCI e bla bla) a mio avviso ha prodotto sonni della ragione altrettanto dannosi. (…) Viviamo in un paese dove i pochi stimoli culturali rimasti vengono sanzionati e stigmatizzati da una parte, e se non cadono nel box degli ultimi dogmi “sinistrorsi” rimasti vengono ugualmente sanzionati e stigmatizzati. (5)

Non so se sia ancora valido l’assunto popolare secondo il quale la RAI è la massima roccaforte della cultura di sinistra in questo paese. Molte buone riflessioni vengono da un’intervista fatta da Valerio Mattioli a Costantino della Gherardesca, appena reduce dal successo di Pechino Express (non l’ho visto ma mi dicono sia stato molto buono):

Dici che una volta in prima serata ci andava appunto Luciano Berio [il programma che curò per la Rai nel 1972, C’è musica e musica, è stato recentemente ristampato in dvd da Feltrinelli, ndr], e che quindi mettersi a parlare di “esperimenti” nello stesso luogo dove lui aveva il suo studio…

«Dico che in Italia sulla musica c’è una specie di furto di informazioni. Se tu guardi la classifica dei dischi più venduti in Italia e la confronti con quella di un qualsiasi altro paese europeo, ti viene da metterti le mani nei capelli. È totalmente avulsa da quello che succede nel resto del mondo, e allora tu ti chiedi: ma come è possibile? Ma come, non stiamo in tempi di globalizzazione, non ci dovremmo confrontare alla pari con paesi come l’Inghilterra o anche la Francia?».

Secondo te cos’è successo?

«È successo che con l’avvento dei talent show si è scatenata una metastasi, ed ecco il risultato».

Ma fammi capire, secondo te la colpa maggiore dei talent show qual è?

«Semplice: essere una fucina di musica di merda». (6)

Non è che voglio piombare a peso morto sulla musica, e credo che questa cosa riveli bene un’altra mia psicosi sull’argomento: i talent show sulla letteratura e sulla musica sono sempre talent show, e io non so distinguere tra talent show e reality show, e peraltro non so distinguere nemmeno tra i reality show e i programmi di cucina, anzi c’era quello figo della prima edizione del grande fratello che poi si vide assegnato uno spin-off di cucina forse alla fine di Studio Aperto. Lo so perché vidi una puntata in cui insegnò a fare la tagliata mettendo a bollire un pezzo di carne gigantesco, e io pensai a quella scena di Apocalypse Now quando Chef spiega perché era scappato dalla cucina dell’esercito ed aveva fatto domanda da marconista, e fortunatamente in quel momento in entrambi i casi è spuntata una tigre dal fogliame e ha cercato di sbranarci. Sapete che fine ha fatto quello figo del Grande Fratello? Ha aperto una paninoteca a Barcellona, una fine uguale (ma più in piccolo) di quella di Mascia Ferri, la quale pare possieda un sacco di locali nella città in cui vivo. Pietro Taricone (7) ha interpretato se stesso in un film di Muccino ed è morto aprendo il paracadute: la lista dei volti umani del Grande Fratello finisce più o meno qui, devastati da nuove generazioni di gente fica e abbronzata e messa su come Taricone ma priva della visione d’insieme di Taricone (manco avessi detto Caprarica). Taricone nel film di Muccino si scopa un po’ Nicoletta Romanoff, la quale poi lo scarica per Enrico Silvestrin. Silvestrin che mi sembrava fosse passato dal vjing a cantare in una cover band dei Pearl Jam, ma quello in realtà è Marco Cocci, ex Malfunk e attore sempre per Muccino; Silvestrin invece aveva un gruppo di nome Silv3rman, che mi pare facesse cacare ma non ne sono sicuro quindi su questa il giudizio rimane sospeso. Altri vj che non c’entrano: Carlo Pastore ha un gruppo che si chiama Wemen, Mandelli ha fatto supersuccesso coi Soliti Idioti e diocristo ora suona in giro con Adam Green. Ai tempi si parlava molto del fatto che Nicoletta Romanoff fosse discendente della stirpe dei Romanoff da parte di madre, il che è grottesco se penso che ignoravo prima di scrivere questo pezzo che IL PADRE di Nicoletta Romanoff è stato un deputato eletto con AN (ora FLI e quindi credo ex-deputato, a quanto pare fu protagonista di una battaglia volta a togliere ai deputati l’obbligo di pagare le multe per divieto di sosta). Vuoi non mettere i post-fascisti a un certo punto della storia?

Ricomincio: abbiamo celebrità con la data di scadenza più corta del prosciutto crudo, che vengono elevate a una sorta di microsistema a cui aspirare e che si autoregola imitando il macrosistema dell’anno prima in modo maldestro e dis-attraente. Non è la prima epoca storica in cui vengono spediti degli storpi a ballare sul palco per il divertimento di quelli che si ubriacano sotto, ma è senz’altro la prima epoca storica in cui a compilare l’application form per diventrare storpio c’è una fila lunga trenta metri. Masterpiece, complimenti per il titolo tra l’altro, ospita per la prima volta una serie di concorrenti che sono supposti aver letto un libro in vita loro. E poi un altro passo indietro: il problema di me e svariate altre persone che seguo su twitter (seguire significa che reputare intelligenti) è che ci sentiamo una sorta di intellighenzia non riconosciuta di questo paese perché abbiamo, appunto, letto libri. (8) Non tantissimi, in realtà –e quasi sempre gli stessi, da cui appunto il nostro sentirci intellighenzia. Il punto è che twitter era iniziato come una specie di giochino senza senso in cui parlavamo in terza persona e raccontavamo di quando andavamo a cacare. Poi già che era divertente ci abbiamo spostato informazione e lotta politica, e poi ci siamo ritrovati tutti lì a guardare il festival di Sanremo e le partite degli europei. La cosa del festival era venuta particolarmente bene, ma è venuta bene in un periodo nel quale la differenza tra guilty pleasure e raffinata estetica pop si è assottigliata fino a sparire. In questo ambiente la popolazione si divide in un 2% di persone che comprende la differenza fra estetica pop ed estetica trash, e di un altro 98% di persone convinte di far parte di quel 2% (io faccio parte del 2% ovviamente). Così ai tempi di internet è molto più facile decodificare i fenomeni in sé che decodificare le dinamiche dietro i processi di decodifica, e per fare prima si lanciano frasi monitorie per pararsi il culo. Lo so cosa pensi che io pensi, ma il mio pensare è più svelto del tuo quindi penserò al contrario per accendere la tua mente. Per dire di una cosa successa di recente: odio Terry Richardson da sempre e il fatto che ieri qualcuno mi abbia linkato un articolo intitolato 5 Reasons why terry richardson is a fucking scumbag & you should boycott his work (9) mi ha fatto passare almeno quaranta minuti a riconsiderare la sua opera. Su internet quasi tutte le discussioni finiscono per abbandono. Un paradosso è che chi abbandona può borbottare “ora basta, io ho una vita sai” mentre sta abbandonando e tendenzialmente vince. Un altro paradosso è che se usi io ho una vita più spesso, invece di perdere credibilità, infondi il sospetto che tu una vita ce l’abbia effettivamente. Questa cosa della vita è facilmente confutabile, in ogni caso: giovedì live-tweeting di X-Factor, sabato e domenica live-dissing di Fazio, Ballando con le Stelle, Ballarò, Gazebo, Pechino Express, qualsiasi altro reality/talent show, MTV Awards, notte degli Oscar, Grammy, il keynote di Apple (che è diventato una specie di Grande Fratello, pure quello: performance, scenografia, colonna sonora, abbigliamento dei relatori) e tutti gli spin-off. Pensavamo che fosse atroce quando postavano foto delle pietanze che stavano pappandosi al ristorante, e poi i ristoranti hanno iniziato a chiudere. Dietro questi discorsi non c’è una vera e propria tassonomia, per la quale servirebbe un distacco che non ho (dovreste vedermi, anzi, quando s’avvicina la settimana del Festival). Il punto è che il problema del collasso dei sistemi esiste, ci abbronza quotidianamente ed è generato dall’ansia di non fare sempre e solo la figura dei pesantoni, un’ansia generata in provetta negli anni ottanta –epoca storica in cui BAM, improvvisamente scopare è diventato appannaggio della destra liberale e per farlo è iniziato a servire uno status symbol. Gli scopatori di sinistra continuano a citare Deleuze, ma sei anni di twitter mi hanno insegnato che se citi Deleuze è probabile che tu non valga un cazzo.

E insomma Masterpiece sarà -magari- un insuccesso, ma sarebbe un’occasione d’oro per metterci di fronte alle nostre responsabilità come specie umana. Non ho idea di come funzioni, ma direi che a un certo punto qualcuno dovrà leggere un componimento e qualcun altro dovrà commentarlo. E qualcun altro cercherà di straforo di infilare l’uccello dentro qualcuna, incurante del fatto che questa cosa ci allontana dalla bontà del nostro romanzo fin dal 1985 (alla fine dell’anno, non a caso o sì, Dennes Dale Boon morì in un incidente automobilistico). Il tutto mentre sui social qualcuno sgama un congiuntivo sbagliato, crea un #hashtag e il popolo italiano, da anni alla disperata ricerca di un Quasimodo, si ritrova nel carrello un altro Carlo Maria Rogito (10). L’unico a cui giovi tutto questo è il tizio che ha sgamato il congiuntivo sbagliato: capace che lo mette nel CV.

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note al testo

Masterpiece 

Jacopo Cirillo sull’autopubblicarsi

3 Le espressioni romagnole che preferisco (parte 2)

4 Il verbo rubare

Marco Pecorari

l’intervista di Valerio Mattioli a Costantino della Gherardesca

7 Pietro Taricone

il mio twitter

5 Reasons why terry richardson is a fucking scumbag & you should boycott his work

10 Carlo Maria Rogito

8 thoughts on “La pesantata del venerdì: CINQUEMILA DATTILOSCRITTI TRA CUI IL NUOVO FONTAMARA”

  1. in effetti a rimini e verso rimini, soprattutto a san mauro pascoli, dove dicono anche AL MOILI e AL POIRI, è SAOIDADOI. nel cesenate la vulgata è SAOIDADI’ o -DEI a seconda delle zone

  2. “Attaccare la pezza si usa quando una persona inizia un discorso estremamente personale, nel senso diretto proprio a TE, del quale ti interessa poco o nulla o comunque non tanto da giustificare il tono confidenziale ed eccitato che la conversazione sta prendendo.”
    In pratica tuo nonno era un blogger ante-litteram.

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