Appunti a cazzo sul nuovo disco (lo so, lo so) dei Black Flag

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Ho ascoltato il nuovo disco dei Black Flag e non so come mi ci sento.

Nelle prossime settecento righe darò una versione più lunga di quello che ho scritto nella riga sopra, sotto forma di appunti che iniziano con

1. La vicenda Black Flag è una vicenda intimamente patetica e lo è da molto più tempo di quanto sembri a un primo sguardo.

2. La vicenda patetica di cui sopra ha protagonisti diversi a seconda delle epoche storiche

3. La patetica vicenda Black Flag ha generato (e genera) un indotto culturale di dimensioni ciclopiche con cui si fa i conti di giorno in giorno. Questo indotto è composto tanto da popstar che vestono la maglietta con le quattro sbarre quanto da chi si dissocia dalle vicende degli ultimi anni, da chi promuove gli OFF! come miglior precipitato contemporaneo di quell’epoca, da chi se ne sbatte rumorosamente il cazzo e da chi continua a dissociarsi e a ri-raccontare la storia daccapo in libri peraltro bellissimi, oltre che un milione di pezzi di giornalismo musicale all’anno in cui viene denigrato questo o quel gruppo punk perché ALTRO CHE LORO, I BLACK FLAG. Da questo punto di vista può sembrare una cosa da infingardi che pure Greg Ginn si rimetta in pista e cerchi di spremere dal marchio Black Flag qualche migliaio di dollari extra, ma oggi ho i cazzi miei e penso che in fin dei conti è meglio che quei soldi vadano a lui piuttosto che, boh, a chi fotografa la cantante dei Black Eyed Peas con la maglietta del gruppo.

4. Questa cosa della *purezza* dei Black Flag non riguarda quasi nessuno di quelli che attualmente cazzeggiano con la musica. Io sono vecchiotto e ho iniziato ad ascoltare la musica nei primi anni novanta, quando già la Rollins Band aveva cacato fuori tra i tre e i quattro dischi epocali. Quelli che si lamentano dei “bei tempi andati” dei Black Flag avendone coscienza diretta sono persone con addosso l’età di Greg Ginn e -con tutta probabilità- una storia di violenza nella tarda adolescenza. Gli altri, presenti inclusi, parlano per sentito dire.

5. La gente continua comunque a coprire i Black Flag: vestire le magliette con le sbarre, postare le copertine e i volantini di Pettibon su Tumbr, postare i video di Rollins che pesta un fan, realizzare esperimenti di gattini con Photoshop, confrontarsi su quale sia stato il cantante migliore, dividersi tra quelli che preferiscono i dischi fino a Damaged e quelli che preferiscono i dischi dopo e qualsiasi altra sfera dello scibile che non preveda necessariamente di doverne ascoltare i dischi.

6. I dischi dei Black Flag sono ancora bellissimi. Non tutti e non sempre, ma per la maggior parte sì. Il mio disco preferito dei Black Flag è My War, segue Slip It In e poi forse The Process of Weeding Out. È una scelta banale. La cosa migliore dei dischi dei Black Flag è il lavoro del chitarrista, e il chitarrista dei Black Flag -alla fine della fiera- è l’unico vero visionario che abbia mai fatto parte delle fila del gruppo.

7. Non ho mai visto dal vivo nessuna reincarnazione dei Black Flag. Né le incarnazioni-benefit, né la Rollins Band (già), né gli OFF!, né i cosiddetti FLAG e neanche il gruppo di Chuck Dukowski con il nero degli Oxbow alla voce alle prese con outtake del periodo Jealous Again. Non so dire chi ci creda e chi no. I dischi della Rollins Band sono tra i miei dischi preferiti e Rollins è in generale l’unico personaggio a cui continuo a credere a prescindere da quale sia la vaccata a cui decide di prestarsi di settimana in settimana, ma questa cosa ha a che fare con una mia disposizione d’animo e non con ragioni critiche che possa io esporre.

8. La copertina del disco nuovo dei Black Flag, i quali (ricordiamo) sono l’incarnazione dei Black Flag con Ron Reyes alla voce e Greg Ginn alla chitarra, non è un fake. Nel senso, la copertina che vedete sopra pare sia l’effettiva copertina del disco e fa vomitare la merda e non è realizzata (abbastanza evidentemente) da Raymond Pettibon. La storia l’ho letta da qualche parte: pare sia un disegno di Ron Reyes e che sia l’unico disegno su cui tutto il gruppo ha detto sì.

9. Questa storia mi ricorda un po’ quando abbiamo deciso il nome di mia figlia: abbiamo iniziato a sparare nomi a cazzo per vedere se ce ne fosse qualcuno che mettesse d’accordo sia me che la mia fidanzata, e poi abbiamo scoperto che in realtà c’erano altre dodici o tredici persone straconvinte (peraltro a ragione) di avere diritto di veto su questa cosa. E poi queste dodici o tredici persone hanno iniziato a droppare i loro nomi preferiti ed è diventata una specie di faida nelle quali tutti accusavano tutti gli altri di cattivo gusto e dovevi votare per ogni nome in una scala che andava da 1 a 5 ove 5 era “vorrei davvero che si chiamasse così”. A un certo punto la rosa dei nomi era ristretta a due o tre possibilità che sono state scartate perché qualcuno aveva posto dubbi su ciascuno dei nomi presenti. A un certo punto questa cazzata dello scegliere il nome ci ha semplicemente STREMATO. Il giorno dopo è saltato fuori a caso un nome che nessuno aveva considerato e abbiamo deciso di chiamare nostra figlia con quel nome, senza chiedere a un cazzo di nessuno cosa ne pensasse. Il giorno che la bambina è nata, una parente ha chiamato al telefono e ha chiesto che nome avevamo scelto. Gliel’abbiamo detto, lei ha risposto “beh l’importante è che stia bene di salute”. Sto divagando.

10. Se riuscissimo un secondo ad astrarre la musica dei Black Flag da tutto l’immaginario legato ai Black Flag che abbiamo ereditato e contribuito attivamente a perpetuare, probabilmente saremmo obbligati a rivalutarla tutta dall’inizio e considerare che la cosa figa che succede in questo video non è quella che si vede o quello che si ascolta. Oppure, in alternativa, che la musica dei Black Flag ai tempi era abbastanza al di fuori delle convenzioni ma solo se ci si riferisce al pubblico a cui si rivolgeva (punk osservanti con la cresta che se suonavi un pezzo lento ti riempivano di cazzotti), e qui ancora una volta si cade nelle trappole della nostalgia o della decodifica (perché quello che c’è in ballo non è la considerazione puntuale di quale sia l’evoluzione della forma mentis del fan del rock, quanto l’aderenza a un canone letterario di base). Io comunque continuo a provarci, e sento che mentre ascolto quella roba non riesco ancora a togliermi di dosso il sapore di tutta quella narrativa. Quando ci riesco mi innamoro un po’ di più della musica dei Black Flag, del fatto che sia unica e continui a suonare diversa da tutto (in generale) e di suonare esattamente come qualcosa che viene fuori dalla mia testa di ventenne (in particolare). È una cosa personale.

11. Se vi succede mai di vederla in questi termini, capace che il nuovo disco dei Black Flag vi prende per i capelli e inizia a pestarvi. Niente di radicale, per carità –son dei vecchi di cinquant’anni. Però insomma, il nuovo disco dei Black Flag suona come un disco dei Black Flag. Al secondo minuto di musica non ti dà più fastidio che ci sia il nome BLACK FLAG sopra il disco. Un sacco di zombi del rock ha deciso di ripartire chiedendosi su quale modello contemporaneo attaccare il proprio impianto originario, e ha cercato di raccoglierne i frutti. Questa cosa con What The…? non succede. I Black Flag per prima cosa non hanno un impianto originario (o insomma, il loro impianto è definito dal superamento del loro impianto precedente), seconda cosa sembra non potergliene fregare meno di inserirsi in un contesto qualsiasi. I pezzi di What The…? sono schegge di suono impostate sulle coordinate estetiche dei Black Flag di Damaged, un bel po’ anonime e col fiato cortissimo, e farebbero schifo al cazzo non fosse per il fatto che un singolo riff della chitarra di Greg Ginn ha poteri curativi che trascendono l’umano senso.

12. questa cosa che ho scritto, un singolo riff della chitarra di Greg Ginn ha poteri curativi che trascendono l’umano senso, potrebbe essere confusa come una l’ennesimo richiamo epica del rock, ma non voleva esserlo e vi chiedo preventivamente scusa. Intendo dire: Greg Ginn si fa carico di un lavoro disumano, spinge la cosa oltre il limite, ha il coraggio di suonare come dovrebbe, non la butta in caciara, non se ne esce con i PROCLAMI. Le chitarre nel nuovo disco dei Black Flag hanno quel suono che ti fa chiedere a quanto tempo era passato dacchè non sentivi una chitarra del genere. E in questo il nuovo disco dei Black Flag è soprattutto un’esperienza musicale soddisfacente per chi ascolta quella roba. E un disco estremamente onesto e la totale assenza di aspettative può avere giocato brutti scherzi, ma anche no. Provateci.

4 thoughts on “Appunti a cazzo sul nuovo disco (lo so, lo so) dei Black Flag”

  1. “(perché quello che c’è in ballo non è la considerazione puntuale di quale sia l’evoluzione della forma mentis del fan del rock, quanto l’aderenza a un canone letterario di base)”

    Uhm, probabilmente non ho capito una ceppa di quello che intendi, ma – a parte il non riuscirci del tuo caso – è davvero così che stanno le cose, se non sei scaruffi? secondo me le due cose sono quantomeno parimenti importanti, anzi la prima lo è di più. In ogni caso quando penso a “qualcosa di vicino ai Black Flag” non mi viene in mente gente che è venuta prima, ma solo gente che è venuta dopo.
    Stefano

  2. No dai ma che davero davero? E’ SERIAMENTE quella la copertina? E’ DAVVERO quello il titolo?? Ma che è, i Persiana Jones?

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