La pesantata del venerdì: HO CAPITO CHE C’È CRISI MA TE VUOI PAGARE CINQUE EURO UN CD NUOVO.

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GENESI

Questa forse ve la devo spiegare, anche se non è la prima volta che si parla di ‘sta cosa qua dentro. Che qua dentro si sia fan dei negozi di dischi (1, 2, 3, 4) è un concetto che è passato, giusto? OK.

Sul forum del Mucchio, l’unico forum che ancora frequento, c’è un thread che si chiama LA MORTE DEI NEGOZI DI DISCHI. È partito qualche nell’aprile del 2009 da un pezzo bellissimo scritto sul Mucchio dall’amico Aurelio Pasini (ciao Aury) sulla chiusura di Nannucci e va avanti per qualcosa come millecinquecento interventi. Ogni tanto chiude un negozio nuovo e la discussione torna ad aggiornarsi. (questo pezzo contiene brandelli di cose che ho già scritto lì).

ESODO

Recentemente, il più grande problema dei negozi di dischi (tutti e sei i negozi rimasti) sembra essere che i dischi SI PAGANO TROPPO, rispetto ai soldi che si spendono a comprarli non-nei-negozi. Esempio: il disco di questo che trovo nel negozio a venti euro, alla Fnac lo pago (pagavo) dieci e su Amazon cinque euro. Il problema, dice un tizio, è la percezione di quale debba essere il costo di un CD. Una domanda interessante. Quanto?

Qualcuno dice “5 euro”. Qualcuno risponde “massimo 10”.

Inorridisco, insulto qualcuno, si sviluppa una discussione. Nei forum succede così. Decido, questa mattina, di fare la stessa domanda su twitter.

La domanda è volutamente generica. “Quanto sei disposto a pagare per un CD?”. Sottende l’idea che i CD comprati nei negozi siano uguali a quelli comprati su internet, che a livello di prodotto in sé è verissimo. La risposta, considerando più o meno una settantina di risposte è 10 euro a dir tanto. Sei o sette persone dicono più di 10, due persone “massimo 15”, una sola 18/20 euro. Molti fissano effettivamente il tetto a 5 euro per il catalogo, qualcuno anche per i nuovi. Il mio twitter si lega a gente che cazzeggia con la musica. La risposta è una risposta da consumatori: posso scaricarlo e comprarlo su itunes, pago due lire in più per avere il supporto fisico, ciao.

Specifica aggiuntiva: un CD con un booklet di due pagine non vale 10 euro. I CD, per venire comprati a qualsiasi cifra, devono essere oggetti da collezione.

LEVITICO

Il CD a 5 euro è un’anomalia statistica diventata istituzione, comparsa nel banchetto dell’usato da qualche parte negli anni novanta e da lì in poi eretta a sistema economico per motivi che non comprendo a fondo. Tu vai a vendere dei CD usati al negoziante, lui ti dà due euro e mezzo e li vende a sei/sette euro. Per te è un affare? insomma -è tipo il 10% di quanto l’hai pagato nuovo. Per il negoziante è un affare? Mica tanto. Si sobbarca il costo di un probabile stock, ci paga le tasse e le spese fisse e tutto il resto, alla fine ti rimangono in tasca i soldi che rimangono al barista per un caffè (ma credo si vendano più caffè che CD usati). In prospettiva non è un mercato che ti rende ricco ma diciamo che –almeno- non è in perdita. Pausa caffè/CD usato.

NUMERI

quest’anno mi è capitato di fare i disegni per la copertina di un disco, che è questo (lo metto per tirarmela e spammare un po’, comprate questo disco CAZZO è bellissimo l’ho disegnato io):

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Ogni Giorno – Il fine settimana, due anni dopo

Questo disco è stato registrato dentro uno studio che costa soldi. Poi il disco deve venire stampato -AKA serve un master- e viene messa insieme una copertina, da stampare anche quella.

Questo disco, in particolare, costa alla stampa 4,5 euro. È vero che è una confezione lussuosa (grazie regaz), e in questo risponde ad un’esigenza manifestatami da qualcuno che mi ha risposto su twitter: il CD oggi deve essere un oggetto carino di per sé, o mi prendo su i file e vaffanculo. Il CD degli Ogni Giorno, stampato e finito, costa 4,5 euro. In questi 4,5 euro di costo non sono comprese:

1) le ore di studio
2) il master
3) l’illustratore/il grafico

4) andare a prendere i dischi in un posto e portarli a casa propria.

Conto della serva: il costo di questo disco, dentro uno scatolone a casa dell’etichetta, si aggira tra i cinque e i sei euro. Ora il disco va venduto a qualcuno. Vai nei negozi o in GD? Vendi il disco a un distributore. Il quale (la sparo) compra i dischi a sette euro (più IVA), cioè un euro a copia per l’etichetta. I distributori hanno due modi di comprare: il primo è comprare, il secondo è comprare in contovendita. Se compri in contovendita ha probabilmente senso che tu venda il tuo CD al negoziante intorno ai 10 euro (più IVA). è un prezzo bassino: stiamo parlando di un primo margine del 37%, a cui vanno tolte tutte le spese e le tasse etc (se pensate che sia tanto ipotizzo che non lavoriate nel commercio). Questa gente NON sta concludendo l’acquisto al tavolo di un’osteria: ci sono telefonate, mail, corrieri (provate a lavorare due mesi servendovi di un qualsiasi corriere espresso e poi venite qui a dirmi che parlo a vanvera) e tutto quanto. Diciamo che dei tre euro che vanno a comporre il primo margine, un euro se ne va via in spese -o le spese vanno girate al negoziante.

Il negoziante a questo punto si trova il disco nel negozio, deve buttar su il 22% di IVA e decidere quanto guadagnarci sopra. Ponendo che tutto sia andato BENISSIMO (il trasporto è andato ok, niente rotture, non ti cade la scatola mentre la metti sul banco), il disco viene messo sullo scaffale a 17,5 euro e frutta circa 5 euro al negoziante. Questi merdosissimi 5 euro, secondo la percezione popolare RAPINATI al mercato musicale dal negoziante sono soldi su cui il negoziante paga le tasse, l’affitto del negozio, luce gas e tutto il resto. Poniamo che di questi cinque euro alla fine dell’anno gliene rimangano in mano due (e non sono due): un venditore di dischi dovrebbe vendere circa 500 pezzi al mese per tirar fuori uno stipendio da operaio. 500 pezzi al mese vuol dire 20 dischi al giorno, compreso il martedì, noto giorno della settimana in cui la gente esce di casa e si accalca per comprare dischi al negozio.

In sostanza, su un disco indipendente a 17,50 euro (qualora il disco sia venduto in centinaia di copie, e in questo caso nemmeno) non ci lucra nessuno di quelli a cui è passato di mano. Il disco che ho preso in oggetto, come ho detto, è particolarmente lussuoso e se fosse su un jewel case costerebbe molto meno. Ma ci sono costi aggiuntivi su questo conto, per esempio:

1 vengono mandate in giro copie promozionali. Ok, magari no.
2 il disegnatore viene pagato con copie del disco da regalare a sua madre.
3 il gruppo viene pagato in copie del disco da smerciare per suo conto ai concerti
4 il disco, nell’esempio, è venduto in contovendita, va incontro a costi di ritiro che non so quantificare
5 i dischi non vanno spessissimo sold-out.

Un’altra cosa da considerare è che 17,50 euro sono esattamente GLI STESSI SOLDI che si pagavano per un disco quindici anni fa, ad un cambio lira/euro che è stato fissato anche questo una quindicina d’anni fa (nel frattempo la benzina è raddoppiata, per capirci). Qualcuno può giustamente sostenere che la catena produttiva è troppo lunga e che il negozio di dischi non è più il posto dove si comprano i CD. Non sono d’accordo ma è verissimo. Il problema è: esistono alternative? Un’etichetta deve produrre il disco e poi contattare direttamente tutti i negozi del mondo? Prendersi un agente che venda la sua roba a provvigioni? Si può davvero pensare che una catena di grandi magazzini/elettrodomestici/autogrill/supermercati possa inserire come fornitore una singola etichetta o gruppo? Ne dubito. E le major? Non so davvero quantificare. I costi di produzione del CD di Kylie Minogue sono senz’altro più bassi dei 4,5 euro a copia degli Ogni Giorno, ma vanno considerati i costi di registrazione (che non sono i qualche-mila euro che ti costa registrare un disco buona la prima) e le campagne promozionali, il cachet di Michel Gondry e l’assicurazione sul culo di Kylie, il tutto per titoli che mediamente non vendono più i milioni di pezzi ciascuno degli anni novanta. Posso comprare CD ai banchetti dei gruppi e delle etichette, lo faccio anzi ed è il modo in cui ancora preferisco spenderli ma sai com’è. Vai Kylie:

DEUTERONOMIO

Ci sono, ovviamente, i modi di vendere inventati da internet. Il primo modo di vendere inventato da internet è il download gratuito, poi c’è il download a pagamento, streaming legali, poi i dischi fisici comprati sugli Amazon del caso. Come sa chi mi conosce, odio Amazon. Ho fatto acquisti, sia chiaro, e sono andati tutti e due a buon fine; niente ritardi, niente rotture di coglioni, niente inversioni di titoli: ho smesso perché a comprare su Amazon non provo nessuna emozione (e allora tanto vale che me li scarichi) e per le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i dipendenti. Forse il boicottaggio è un concetto stupido e fuori moda, certo, ma l’alternativa è l’idea che un prezzo sufficientemente basso non ha alcun limite morale a cui appigliarsi, e mi sembra molto più agghiacciante. Ok, sono io, ma a leggere questo pezzo il mio banalissimo desiderio è che questa gente chiuda bottega.

Nella discussione sul forum fa abbastanza presto a saltar fuori l’idea che il consumatore sia, come dire, un attore partigiano che deve pensare alla bottega. E che tra un disco a cinque euro e lo stesso disco a quindici sia tenuto a scegliere i cinque euro. Questo ragionamento ne nasconde implicitamente un altro, e cioè che di base non è colpa nostra se qualcuno ci tenta con offerte irrifiutabili (che comunque rifiutiamo), cioè che di base il mercato è quello e noi non siamo responsabili.

Ecco, io non sono d’accordissimo con questa cosa. Credo che sia dovere di chi compra dischi (ma anche, boh, prosciutti) assicurarsi che qualcuno non stia perdendo soldi per coprire un bisogno del consumatore. Ci sono modi per comprare dischi a meno soldi: banchetti, acquisti dal sito dell’etichetta e tutto il resto. Condividere la musica aiuta la diffusione, pagare la musica aiuta il proseguimento della razza, e tutto il resto. Pretendere di pagare massimo dieci euro per un disco nuovo, insomma, mica tanto.

Salterei alle conclusioni ma già così sono quasi diecimila battute.

29 thoughts on “La pesantata del venerdì: HO CAPITO CHE C’È CRISI MA TE VUOI PAGARE CINQUE EURO UN CD NUOVO.”

  1. Prendere come esempio il disco stampato in 200 copie in cartone con 7 cartoline dentro è sbagliato e fuorviante. Un normalissimo disco in jewel case stampato nell’ordine delle migliaia (non parlo mica di numeroni) costa molto di meno. Inoltre affidandone ad esempio la metà alla distribuzione online diretta (parlo di spedizione in busta imballata con dentro il disco dal costo, magari fatto dall’artista stesso) si riesce ad andarci in pari tranquillamente senza nemmeno vendere tutte le copie, è una roba che nell’ambiente hip-hop si fa da sempre. E io, personalmente, sono molto più contento di sapere che il grosso dei soldi vadano agli artisti direttamente invece che ai negozianti. Questo non per odio nei loro confronti, sia ben chiaro, solo che non me ne frega niente di dare loro dei soldi. Nelle dinamiche di mercato che si sono venute a creare, per le realtà musicali che seguo (perlopiù indie/home-made/chiamale come ti pare), il negozio di dischi non ha senso di esistere. Erano (sono) un intermediario accidentale e per carità, necessario, in un epoca che non esiste più.

  2. ma come detto, è una posizione che capisco e rispetto (e non condivido), ma
    1 il disco che ho preso in esempio è certamente di lusso, ma è anche per venire incontro all’esigenza di un formato da collezione, come da richiesta.
    2 come scritto nel pezzo, l’acquisto diretto da artisti ed etichette non è parte di questa analisi. è un altro modo (sacrosanto) di comprare dischi risparmiando

  3. Credo che qui “Ok, sono io, ma a leggere questo pezzo il mio banalissimo desiderio è che questa gente chiuda bottega.” manchi il link al pezzo, o mi sbaglio io?

  4. Bell’articolo, veramente. C’è da farci su una bella riflessione. Il discorso della lunghezza della filiera coglie il segno e secondo me è da farsi a prescindere che il disco sia pubblicato da un’etichetta indipendente o da una major. Io ho 30 anni, ma rimpiango l’emozione della mia adolescenza quando, entrando in un negozio di dischi, “toccavo con mano” (magari con un inconscio gusto del feticcio) qualcosa che ritenevo sacro: un album dei REM, un cd degli Zeppelin, una raccolta sull’indie-rock anni ’90. Era veramente come entrare in un tempio. Oggi, per tanti motivi, girare fra gli scaffali di un negozio di dischi mi crea un senso di perdizione, pari a quando entri in un supermercato appena aperto e dove tu non sei mai entrato prima. Insomma: ti mancano i punti cardinali e, nel mio caso, il punto cardinale che non trovo è quello emotivo. Ha senso “comprare” un supporto fisico, oggi, salvo che non si sia un collezionista di qualcosa? Io, a malincuore, penso di no. Eppure, penso che i negozi possano esistere ancora, ma solo se diventeranno altro. Ho una visione utopica, forse romantica, ma la butto lì: scavalcando esattamente tutta la filiera, mi immagino che sia proprio l’artista (magari anche dopo gli esordi) a portare fisicamente le copie del proprio prodotto in un negozio di dischi. Tiratura limitata: 100 copie. Sai che, se lo vuoi, puoi trovarlo solo lì….Bah, forse è un’idea del cazzo….però mi piace crederci! In ogni caso: condivido!

  5. certo è che pagare per esempio 20 euro di spedizione per comprare direttamente dal sito dell’etichetta è pure da stronzi. Acquistare da amazon italia è comodo più che altro per il costo assente nella spedizione. Il fatto degli operai sfruttati è una merda, se è vero. C’è sempre il rischio di capire quanto questa sia effettivamente la realtà dei fatti e se succede in ogni magazzino amazon del mondo.
    Dimostrare che il valore del disco degli ogni giorno supera abbondantemente i 15 euro è molto facile, cioè: lo *vedi* che è stato fatto un lavoro che va oltre alla musica che c’è incisa sopra. Un cd tipo jewel case come oggetto non ha più appeal. È brutto. Non può valere più di 10 euro circa imho (calcolando qual è il prezzo medio dei dischi mp3). Bisognerebbe capire a questo punto se ha senso proprio produrlo, un cd.
    E poi mi chiedo perché dovrei pagare 23,90 € l’ultimo cd (presumo sia in jewel case ma magari sbaglio) della Pausini sul sito della ibs e (ipotizzando di vivere in america) per meno della stessa cifra (20 dollari) un doppio vinille colorato, con copertina fustellata, direttamente dal sito della deathwish.

  6. Io con questo discorso di Amazon ho solo un piccolo problema. Se oggi Francesco Farabegoli, Stefano Barone e altre 500 persone smetteranno di comprargli dischi per motivi “morali”, siamo sicuri che quelli di Amazon dicano “siamo dei pezzi di merda, vediamo di darci una regolata” invece che “abbiamo sbagliato qualcosa nel marketing; mentre cerchiamo di scoprire cosa sfruttiamo un po’ di più gli impiegati così assorbiamo le perdite”. Non so, magari sono io che non ne capisco una sega, ma direi che un simile boicottaggio può funzionare solo se “politico” e non morale: pubblicizzato, veloce – in modo da far vedere le perdite tipo in sei mesi – e chiaro negli intenti. Ovviamente da questa mia analisi a dire “evvabbè, visto che le cose stanno così compro altri 600 dischi su amazon che mi conviene” ce ne passa…
    Stefano

  7. Scusa fra ma tutto il discorso si basa sul presupposto che la gente ci deve guadagnare sulla musica, cosa che secondo me è 1) fuori dai tempi e contesto socio-culturale 2) dannosa per la musica e le arti in se 3) ma perché

    Se consideri il disco come un investimento del tipo “ok noi abbiamo un Hobby si chiama Gruppo ora andiamo in Studio facciamo un Disco lo stampiamo carino con le illustrazioni del Blogger e speriamo vi piaccia: lo vendiamo a 8€ che è esattamente il costo di produzione + 2€ così ci compriamo i panini e copriamo le spese dei 100 dischi invenduti” la cosa acquista molto più senso. Se fai un disco bello e hai un pubblico, non ci rimetti soldi, altrimenti continui a tue spese. Senza contare che poi se una scena s’ha da fare, non sono certo i 10 o 15€ dei dischi a fermarla, vedi anche intere scene locali costruiti su microlabel e/o formati diversi e/o internet e/o

    insomma bello il disco che hai disegnato ma è roba comprata da uno specifico segmento di uno specifico segmento di uno specifico segmento di persone italiane che forse non hanno problemi a spendere 15€ per quel disco che hai disegnato ma io no, o magari dopo lo scarico e ci penso

  8. Vorrei anche sottolineare, riguardo Amazon e altri colossi della vendita online, che ogni volta che facciamo un acquisto da loro ci stiamo tirando la zappa sui piedi in modalità multilivello. Innanzitutto, siamo sicuri di volere un futuro in cui l’unica opportunità di lavoro sia quella dipendente da una multinazionale? Perché è lì che poi si va a finire, man mano che negozi (e produttori) indipendenti chiudono i battenti. Rimarranno in piedi solo queste realtà da grande distribuzione, gli stessi distributori non avranno senso di esistere e saremo troppo impegnati ad applaudire al risparmio per le nostre tasche e all’accorciamento della filiera per renderci conto che saremo nel frattempo diventati schiavi di un unico centro commerciale, sia come consumatori che come eventuali dipendenti.
    Inoltre vorrei sottolineare come Amazon (e Ebay, e Google, e………) siano tutte società con sede in Lussemburgo o altri paradisi fiscali. Per cui ogni volta che acquistiamo un disco (o qualsiasi altra cosa) lì stiamo impedendo al nostro Stato di avere introiti da iva e tasse. Vi invito a richiedere una regolare fattura d’acquisto con iva scorporata ad Amazon, se ci riuscite. Provateci. E allora anche qua: tutti ad applaudire (“In culo allo Stato!”). Ma rendetevi conto che togliere l’80% del mercato ai commercianti italiani significa poi che lo Stato i soldi se li viene a prendere dalle tue tasche in qualche altro modo.

  9. Ancora parlate di studi/negozi di dischi/distributori? Ma chi è sotto i 25 anni ragiona ormai in altro modo:
    Disco fatto con Garage Band su Mac regalato dai parenti/prestato da amico.
    Mixato con lo stesso o se proprio vuoi fare il califfo lo mandi a quel tipo di Chicago a cui tutti lo fanno masterizzare per dire che è fatto a Chicago.
    Bandcamp + opzione “paga quanto vuoi (anche 0)”

    Fine.

  10. io so solo che:
    – i cd non li compero più da un pezzo [FLAC > CD] percui non sono informato sui prezzi.
    -i vinili li compero ai concerti, alle distro o su discogs: ai concerti o alle distro posso arrivare a spendere anche 20e pensando che comunque sono in un posto dove vendono birre da 5e ed invece che buttarli lì li do alla band, su discogs di solito cerco prime edizioni che in media vanno da 40e a 100e, ovviamente tutto con spirito collezionistico (e ci si guadagna anche col tempo).
    per il resto è il mercato, chissene di amazon quando troverò precisamente la roba che voglio lì lo userò ma non ha senso farsi le para alla ian mckey per la musica quando poi tutte le altre cose che usi sono prodotte da multinazionali, se vai a vivere in montagna ad allevare porci allora hai il diritto di lamentarti altrimenti tranquilli bella lì-

  11. Tanto tempo fa, su questo blog, si parlava d’altro e IN ALTRO MODO, prima che sfanculasse tutto e si cominciasse a parlare solo di musica di merda e una volta era tutta campagna e gazebo penguins di sto cazzo impanato dorato e croccantissimo che saranno carini, ma pure vaffanculo. Ora io non lo so, ti sarai sposato, sarai diventato nonno, che cazzo ne so, però oh, DISCORSI DA VECCHI.

  12. non ce l’ho con questo metodo, se è una precisa scelta del gruppo. non ho problemi con il regalare la musica e il non spendere per registrarla, sul serio, quando esce un disco su bandcamp sono in prima fila. però insomma, un conto è quando questa cosa è frutto di un processo organico, un conto è voler pagare 5/10 euro un CD fuori dai banchetti, cosa che invece va più o meno come dico io, ecco…

  13. Dico una roba che probabilmente non ha senso.
    Se ricordo bene i tempi della rivoluzione industriale e della nascita dei sindacati, l’unico modo per impedire a chi sfruttava di continuare a farlo era che i lavoratori prendessero coscienza e si ribellassero. La ribellione trovava terreno fertile nella società e si espandeva acquisendo il peso necessario a cambiare le cose.
    Oggi c’è tutto un sistema di denuncia/boicottaggio fatto da gente che può permettersi di farlo (tipo me, ben inteso) e indirizzato a gente che non vive il problema manco per sbaglio e che quindi empatizza col dipendente amazon come empatizzerà dieci minuti dopo coi cani di green hill. Questa cosa, imho, non sarà mai neanche vicina a risolvere il problema. Anche perchè quando i lavoratori sfruttati cercano di ribellarsi, a fermarli e ricacciarli al loro posto non è mai il padrone, ma la collettività.
    Potrei scrivere un post di milioni di battute sul fatto che quando ATM a milano fa sciopero bianco (rifiutandosi quindi unicamente di fare ore di straordinario) la città si blocca rendendo lampanti il sotto dimensionamento a livello di personale e le condizioni di sovraccarico e sfruttamento su cui l’azienda campa nei restanti giorni dell’anno. Probabilmente solleverei anche un sacco di voci in favore dei poveri dipendenti.
    Al primo sciopero bianco però, twitter/facebook diventerà comunque un muro infinito di porcodio riconsegnando il tutto alla vera dimensione del problema.

  14. manq però -mi scarico la coscienza- io non sto qui nemmeno per sbaglio a fare la predica a chi dovrebbe fare cosa. mi scoccia che un consumatore cerchi sempre e solo il prezzo, che è una cosa che secondo me a questo mondo non ha portato grossissimi benefici. poi sì, essere pesanti è un po’ l’intento quando si scrive la Pesantata, ma insomma.

    io, per dire, non sono tenuto a risolvere il problema di amazon. se amazon tenesse i dischi a 5 euro in più ciascuno e migliorasse le condizioni di lavoro al suo interno, probabilmente non comprerei comunque su amazon. così di sicuro non lo faccio, ecco.

  15. Io l’altro giorno ero nell’ultima catena di negozi di dischi rimasta in Italia. Catena che ormai vicino ai cd ti vuole vendere i calendari, le spillette, i videogiochi della Playstation e le cover per cellulare. Un gruppo di ragazzini con lo zainetto stava pigliando per il culo l’unico della combriccola andato a guardare i dischi, perchè tanto “cazzo li prendi a fare, che te li puoi scaricare”.
    Per dire che ormai siamo oltre il prezzo più o meno alto. Una volta si maledivano venditore ed etichetta per le 39 mila lire da cacciare ma si comprava ugualmente. Oggi molti neanche gratis li prenderebbero, altro che 5 euro…

  16. Scusa, ma per quale motivo guadagnare con la musica sarebbe “fuori dal contesto socio-culturale” (quale? Chi l’ha deciso?) e “dannoso” (quindi prima dell’avvento del download selvaggio era tutto sbagliato e corrotto?)? Io – nella mia limitata prospettiva di addetto ai lavori metallaro – vedo band “medie” (da 250 paganti a serata, diciamo) che partono in tour (rinunciando a giorni di lavoro, ferie, tempo speso con la famiglia, etc) senza manco sapere se quando saranno tornati a casa ci saranno almeno andati in pari. Dedicarsi a un’attività creativa è sempre anche un investimento economico (anche solo in termini di tempo, che è DAVVERO denaro); magari ho capito male, ma a fare musica dovrebbero restare solo quelli che se lo possono permettere e hanno soldi e tempo in avanzo? Sul “se fai un disco bello e hai un pubblico, non ci rimetti soldi, altrimenti continui a tue spese” sono d’accordissimo, ma quindi ammetterai che sia giusto e naturale che chi ha consensi ci guadagni (il che ormai a livelli “medi” è sempre, appunto, più sperare di rientrare nelle spese che guadagnare).

  17. Gli anni d’ oro del Grande Milan
    Gli anni di Van Basten e Van Damme
    Gli anni delle immense compagnie
    Gli anni con il booster sempre in due
    Gli anni di che belli erano i film
    Gli anni degli spacchi
    In fondo ai jeans
    Gli anni della techno nell’ hi-fi
    Gli anni del tranquillo siam qui noi
    Siamo qui noi

  18. stefano, io il boicottaggio non lo promuovo -non lo pratico nemmeno, in senso stretto. semplicemente, non compro perchè le cose che stanno uscendo fuori su amazon mi fanno inorridire e preferisco dare soldi a qualcun altro.
    so che sembra assurdo detto da uno che ci scrive un pezzo, nel senso che un pezzo è supposto essere “politico” di per sè, ma è solo parte di un ragionamento ed influisce sul discorso -il concetto di disco a cinque euro è un concetto che prima della vendita online stava sì e no nei banchetti dell’usato.

  19. beh ok ma questa non è una cosa su cui ho potere come consumatore. il senso del pezzo, volendo, parte dal fatto che sono un consumatore. come consumatore ho (credo) la responsabilità di pagare un disco i soldi che costa, e questo è l’articolo. la responsabilità di prendere un ventenne per le orecchie, portarlo a calci dentro al negozio e obbligarlo a comprare un disco purtroppo non la sento.

  20. Sì zio però effettivamente non biasimo chi dice che qua stiamo a fare discorsi da vecchi, voglio dire, siamo nel 2014 quasi e stiamo dietro ad un mattone di 10.000 battute (peraltro bellissimo) sull’ennesima sega mentale se sia giusto comprare i dischi e quanto pagarli e se è lecito comprare su internet e perchè sì e perchè no e i giovini non comprano più dischi e quant’era bello il negozietto polveroso e DAI SU E BASTA, meno male la settimana grindcore, davvero

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