La frustrazione non è necessariamente un handicap sociale.

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I gruppi li dividiamo a caso secondo logiche di cui nella maggior parte dei casi non siamo tenuti a rendere conto a nessuno. Nei primi anni duemila questa cosa aveva ancora un senso preciso perché era la musica che compravamo con i nostri soldi e ascoltavamo con il nostro tempo, scegliendo un disco tra tanti e concentrandoci su quel disco per un ammontare di tempo variabile. L’arte della stroncatura nasce in seno alla frustrazione. L’arte della stroncatura è andata a perdersi perché dal 2000 in poi la frustrazione è considerata un grave handicap caratteriale, e andando avanti con gli anni ha scalato le classifiche fino a diventare la più grande sciagura che possa capitare ad un uomo che passa un qualunque ammontare di tempo su un social network.

La frustrazione deriva dal senso di sconfitta, che non è necessariamente l’attacco di un articolo di fine ottocento. Secondo la Treccani la frustrazione è il sentimento di chi pensa che il proprio agire sia stato o sia vano; da quando la lotta di classe e il titanismo sono diventati uncool si è imposto un sistema di valori alternativo secondo il quale il successo implica di entrare a fare parte di una cerchia di vincenti e qualsiasi grado di insuccesso è motivo per non fidarsi di te. Essendo il mondo della musica un po’ più grottesco e idiota degli altri mondi, dieci anni dopo ci siamo ritrovati a pensare di default che chiunque abbia stroncato un disco dei Verdena sarebbe disposto ad uccidere la madre per una birretta con la bassista. Così, di anno in anno, un sentimento sano e consapevole come la frustrazione è diventato l’indicatore di una serie di altre sfighe sociali da cui i vincitori (e indiscussi eroi dei frustrati) non sono toccati: invidia, rosico, mancanza di scioltezza, stalking peso, non avere una vita sessuale, remissività. Suppongo che sia solo uno dei tanti motivi per cui leggere (di musica e in generale) stia diventando una noia: è un atteggiamento vergognoso, e ce l’abbiamo tutti. Scriviamo e leggiamo tenendo sempre a mente che al mondo c’è qualcosa di più importante e come si fa ad essere offesi da questo o quel gruppo, da questo o quell’articolo. Il principale rimedio è l’ironia, ironia ovunque, a quintali, a guarnire tutti i piatti peggio di quello schifo di sciroppo al caramello con cui continuano a guarnire il cappuccino nei bar di tendenza (e questa se vogliamo è frustrazione, desiderare che la prima persona che ha avuto l’idea di farti IL FIORELLINO con lo sciroppo di merda sopra la schiuma di un cappuccino altrimenti passabile, ecco, che questa persona se la stia passando DI MERDA). Facciamo una botta di conti di quanta roba inutilmente ironica, sarcastica o insomma swaggy ci siamo letti recentemente, non dico nell’ultimo anno, dico ieri, e di quanto questa cosa ci abbia messo in pace con noi stessi per il solo motivo di non obbligarci a scegliere se essere a favore o contro quello che abbiamo appena letto, e di quanto ci solletichi fare parte di tutto questo quasi-niente a cui continuiamo a dedicare tutto quel tempo. Ecco, vaffanculo.

 

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Contro i Cloud Nothings, secondo una mentalità contemporanea, non c’è molto da dire. Sono un gruppo carino che fa musica carina con dei riferimenti carini. Qualcuno si sarà senz’altro speso la parolaccia con la P, perché se alzi la chitarra e sei felice e batti le mani sei punk (per molti non devi nemmeno prenderti il disturbo di alzare la chitarra). Hanno un briciolo di botta, quel genere di botta che va bene sia in contesti tipo “sempre meglio che certi tristoni” (no) o “sempre meglio che gli Shout Out Louds” (no). Probabilmente qualcuno li usa mentre fa spinning o altre attività fisiche che io non faccio perché mi fa fatica e per poter rosicare guardando i loro corpi perfetti. I Cloud Nothings fanno parte di una gloriosa tradizione di gruppi medio-loffi descritti come tempeste musicali da un sacco di penne, non riesco a capire su quali basi (non dico senza basi, dico che è un limite mio); scorrendo il tempo all’indietro vengono in mente cose tipo Times New Viking, Jay Reatard o Wavves. Non so dire esattamente perché mi suona come roba disonesta, sicuramente aiuta il fatto che abbia quelle chitarre.

Una parentesi: è vero che il suono di chitarra è -diciamo così- ciclico, soprattutto nel rock estremo una chitarra innovativa può influenzare molto la contemporaneità e far suonare vecchio quasi tutto il resto. Un esempio classico è la chitarra ribassata alla Ross Robinson, ma anche gli Slayer quando uscirono fuori crearono dei begli scompensi. O che so, gli Husker Du ebbero la loro influenza su molto suono, o Steve Albini e insomma un sacco di altra gente. Ecco, questa cosa in genere è molto fastidiosa. La differenza, oggi, è che le chitarre più innovative influenti e usate nel mercato alternative sono chitarre che andavano di moda in certi ambienti TRENT’ANNI FA, e la cosa più patetica è che se vai in giro a lamentarti che questa roba è merda secca ci fai la figura del passatista. Il che mi porta ad una domanda che forse (o forse no) serve solo ad allungare il pezzo di qualche altra riga: i Cloud Nothings sarebbero potuti esistere nel 1988? Risposta: sì. Nascono a Des Moines, Iowa, tre anni prima; sviluppano le intuizioni pop applicate all’arcòr degli Husker Du, in un discorso tutto sommato derivativo ma nondimeno piuttosto eccitante.  Bob Mould in persona, sciolta la partnership con Grant Hart, produce il loro terzo disco Here and Nowhere Else. Seguono un contratto major e il successo planetario di Grave Dancers Union. È ben nota la tormentata relazione amorosa tra il chitarrista e principale compositore Dylan Baldi e Winona Ryder: altra ironia non richiesta, sei righe da buttare non giustificabili col solo fatto che non fanno ridere. Facciamo così: l’alternativa più praticabile è un po’ di cara vecchia old-school: i Cloud Nothings fanno canzoni pop-punk carine a cui ha senso dare pure un ascolto, ma ognuno dei loro dischi vale sì e no la benzina che spenderei per andare da qui al negozio di dischi, considerare l’idea di comprarli e decidere all’ultimo di orientarmi verso qualsiasi altro disco (da questo punto di vista non vedo grossissime differenze tra questo disco e quelli che l’hanno preceduto). E per questa specifica cosa li detesto, perché la cosa migliore che puoi dire di loro è che in fondo non fanno male a nessuno e questa cosa è frustrante. Come lo sciroppo al caramello nel cappuccino, che finchè non fai una scenata in pubblico non smettono e pensano pure di farti del bene.

17 thoughts on “La frustrazione non è necessariamente un handicap sociale.”

  1. Pensare che la stroncatura sia morta (ammesso che lo sia) perché la gente ha paura di passare per frustrata non è un retropensiero analogo al ritenere frustrato chi stronca?

  2. Ecco. Per tutto il tempo della lettura di questo articolo, o almeno fino alla penultima riga, ho letto mentalmente “sciroppo al cammello” e la cosa mi è sembrata interessante (quanto ironica). Invece era caramello, peccato.

  3. non lo so. credo che la stroncatura nasca dalla frustrazione, questo sì -il disco non è buono quanto vorrei, o non ci sto cavando niente di buono, ci perdo tempo, lo odio, lo stronco. questo in senso classico. da questo punto di vista l’arte della stroncatura è andata persa (è vero: in parte, non del tutto) perchè la frustrazione è un sentimento totalmente delegittimato. non credo nemmeno che la gente abbia paura di passare per frustrata, ma che la tendenza sia di andare giù tranquilli perchè siam tutti cool e rilassati, ecco, per me è una tendenza reale.

  4. Ovviamente le opinioni sono opinioni, e io le rispetto. Ma a parte tutto il pippone delel stroncature che in parte condivido, ma ci può essere una via di mezzo tra chi li chiama i nuovi nirvana e chi dice che sono fastidiosi. cioè le canzoni ce l’hanno, certo sono calligrafici, non sono per nulla innovativi, semplicemente fanno del rock anni ’90, bello tirato, e bello orecchiabile. Non sono degli dei, ma il loro lavoro lo fanno eccome, e poi sono belli sinceri, anche in questo disco.

  5. Non sono sicuro che l’arte della stroncatura derivi dalla frustrazione. Anche perchè se così fosse sarei pieno di meravigliose stroncature da leggere, dato che viviamo tempi assai frustranti. E non è che se la frustrazione diventa un sentimento impopolare o repulsivo, allora sparisce. E’ un sentimento, non uno stile di vita. Semmai è vero che ci sono molti più modi (e molto più immediati) di sfogare la propria frustrazione (i social), e magari questo fa. Ma secondo me il motivo principale per cui è morta l’arte della stroncatura (su questo sono d’accordo), è che c’è troppa roba. Troppa musica. E diventa molto più semplice e naturale raccontare delle – poche, pochissime – cose che ci piacciono, invece delle tante che ci infastidiscono.

  6. il disco prima era carino, più grezzo e con alcuni pezzi (quelli lunghi) mica male, questo invece non è altro che un banalissimo disco indie rock stra-commerciale con i suoni tutti pulitini, altro che nirvana o husker du! forse Arctic Monkeys

  7. Non so se sono d’accordo con l’analisi dell’origine della stroncatura, ma provo lo stesso fastidio di FF per questa società che ha il sorriso chillin’ out e la battuta brillante sempre pronti, uno sguardo allo stesso tempo enormemente superficiale e cinico su qualsiasi cosa, un atteggiamento “alternativo” generalizzato e conformista – voglio dire, nelle università facciamo teorie su Facebook del cazzo o Lady Gaga di merda, e alle serie tv è riconosciuto uno spessore pari a quello della migliore letteratura (non tocchiamo il tasto della letteratura).

    Il disagio è forte, soprattutto quando uno si accorge all’improvviso di avere a sua volta messo lì, in quello che ha detto o scritto, quelle due o tre battute chillin’ facilone per segnalare che NON STA ROSICANDO PERCHE’ NON SCOPA.

  8. Vedi Marco – non voglio rispondere al posto di FF, ma se stessi parlando a me ti risponderei così – il problema è che “il loro lavoro lo fanno” non dovrebbe essere sufficiente, non è un cazzo di lavoro, l’arte dovrebbe essere “un tentativo di connessione con la dinamo stellata nel meccanismo della notte”. O no? O non ci stiamo più occupando d’arte, ma di— ecco, un facilone/chillin’ direbbe qui qualcosa tipo “SI FORMA UNA BAND SOLO PER CONOSCERE DELLE RAGAZZE”, il che equivale a dirti, “non sei abbastanza chillin’/sei un ingenuo/rosichi perché non scopi (a differenza mia e di sto gruppo di cui state parlando)”, ma il facilone/chillin’ non riesce a capire che questo non è vero, che se lo ha detto Lou Reed non significa che fosse vero, ma solo che lui poteva permetterselo, essendo appunto Lou-cazzo-di-Reed

    FF è troppo buono: su questa band, il commento appropriato sarebbe: FANNO MALE, FANNO MORTE, FANNO SCHIFO, e spero che la notte li inghiotta per sempre

  9. “Carino”, “mica male”… Ogni volta che definizioni del genere vengono usate in modo non dispregiativo, un diavoletto mette la coda, e il Signore del Male prende forza

    – Poi sbagliamo pure noi che ci sentiamo Lady Gaga cercando di intellettualizzarla, eh, ma perlomeno noi (io e FF almeno, voglio dire) lo facciamo per un certo senso di disperata poesia di noi stessi

  10. non capisco.. il disco precedente non lo disprezzo ma neanche lo ascolto in loop, ( se no avrei usato l’aggettivo bomba) quindi ci sta un carino o un mica male, no? Sicuramente (per me) era più originale e con un suono diverso da questo.

  11. Partendo dal punto sulla frustrazione e andando per la tangente sessuale: che disagi ha creato la retorica della repressione? Dalla volgarizzazione della psicanalisi in poi, qualsiasi male del mondo viene dall’essere sessualmente repressi, dal non scopare abbastanza. Così che la liberazione sessuale, da wannabe forza anti-sistema, è diventata tempo zero l’ennesimo metro di rampantismo e vigore da leader carismatico. Il potere.

    A parte questo, io non so se vi fraintendo da sempre ragazzi, ma mi sembra che il buonismo e l’anti-critica che raccontate sia UN fatto culturale, al quale l’altro lato – il criticare a cazzo, senza rispetto alcuno per le persone, il “ma quando ti ammazzi” detto ai Trucebaldazzi, la sindrome da hater – non è affatto inferiore in intensità. Ora, è vero che odiare è sacrosanto e non fa di te un hater, ma ciò vuol forse dire che gli haters siano tutti spauracchi inventati dal senso comune buonista?

  12. Non lo so, francamente. Direi cmq a naso che la retorica anti-hater ha fatto molti più danni dell’odio in sè, nel senso che per dire nel caso di TB si parla di gente che trollandolo si squalifica.

  13. Non voglio dire – usando una vecchia metafora abusata dagli appassionati musicali sorpresi ad ascoltare i Green Day invece di Brahms – che non sia legittimo apprezzare la pizza a taglio, ma il problema che sorge quando alla pizza a taglio viene dato il diritto di entrare tra le portate di un ristorante di lusso non può essere ignorato – lo abbiamo ignorato troppo, fino a giungere a questa situazione in cui tutto va bene, tutto è culturale

    Lady Gaga? Va bene, Perfect Pussy? Vanno bene, Basinski? Va bene, Pantera? Vanno bene

    Ok, ma allora de cazzo ce rimane da parlà? Di niente: sorriso disincantato, chillin’-out cinico, ironia copritutto e chi non è d’accordo, oh, ROSICA, si vede che non scopa

  14. Anche secondo me il punto è questo: con tutto quello che esce, quando scrivo mi viene naturale segnalare le cose che, secondo me, vale la pena procurarsi; quando giro sui siti cerco qualcuno che mi faccia scoprire qualcosa di valido. Inoltre escono tantissimi dischi mediocri e noiosi sui quali è impossibile trovare qualcosa da dire ma i dischi genuinamente brutti e indifendibili sono una categoria in estinzione, anche solo perché adesso ci sono produzioni standardizzate ammodino per tutti. Ormai ti scatta la penna quasi solo quando un gruppo veramente grosso fa qualcosa di veramente orrendo e inspiegabile (un Illud Divinum Insanus, tipo).

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