Probabilmente conoscete Federico Bernocchi come conduttore radiofonico/TV o giornalista. A noi piace ricordare che Federico Bernocchi, in arte FedeMC, era un regaz fatto e finito e scattava un sacco di fotografie ai concerti punk in zona Bologna ed affini; le foto andavano a finire su un sito chiamato Pic-A-Punk, defunto assieme a Splinder, che oggi riprende vita su una nuova piattaforma e con finalità di cui al momento non sono al corrente. Suppongo sia semplicemente GIUSTO mettere a disposizione quelle foto. Sono foto di gruppi che in certi casi sono diventati famosissimi, in altri casi sono rimasti soffocati da qualche manovra sbagliata o hanno cambiato formazione o sono semplicemente evaporati nel nulla. Suonano in posti piccoli che non esistono più o continuano a farlo contro un’amministrazione ostile che firma sgomberi. Io non ne so niente di estetica della fotografia, ma le foto di Federico Bernocchi sono tra le pochissime che le guardo e mi parlano e mi descrivono esattamente cosa è stato il concerto, che io l’abbia visto o no, e questa cosa le foto perfette e iper-sceniche che trovo sulle riviste non ce l’hanno. Le immagini che commentano questo pezzo sono rubate da lì.
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Una cosa che è girata un poco nelle settimane scorse è uscito su Vice un articolo di Birsa Alessandri, intitolato Il self-branding sta uccidendo Milano. parla fondamentalmente di self-branding e dinamiche ad esso legate, in un modo molto amaro e purtroppo condivisibile. La parola condivisibile è usata sostanzialmente a caso, ma si richiama a un concetto di condivisione che (legandosi all’oggetto dell’articolo in maniera un po’ carmelobenesca) è stato rivisto con un briciolo di verve in meno –nella fattispecie, le persone che hanno fatto girare il pezzo si dividono tra quelli che ne condividevano i contenuti urlando “osta sì Milano fa cagare” e quelli che lo bastavano parlando di rosico, invidia e ostilità alla Vice. La quale sta diventando, nella percezione pubblica, un genere letterario a sé, costruito su una visione della redazione di Vice come di un posto ove si fanno riunioni in cui tutti dicono BELLA ZIO vestiti da hipster e fanno elenchi giornalieri di cose su cui non hanno ancora sparlato. Ora io scrivo un pezzo ogni tre mesi per Noisey, quindi forse c’è un conflitto d’interessi, ma questa visione è dovuta ad una mentalità (stupida) figlia di quel rifiuto sistematico dell’ostilità come categoria dello spirito, del continuo riscalare l’avversione a concetti tipo rosico, invidia, fallimento o essere sfigati. Ne avevo già parlato un pochetto ma sento che è un concetto su cui romperò molto le palle nei mesi a venire.
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E già che sto parlando di Vice, due segnalazioni –anche queste piuttosto vecchie. La prima è un articolo-fiume di Valerio Mattioli su Stefano Tamburini, uno che ha determinato una gigantesca fetta di cultura italiana (il prefisso contro- è stato considerato e volutamente purgato) e su cui è stato effettivamente scritto poco e niente. Il secondo è la rubrica Italian Folgorati in blocco, scritta da un Demented Burrocacao in stato di grazia.
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Domani inizia su Sky un talent show per dj, si chiama Top DJ. Ho letto qualcosa sull’argomento, giusto per solleticare un po’ la mia avversione per questa roba (cioè il mio rosico/invidia/fallimento/essere sfigato per questa roba). Il programma è pensato da Pierpa Peroni e ha come giudici Albertino, Stylophonic e Lele Sacchi: cinquecento dj valutati, da cui ne saranno estratti dieci che si sfideranno in un club volto a ricreare l’habitat naturale di queste creature, fino alla designazione di un vincitore che avrà un contratto Sony e un management che gli troverà le serate. Se io fossi Accento Svedese il mio pensiero correrebbe istantaneamente al grandissimo Tommy Vee, un concorrente del quarto Grande Fratello autocertificatosi dj che ha infiammato le piste per gli anni a venire; se fossi Damir Ivic, d’altro canto, avrei scritto un bell’articolo su Soundwall che cerca di parlare di come possano dialogare il formato del reality con la visione artistica del dj. Non essendo né l’uno né l’altro, mi piace pensare alle recenti incursioni dei talent/reality nella vita di tutti i giorni come ad un modo piuttosto grottesco (e quindi agghiacciante) di intervenire pesantemente sulla nostra quotidianità. Rimando in parte al pezzo su Masterpiece (conclusosi poi tra le risate generali), e per il resto… insomma, non c’è ancora un talent show sul dormire o sull’essere impiegati ma credo che non manchi molto. Una volta ci si limitava a stadi limite dell’evoluzione umana (cantanti, ballerini, tamarri chiusi dentro una casa per tre mesi), ora possiamo tranquillamente respirare reality show in ogni momento della giornata, in cucina e a pranzo, mentre lavoriamo e quando prendiamo in mano un libro –e ora finalmente si potrà uscire la notte e andare a divertirsi in un club il cui guest dj è stato selezionato tramite talent show e certificato cazzuto da Albertino in persona. La buona notizia, in ogni caso, è che c’è un programma in più da commentare su twitter, appena in tempo per tappare il buco emotivo lanciato dall’Eurofestival (vorrei dirne di ogni contro l’Eurofestival, ma in parte ho finito il rosico e la sfiga negli ultimi due paragrafi e in parte
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L’assurdità è un residuo di anarchia che va tutelata ed eretta a difesa dello scempio provocato da ogni emulazione.
È uscito un nuovo racconto di Simone Tempia, si chiama La telefonata ed è l’ultimo di questo progetto. La riga sopra viene dalla prefazione di Antonio Rezza. Le regole sono le solite: per leggere il racconto dovete chiederlo allo scrittore, inviando un’email a contemporaneoindispensabile@gmail.com. Di mio posso dire che tra quelli che ho letto è il migliore, ed è un bel complimento.
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Ho smesso di seguire il calcio una vita fa, ma per i mondiali cerco sempre di carpire qualche informazione che mi permetta di andare a fare parte dei venti milioni di commissari tecnici della nazionale che commentano formazioni e altro al baretto. Ok, io al baretto non ci vado, ma è comunque importante arrivare in ufficio o dal benzinaio con qualche idea sull’argomento. Per cercare di farmi pari, dato il mio attuale livello di scolarizzazione, l’unico modo che vedo percorribile è cominciare da Il calcio spiegato a Pjotr, serie di pezzi scritti da Andrea Benty per –appunto- spiegare il giuoco del calciuo a suo figlio. Nota a margine: il figlio di Benty è promesso sposo di mia figlia, ma la famiglia Benty non ha ancora droppato abbastanza cash da suggellare il contratto.
sono la persona meno titolata a parlare di un reality sui DJ, e comunque l’articolo di Ivic mi sembra molto sensato. Però, per puro amore di polemica, mi sono fermato su questa frase:
“meglio un mondo di persone inconsapevoli ma felici di un mondo di incattiviti, ingrugniti e presi male”. Davvero, non so.