L’altro venerdì Aphex Twin è spuntato dalla nottata di fanghiglia a Glastonbury con un set che seppure annebbiato dall’orario e dalle condizioni del mondo intero ha dato a diversi l’impressione di rappresentare strane simbologie, snodi brutali per chi segue le tracce di Richard James e della sua assenza. Ci aveva abituati fino a poco tempo fa ad alcune botte mentali sul concetto di techno millenarista, uno stile di nuovo percussivo di nuovo immaginato sul filo che lega il Classics su R&S ad una decongestione del concetto di hardcore come unica musica veramente umana, veramente pedagogica e autenticamente mentale, la cosa più pura e vicina all’anima “negativamente architettonica” del ballo e della vita. Chi segue AFX sa che questo suo aspetto live ha continuato ad esistere negli anni e che in fondo è la radice di ogni sua cifra stilistica (Windowlicker ha fatto giusto le fortune di MTV, storicamente rimane solo il prototipo di un’epoca mai sbocciata), come esempio su tutti qualcuno si ricorderà il modo con cui descrisse il clima nella serata al Link di Bologna nell’inverno del 2002, un tempo piuttosto tetro, anni in cui potevi morire ogni volta che oltrepassavi l’autostrada. Io non ero nemmeno maggiorenne, le discoteche si raggiungevano al buio e al freddo, forse in macchina ma era come andarci a piedi.
Ad ogni modo la techno percussiva ha avuto modo di sputtanarsi pure lei e probabilmente nel peggiore dei modi, eppure sembrava incorruttibile, proprio perché appariva costruita sui nervi cranici di ognuno di noi senza ulteriori sovrastrutture, senza retorica, eppure eppure.. Alcuni invincibili della provincia toscana, ricordo, passarono direttamente dalla dance generalista a Detroit dopo aver sentito Jeff Mills in Fortezza Medicea, anni dopo l’orizzontalità wikipedica dei blog musicali e dell’indiesnobismo si sarebbe divorata anche le carcasse, dando vita a corpiciattoli monchi che citavano come ispirazione la new wave o i Throbbing Gristle – mentre la techno, per sopravvivere, avrebbe dovuto cibarsi solo di se stessa. Ogni tanto spuntava ancora qualche santone a ricordare a tutti come si teneva l’elmetto in testa, citiamo Surgeon o il Luke Slater a nome Planetary Assault System, ma parallelamente al Berghain già si usavano gli stessi suoni come carrozzone meccanicamente riproducibile, tornando così sul luogo del delitto della minimal. Intanto Aphex era già oltre, nel 2004 aveva inaugurato la stagione analogica, cercando di retrocedere ancora la nascita dell’hardcore, tuttavia la serie degli Analord indubitabilmente soffriva di un certo sapore d’archivio, disattendendo ancora una volta l’ormai largamente mitologizzato “nuovo livello”. Ora va anche detto che Aphex con questa storia dell’archivio ci ha sempre giocato e bisogna prenderla con le molle; quando uscì Druqks disse che erano pezzi vecchi e ci facemmo convincere (ascoltato oggi, specialmente nelle parti di piano preparato, non sembra proprio), con Analord quasi lo sottintese, in una delle sue ultimae interviste ha addirittura dichiarato di avere pronti una decina di nuovi album, tutti creati in serie dal modello di un album mai uscito (Melodies From Mars).
Torniamo ad oggi, a Glasto la sua apparizione a nome DJ AFX (moniker granguignolescamente normcore, chissà se si è ispirato a lui) è avvenuta in un clima di completo sfascio, nell’umido del nulla tra una bombardata in Palestina e altre notti insonni, davanti a gente devastata e sorda come dopo una granata scoppiata vicino. Il tutto – almeno concettualmente – a seguito del disastro della Rephlex, sprofondata nell’indifferenza dello stesso Richard James, passata dall’essere la luce delle technoheads a specie di net-label senza neanche un sito ufficiale (per far capire l’andazzo: rephlex.com redirecta alla pagina Discogs) costretta a vendere pezzi pregiati su eBay per permettere a Grant Wilson-Claridge di pagarsi almeno le bollette della corrente. In realtà non escludo neanche che questa via carbonara ed esentasse sia solo il côté di una scelta estetica e di autonarrazione storica dentro ai famosi “tempi che corrono” ma, come per il resto delle cose, è sempre meglio iniziare a valutare le cose in termini economici.
Inoltre al di là dell’impalcatura molto ibizenica da dove l’altra sera il nostro metteva i dischi c’è questa foto scattata successivamente al Glade Stage che descrive bene il vago lo-fi di questo Richard James che nel frattempo ha deciso pure di farsi riallungare ai capelli come in gioventù; un sottobosco di piccoli segni, trasandatezza mal calcolata, il tendone d’incerato, lui dietro al mixer in disparte, quasi nascosto dal pubblico, seduto su una sedia da campeggio con il giacchetto appoggiato sullo schienale come quando alle elementari eravamo troppo timidi per permetterci l’attaccapanni all’entrata. La foto è quasi una versione IDM di quella di Bersani al bar con la birra.
Non solo sensazioni comunque, c’è anche molta ciccia. Il set restituisce ancora AFX come l’unico artista contemporaneo in grado di sconvolgere, sconvolgere tanto e sempre, anche a questi livelli, l’unico che riesce veramente a dare forma al non-immaginato, a pescare nel mare dei suoni non-sentiti e delle forme del non-visto, tutto può ogni volta succedere e ancora i suoi set brillano di quello spirito bambino ma molto consapevole tra onoreficenze ai padri putativi e un suono che rimanda sempre a se stesso come in un riallineamento continuo tra la morte di sè e la morte della musica. Che poi è la descrizione dei suoi pezzi e dei suoi dischi migliori: appunto quella lucidità raggelante che non sembra rimandare a nient’altro se non ad un vago concetto di hardcore continuum ma condiviso con nessun’altro, ghiacciato da un sentimentalismo inconcepibile. Nella pessima qualità audio della registrazione (qui una versione scaricabile leggermente migliore) e fermo restando che di un dj set sempre si tratta (ma su Aphex si può ragionare solo così, attraverso le briciole) a noi pare di scorgere qualcosa che somiglia alla presa in forma di un nuovo livello, forse il preannuncio di qualcosa che sta mutando, di nuovo il racconto più perfetto dei pallori della vita contemporanea, con quella precisione narrativa che gli mancava da un po’. Innanzitutto si presenta molto più ricettivo, anche verso cose che non ti aspetteresti, cose che ballano i giovani, parlo di Jam City, L-Vis, addirittura Blawan, tutto comunque miscelato in una sagoma psichedelica che gli artisti in questione non riuscirebbero comunque a permettersi.
Capitano alcune cose nei primi minuti del set, quella più rilevante sono forse le sirene trasformate in urla infernali che appaiono e scompaiono dal mix, sotto si picchia duro ma non durissimo, gli echi vocali assumono fattezze robotiche di dimensioni greenvelvetiane per poi tornare in zona The Courts. Vale la pena notare questa strana verve robotizzante perchè è il presagio allo shock della mezz’ora circa, il momento in assoluto più sconvolgente attribuibile all’Aphex miscelatore che possa ricordare: tiro basso, cani che abbaiano come se Who Let The Dogs Out l’avesse composta Kevin Martin e da qui in poi sono almeno venti minuti di puro terrore industriale, battiti bassi e paludosi, le facce cadono e non solo le maschere, si scorgono rimandi all’industrial tipico dei primi anni Novanta, diciamo Techno Animal ma con un senso di oppressione diverso, con quella spietatezza che Aphex sembrava aver sepolto da qualche tempo, suoni che si geometrizzano in scala ma senza diventare nuda forza numerica, di tanto in tanto sparisce addirittura la cassa, su tutto una colata nera di epopea cyberpunk, cyberpunk in quella maniera mortifera come solo poteva essere immaginata la definizione nel 1991. Si continua oltre per quasi una mezz’ora prima che l’onda lunga di questo corpo possente ma malaticcio, traforato da tubi, lasci il passo ad un set più classicamente aphexiano.
L’azzardo è alto, forse ipervalutiamo scelte di miscelazione che sono estemporanee e naturali per uno che ha dalla sua parte una cultura musicale enciclopedica, o forse l’anno prossimo finisce davvero che esce una sua versione illbient di Loco dei God. L’abbozzo di pochi minuti ci riporta di nuovo alla narrazione di sè (intesa come narrazione di ogni io presente nel pubblico nell’improbo tentativo di immaginarsi dentro Richard) perfettamente calata in un mondo post-capitalista da declino dell’Occidente, esattamente come nei set di dieci o quindici anni fa metteva in musica la pericolosità lisergica dei giorni troppo luminosi da annerire la retina. Comunque ci pare almeno di intravedere sensazioni generali, configurate dentro e oltre un periodo storico ed artistico che non riesce a produrre musica se non in un gioco di continui rimandi; sembra ieri che ci dicevano che nei parcheggi posteriori degli Walmart si potesse ascoltare solo witch house o oggi pomeriggio che non può esistere altra musica veicolata attraverso internet che non sia vaporwave, spacciata come unico modello sonoro dell’accelerazione del capitale astratto. Invece ora se nuovi suoni, una specie di novello grunge della techno, venisse aperto da Aphex Twin, anche solo per quanto vale il suo nome in moneta, la questione sarebbe molto diversa. Anche perchè sintomi di qualcosa che sta accadendo ce ne sono, anche a livello di movimentazione globale; mentre Aphex suonava a Glastonbury usciva la notizia di Oneohtrix Point Never in tour per l’America più sciabbiona con Soundgarden e Nine Inch Nails, intanto Lopatin cambiava pure il logo scimmiottando i Korn e dichiarando di preparare per gli show un live di “customized hard rock cyberdrone”, parole sue. Ora Lopatin non fa altro che sostituire i Death Grips in un tour già da tempo definito ma l’accostamento di Soundgarden e OPN ci rimanda quasi a quelle fascinazioni d’altri tempi tipo Springsteen coi Suicide o i Napalm Death con qualcun altro, oltretutto per chi segue Lopatin sa quanto sia attento all’evolversi delle questioni di gusto nel villaggio globale e soprattutto quanto sia restìo ad utilizzare appigli anche solo vagamente collusi col mondo della musica rock. E’ tutto da vedere ma comunque non categoricamente escluso che questo 2014 possa scollinare in delay infiniti di In Utero moltiplicati in accelerazione geometrica fino alla completa perdita di sè, automatizzata, robotizzata in onde di suono stretchate coi più banali VST freeware; tanto che pure la goffa ed infantile definizione di “cyberdrone” o la registrazione rubata da un telefonino qualche brividino ce lo rendono, tanto che qualche immagine di una techno più tattile eppure purgata dall’esaltazione muscolare e inconcludentemente libidinale del rock comunque ci appare.
Se posso permettermi. Troppe seghe mentali. AFX è arrivato, è salito sul palco, ha fatto un set e se ne è andato. Siccome è una persona schiva lo ha fatto in maniera “riservata”. Tutti qui.
Adoro il vostro sito ma stavolta sembra di essere nel salotto di Nanni Moretti. Due balle.
sì, è un’analisi poderosa.
I fatti ragazzi i FATTI
KE ARTIKOLO!!!! Allora visto che lo si contesta perché “e che pippe mentali” o “i fatti” i fatti sono che aphex si è sempre fatto molto i cazzi sua e ancora non aveva assimilato nel suo modo sconvoltopsicotropo certe robe attuali (jam city tipo). E’ sempre importante sottolineare la riuscita di una cosa del genere e intripparcisi (so ’90s) un po’ sopra visto che la svendita rephlex è stramba, robe tipo l’asta ebay non ha precedenti nel genere e l’attenzione tornata sulla musica in se più che sull’aphex di windowlicker (in molti non sopportarono e non sopportano tutt’ora la fase analord liquidandola come “ripescaggio”. the tuss ignorata dai più senza motivo.) è innegabile.
Ho visto aphex 4 volte, 4 volte diverso 4 volte fondamentale. Ma solo una volta nel pieno del flusso musicale ovvero in quel Rephlex Rave Party sull’aurelia. Il resto è sempre stata roba divina e varia, ma in una bolla tutta sua in qualche modo fuori dal flusso, manco per scelta sua fra l’altro. Ora è come se il gusto degli altri lo abbia raggiunto ma in maniera casuale sono ondate di gusto e musica nient’altro. Vista però la fortunata congiunzione penso che in questi anni in cui è montata sempre di più sta moda industrialtechno attuale, tutti nero vestiti, tutti obscuritate noise tanto per, in cui la gente si stupisce e si fomenta se quel cialtrone di Ben Frost ficca du batterie metal de merda nel disco e nei live, insomma ora è sempre bello sottolineare il banale e ricordare come lo sconvolgimento, l’oscuro e l’occulto nella materia “techno/elettronica” siano sempre stati da tutt’altra parte ed è fondamentale sottolineare la figura di aphex e la sua importanza in questo.
Ah dimenticavo è bello ricordarlo sopratutto in maniera verbosa e da pippaioli sennò rimangono opinioni tipo “a me piace a me non piace” di cui a me ad esempio non frega un cazzo.
D’accordo su tutto (soprattutto su AFX che si fa attraversare da queste cose elettroniche recenti), brano molto bello. Comunque, posto che quando un certo tipo di sonorità inizia a essere riprodotta in grande quantità (l’industrial-techno del Berghain etc. degli ultimi 3-4 anni, dall’LP di Sandwell District almeno) una certa nota di fastidio sale sempre (e infatti si dice forse giustamente che si sia tornati “sul luogo del delitto della minimal”), tutto l’impianto di simboli e concetti dietro quel tipo di techno mi è comunque sempre piaciuto. Far filtrare sul dancefloor quel tipo di sonorità oscure e minacciose (e concetti industriali oggi dovrebbero essere veicolati da software, non più hardware) può essere comunque un segno dei tempi, una cosa da dancefloor collegato a scenari di apocalisse post-capitalista. Mentre la minimal era solo un divertissement legato alla forma (del tipo “sono più belli questi suonini di quegli altri!!!”), il fatto di ballare su quelle sonorità può essere anche significativo di qualcos’altro, e secondo me (fan sia di industrial che della techno, ma proveniente da quest’ultima) le due musiche si sposano proprio bene visto che sono entrambi generi piuttosto “aristocratici” legati a precisi impianti concettuali. Detto questo, mi sa che per 3 anni ‘sti Regis, Perc, Ancient Methods etc non mi stancherò ancora di suonarli credo (quelli che fanno proprio schifo sono quelli che dal noise passano alla techno tipo Swanson o Ital).
siete dei pazzeski. volevo aggiungere un po’ di cose, fornendo pure audiovisivi, su questa specie di percorso al “nuovo livello” intrapreso da rdj che magari riescono a contestualizzare ancora meglio il tutto.
nell’articolo si parla di jam city e di come afx rimanga comunque attento alle nuove sonorità, e secondo me è importante sottolineare che già nel 2011 portava nei djset la primissima release, ovvero quel mitico 12″ di refixes: http://www.discogs.com/Jam-City-Ecstasy-Refix/release/2388262 aka ancora prima che jam city sapesse di essere se stesso sostanzialmente, tipo gigi d’agostino che metteva vitalic nel 2001. qui le prove: http://www.youtube.com/watch?v=Jyim0meCz5s
questa cosa secondo me si può innestare su quel nuovo percorso più ampio di cui sopra e in particolar modo in questa fase di affinamento del suono sempre più slabbrato+haunting però non si sa come sempre con precisione analogica che comprende, the tuss con i sendspace casuali pieni di roba buttati a random sui mille myspace che s’era creato (vi ricordate sta gommata allucinante? http://www.youtube.com/watch?v=zUrCnKkuUoo che peraltro anticipa tutte queste altre cose da soundcloud-carboneria tipo hav lyfe di quasi dieci anni: http://www.youtube.com/watch?v=H2BI14NBpO4), il passaggio all’inaugurazione del centre pompidou a metz con diecimila inediti (dove la più bella era questo concentrato di carcioghiotto rancho relaxo sul filo della data di scadenza: http://www.youtube.com/watch?v=PnVRp6SXSk4), il set di capodanno a roma dove parte con le esg e finisce con gabbercore mischiato a white noise per venti minuti, ed infine penderecki e la fase EUROADESSO con la rephlex che vende sul proprio sito dei wav audiofili degli analord+inediti prima di chiuderlo, il kickstarter di caustic window e le aste su ebay di roba rarissima, le dichiarazioni dei diecimila dischi pronti e gli altrettanti mai usciti.
non so, è come se ci fosse davvero qualcosa dietro ma non riesco bene a capire cosa.
[ bibliografia parziale: http://ilmucchio.net/showthread.php?t=6150 ]