Vent’anni fa, più o meno in questo periodo: caldo torrido, asfalto in fiamme, una riproduzione virtuale dell’inizio di Weekend con il morto (perlomeno nella mia testa). Per fortuna c’era il mare, una pozza d’acqua sporca e limacciosa dove le fognature scaricavano (e scaricano) direttamente, ma rinfrescava ed era tutto ciò di cui avevo bisogno. Una salvezza. Tornavo dalla spiaggia, dopo pranzo accendevo la radio e regolarmente, per giorni, intorno alle tre e mezza, Albertino (che gli dei lo conservino) trasmetteva un pezzo che fin dal primo contatto si è incollato alla mia mente, come un adesivo, per non staccarsi mai più.
Adesso zero stress, con i miei guaglioni me la passo – chico, shhhh – sulla traccia mi rilasso, e so che sto tranquillo la giornata è buona, per cacciare un po’ di rapadopa: senti come suona…
Non avevo idea di cosa significasse “rapadopa”. Era una parola che avevo già sentito (il disco di Dj Gruff era dell’anno prima, ricordavo la copertina; non l’avevo comprato perché i dischi costavano bei soldi e ai tempi avevo altre priorità – Aerosmith, ZZ Top, cose così – però le sue occhiaie mi erano rimaste impresse) ma non riuscivo a ricollegarla a un concetto ben definito. Un’idea me l’ero fatta comunque: la base rilassata, il tono confidenziale, il flusso distensivo e sciolto, me la facevano associare spontaneamente a qualcosa di positivo, rilassante, giusto. Lo sapevo, che la giornata da quel momento in poi sarebbe stata buona.
Non capivo tutte le parole del pezzo, anzi; direi meno della metà. Molte erano così: sconosciute, o solo vagamente familiari, ma capaci di evocare all’istante visioni potentissime, abbacinanti, nitide, perché comunque il senso arrivava, ed era così naturale, immediato, quasi ovvio, che le parole che avresti usato prima sembravano desuete o improprie al confronto. Sembrava esperanto se l’esperanto avesse un senso davvero.
Il CD costava una cifra che ora direste fuori da ogni costrutto: 34.500 lire. Non ricordo i sacrifici che dovetti fare per saltarci fuori, sapevo solo che dovevo farli. Era necessario che un giorno uscissi dal negozio con una copia del disco sotto braccio. Quel giorno arrivò, anche se le vacanze erano finite da un pezzo, l’autunno in fase più che avanzata e il negozio un altro: arrivò, era questo l’importante.
Avevo nel frattempo letto un articolo su di loro su un numero di “Tutto”; c’era una foto in bianco e nero ad accompagnarlo, loro tre seduti sui gradini di un sottopassaggio. Potevo localizzare il punto esatto in cui quella foto era stata scattata. Il fatto che fossero della mia stessa città mi aveva destabilizzato; non sapevo come reagire a questa cosa. Non mi era ancora capitato di scoprire di essere concittadino di qualcuno “famoso” di cui mi importasse qualcosa. Vedevo Lucio Dalla ogni tanto da qualche parte, basso e peloso, sguardo annoiato, vestito come un barbone; lo incrociavo relativamente spesso e mi repelleva. Con loro era diverso. I Sangue Misto parlavano un linguaggio che riconoscevo affine, anche se ci avrei messo tempo (anni) a decifrarlo. Non ero il solo: era un linguaggio che nessuno prima aveva usato mai.
[Io non so se e quanto si siano mai resi conto dell’immensità della loro rivoluzione (semantica, dialettica), di quanto sXm sia stato una pietra angolare dell’hip hop a livello mondiale (lo è ancora, lo sarà sempre): dopo quel disco la grammatica stessa è cambiata, nulla è stato più com’era prima. Cambiamenti tanto radicali che da allora gli standard che loro stessi hanno settato vengono percepiti come prassi, convenzioni assodate e inamovibili. Non è sempre stato così. Prima, il rap italiano funzionava regolato da tutt’altri ingranaggi; ingranaggi che sXm non ha soltanto scardinato: ha cancellato. C’era un prima, che da allora in poi non c’è più. Per un po’ c’è stato un dopo, ma non è durato. E adesso non c’è più niente.]
I Cypress Hill parlavano della marijuana; i Sangue Misto della porra (nella sua globalità: che sia ciocco o che sia nero, skunk oppure kif, stessa differenza). Ampio raggio, questione di scelte di campo. In tutto il disco, in ogni pezzo, la porra in tutte le sue sfaccettature è una presenza costante, connaturata; non un’ossessione, semplicemente qualcosa con cui fare quotidianamente i conti, questo è pacifico, come gli sbirri che pattugliano le strade guardandoti male, sempre in cerca di un pretesto per metterti all’angolo, la politica farsesca e degradante (in questo la situazione è costantemente, irrimediabilmente degenerata, ma gli aspetti caricaturali erano identici allora), la televisione che anestetizza cervelli peggio di qualsiasi droga (lo diceva qualche anno prima Michael Franti, e la forza delle parole di entrambi è paritaria, rimasta invariata nel tempo), o i soldi, che mancano sempre. Un dato assodato, che nemmeno si discute; come immettere ossigeno nei polmoni ed emettere anidride carbonica, o svuotare l’intestino e la vescica quando serve. Fisiologia. Una situazione immutata giorno dopo giorno, attori in una commedia che non diventa mai farsa, ben consapevoli che la situazione potrebbe precipitare da un momento all’altro. Strategie di sopravvivenza in atto: alla larga dal nemico per quanto sia possibile, la svolta quotidiana (per quanto dura, finché ce n’è, tanto quanto basta), campionatore e microfono sempre accesi. Una routine dove nulla è certo ma per il momento l’equilibrio regge; un loop automatico dove gli aspetti gradevoli giustificano, almeno per il momento, quelli sgradevoli che aspettano al varco e possono prevalere all’improvviso, ad ogni istante; nessuna certezza, nessuno è al riparo. Sempre in bilico, come diceva la band in cui Neffa ha militato per qualche nanosecondo in pieno arco discendente. Per il momento comunque sempre nello stesso film, stessa situazione. Quando prende bene (il più delle volte) stai in crociera; in caso contrario, beh, piglia male. Chiunque abbia fumato abbastanza da poter dire di conoscere entrambe le facce della medaglia sa benissimo di cosa parlano quando ne parlano nei pezzi, per questo sXm è un disco universale. A meno che non abbiate mai sfiorato una canna nella vita, in tal caso mi spaventate e non ci tengo a fare la vostra conoscenza. Ad ogni modo, non parliamo la stessa lingua.
Per esperienza personale: il fumo quando piglia male è infinitamente più bastardo. Verrebbe da dire il più bastardo, ma non ho ben presente lo spettro completo. So solo questo: se parti in qualche modo già debilitato o indebolito o vulnerabile, con la guardia abbassata per un qualsiasi motivo, il fumo spalanca voragini nel subconscio che sarebbe meglio lasciare intoccate, non sfiorare mai, nemmeno di striscio. Le parole di Piglia male (il pezzo) me le sono sentite bruciare sulla carne una dopo l’altra. Non esistono pezzi (non a mia memoria almeno) che siano riusciti a rendere in maniera altrettanto letterale la presa a male da fumo, un’aderenza alla realtà che terrorizza perché replica gli stati d’ansia peggiori inoculandoli nel cervello come se stessero succedendo in presa diretta, in tempo reale. Le crisi improvvise, la paura della luce, il dolore, tutto. Vada come vada, di noi rimane solo un nome sul muro con una croce su; siamo cani della strada, perciò domani se mi sveglio non ci penso più. Ogni volta che riascolto questo passaggio (capita regolarmente, e ho smesso di fumare da anni) ho i brividi; quei brividi sono gli stessi di sempre.
Il contraltare è Fattanza blu, immediatamente successivo: l’esatto opposto, la rappresentazione più fedele di quando prende bene. Alza il volume e stai bene tu: ci sono tutti i colori del mondo ma per lo sfondo, chico, solo il blu. Verrebbe voglia di riportare tutti i testi per intero; per farne l’esegesi non basterebbe un’enciclopedia. Questo fa parte dei dischi che potrebbero bastare, da soli, per un’intera esistenza. Non sono molti.
A proposito di stesso film, stessa situazione: estate 1995, un anno dopo sXm, nella vetrina dello stesso negozio di dischi vedo il vinile di Cani Sciolti remix e penso bella lì (ormai certi modi di dire li ho assimilati e li porterò nella tomba, questo per dire a che livello di profondità abbiano attecchito su di me); non vedo l’ora che esca il disco nuovo. Non uscirà mai.
Non ho mai capito perché, all’improvviso, i Sangue Misto abbiano smesso di esistere. Troppe storie sovrapposte che si contraddicono a vicenda, troppi non detti, nessuna chiarezza sull’argomento a parte il fatto reale: a un certo punto i dischi hanno smesso di uscire e nessuno è più tornato indietro. Avrei voluto ascoltare un nuovo disco dei Sangue Misto: nel 1995, quando avrebbe avuto un senso. Ora credo davvero sia stato meglio così, sia giusto così. Troppa acqua è passata sotto i ponti, qualcuno ha continuato, ognuno per la sua; il tempo passa per tutti lo sai, nessuno indietro lo riporterà, eccetera. Ma se si parla di rap italiano, sXm per me è veramente il disco più bello di sempre.
dopo “C’era un prima, che da allora in poi non c’è più. Per un po’ c’è stato un dopo, ma non è durato. E adesso non c’è più niente.”
non sono più riuscito a concentrarmi.
1995, servizio militare. con un amico ci nutrivamo di una strana tdk: lato A sXm, lato B il primo dei korn, entrambi usciti da poco. tutti i giorni, per mesi. sempre presi male.
‘…ma rinfrescava ed era tutto ciò di cui avevamo bisogno. una salvezza’.
io ci capisco poco, ma del dopo salvo Melma&Merda e poi boh
ah, sì, pure Murubutu anche se mi pare ben poco stiloso e con una pericolosa tendenza a verbosità da frakie aienrgi (come, davvero non conta un cazzo? ah, scusate)
bella
Per la durata della lettura del pezzo, ho avuto di nuovo 15 anni. Sei sempre il migliore, non ci stanno cazzi.
Ovviamente ero già grande quando suonarono al Villaggio Globale. Traducevo fumetti e quel giorno ero indietro con un TankGirl o MinimumWage o Hellboy, so un cazzo non mi ricordo l’anno con precisione. Verso le undici misi il disco e lo sentii mentre continuavo a lavorare. Tradussi sì e no tre pagine ma piansi molto.
A proposito di Memory Lane, questa è roba vostra?
“jeff buckley al vidia di cesena. non potete immaginare.
(non è vero, non ho visto jeff buckley e non mi avrebbe fatto un baffo. però la gente gira per cesena raccontando ‘sta cosa. non puoi immaginare.)
__________________
ß▲§†Øи▲†3”
Curiosità.
Dimenticavo:
dopo Melma & Merda, nel 2002 Kaos ha sfornato un altro capolavoro con Gopher a nome Neo X, “L’Anello Mancante”.
Ascoltare Comma 22 e Altri Giorni basta per ritrovare a Luglio 2014 la stessa fotta di allora.
Provate a dare un ascolto anche a Loop Therapy. A tempo perso. C’è del buono.
nom ma ero a Correggio
non potete immaginare
(non è vero, in realtà ho passato il ritorno a discutere con un altro coglione sul batterista poco quadrato, del senno di poi, ecc ecc)
@Floriona – sì quella roba lì l’ho scritta io da qualche parte.
bell articolo , scritto cosi che fa capire quello che uno sbrabo poteva sentire a quei tempi ascoltando SXM —-
vero….best italian hip hop act …ever—