Dobbiamo accettare che anche nello svacco estivo italo-dance di merda la nostra generazione ha avuto di meglio che quelle attuali. Per prima cosa il discorso della massa critica: una volta c’era il Festivalbar e quelle canzoni ci arrivavano addosso tutte insieme, davanti agli occhi e dentro il culo, una volta a settimana. Si sfidavano in informale duello e alla fine dell’estate venivano premiate; oggi abbiamo rivalutato quasi tutto, allora le odiavamo in blocco e le subivamo come punizione divina da strani personaggi con cui passavamo il tempo che costruivano impianti hi-fi casarecci dentro la Fiat Tipo montando dei subwoofer sul pianale del bagagliaio e usandoli per stordirti senza il bisogno di droga. Era una strana connessione mentale. Arrivavano immagini di ragazze svestite sul palco di posti tipo Lignano Sabbiadoro, con un pubblico sotto di ragazze meno tirate ma ugualmente svestite che urlavano OOO a comando –e forse era quello il robot rock dei Daft Punk, più che l’omonima botta citazionista dei tempi di Human After All (forse il vero capolavoro della formazione, un grandissimo momento di rimozione collettiva non si sa bene iniziata quando)- e in qualche modo questa cosa si specchiava sia nel beat sloganistico a quattro quarti della italo-dance sia in qualche modo nel suo speculare rigurgito cantautorale (roba tipo Chicco e Spillo). C’è stato un momento preciso in cui la prassi legata al decision-making e all’implementazione è passata da una logica che era burocratica o di mercato (negli anni sessanta o settanta potevi anche scegliere come fare le cose, oltre alle cose da fare) al network. Il network è la prima struttura partecipativa autosostenibile a qualsiasi dimensione, uno dei principali motivi per cui non ce lo siamo ancora tolto dalle palle: era relativamente facile capire chi fosse cosa, bastava che passasse o non passasse dal Festivalbar. O che potesse farlo in via ipotetica. Che so, i New Order sono meno distanti da Ice MC che dai Joy Division, per via dell’inclusione della straordinaria Regret nella compila del Festivalbar forse 1993. Per dire. E in questo Joy Division e Napalm Death sono sostanzialmente lo stesso gruppo, cosa peraltro verissima (triste a dirsi, hanno fatto pure la stessa fine: il nuovo primo ministro indonesiano se ne va in giro con maglietta Napalm Death, il che li farà finire nei cestoni di H&M entro breve, ammesso e non concesso che non ci siano già. È un pezzo che non mi faccio un giro da H&M o Zara e questo basta di per sé a squalificare qualsiasi mia idea sul pop agli occhi di molte persone intelligenti).
(sempre dentro la parentesi che ho chiuso prima, va detto anche che ieri ero in autogrill e il mio compagno di viaggio ha commentato la maglia Guns’n’roses di un giovane dicendo “guarda, una maglia vecchia di vent’anni” e io ho saputo dirgli che certe catene di abbigliamento vendono le maglie dei Guns’n’Roses col logo sdrucito apposta per stare bene. Quello che vedi all’autogrill fa sempre e solo parte di un unico grande film-cervello che documenta i nostri tempi meglio di qualunque altra cosa.)
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Dicevo, prima di andare a capo e perdere il filo, che una volta esisteva la possibilità di tracciare la musica importante della nostra epoca e di classificarla secondo criteri di appartenenza. Oggi purtroppo non è più possibile: ogni tendenza catalogatrice dell’epoca in cui stiamo vivendo è brutalmente imprecisa e volta ad includere/escludere a caso all’interno di certi canali, una cosa che nel pop italiano ha avuto un suo apice nel momento in cui una rivista online di musica seria, tipo Dusted ma forse non Dusted, diede un voto altissimo a un disco di Simone Cristicchi e ne parlò come di un caposaldo della musica popolare. Da allora abbiamo perso tutti la brocca e ci siamo messi a ragionare su cos’altro fosse possibile salvare a quale livello, alcuni hanno preso un fucile e fatto fuoco, altri hanno passato il decennio successivo a rispondere sempre “sì”, con risultati che spesso travalicano l’umano senso. Un paio di giorni fa ho scritto un pezzo su Noisey che parla di una corrente ideologica tesa a rivalutare Cristina d’Avena, per dire. Non che io non ci sia andato giù pesante, voglio dire, ho speso tempo in rivalutazioni degli ignobili 883 post-Repetto (quelli dei primi due dischi continuano ad essere intoccabili) e altro tempo su un sito di cinema a deprecare lo svilimento del bromance a livelli di violenza inesistenti. Lunga storia, non da trattare qui (ma perché no, in fondo? La teoria di fondo è che la nostra vita sia una versione in scala della musica che ascoltiamo, che quando senti Thunder Road lo fai in parte per trovare il coraggio di fuggire e che il tuo fuggire siano dieci giorni in Salento a fine Luglio o un posto ad altezza mixer al concerto del Primo Maggio, Fabri Fibra performing testi misogini senza tagli). Quindi, tornando in argomento, nonostante sia diventato impossibile ascoltare tutta la musica che ci interessa, viviamo ancora in un’epoca in cui è uncool scegliere di non ascoltare certa musica per non fare la figura di quello che non sa divertirsi (io per dire non so farlo, mi diverto solo per via della presenza, in una data situazione, di fattori esterni non dipendenti dalla mia volontà; mi scoccia molto di più essere incapace che triste e vuoto, ecco; ora prometto di passare almeno dieci righe senza aprire manco una parentesi); pertanto passiamo il tempo a praticare arti che hanno nomi tipo sharing, reblogging, retweeting, condivisione, SCROBBLING santiddio, e simili perversioni che ci permettono di rimbalzare a costo emotivo zero situazioni di schiavismo di comodo, nel senso che siamo tutti schiavetti e non c’è nessun padrone ma preferiamo comunque essere educati, e il nostro esistere è l’esistere dell’ennesima parete di un labirinto in cui nessun contributo continua a rimbalzare all’interno e quasi nessuno esce mai.
C’è un altro grande irrisolto di quella generazione che è rotolato fino ad oggi nel piano inclinato della nostra cultura in declino, ed è ovviamente il FABER. Se siete affezionati lettori di questa pubblicazione estemporanea sapete cosa pensiamo del fottuto FABER e di ogni sua diretta emanazione, cioè tutto il male possibile, la nostra bestia nera, il motivo per cui una persona non dovrebbe permettersi di realizzare musica in Italia oggi, per non finire come il fottuto FABER. Perché dovrei ripetervi una stronzata che ho già scritto due anni fa? La copio e incollo. IL FABER è troppo IL PAZ del cantautorato italiano. A un certo punto stai lì ad insultare qualcuno che non capisce un cazzo di musica e questo qua ti tira fuori IL FABER, e poi c’è quel secondo di silenzio nell’aria e qualcun altro che dice cose tipo “ah, beh, IL FABER non si discute” e tutti capiscono che quello che non si discute sia il fatto che tutti quanti abbiamo degli scheletri orribili nell’armadio e nessuno ci regala un cazzo di niente, MAI. Tipo io quei dischi lì li ho PAGATI e quasi tutti li ho pagati a PREZZO INTERO, vuol dire qualcosa tra i 15 e i 20 euro, alcuni anche in lire ma sempre quei soldi lì. Da qui in poi l’estensione del nostro fanatismo posticcio ed immeritato per IL FABER ad una serie di cantautori problematici e privi di fascino e MORTI tipo Piero Ciampi o Luigi Tenco o Rino Gaetano demmerda, mentre gli hipster del sentimento patriottico si stringono a corte canticchiando il testo di Dolcenera canzone del Faber o di una qualsiasi canzone di Dolcenera artista, o peggio ancora rinnovano di anno in anno il proprio vinicio capossela interiore spruzzandogli sopra baffi e riccioli pretestuosi e facendosi sborrare in bocca il talento dei vari Brondi o Brunori o CHE NE SO, altra gente di cui non ho ascoltato una nota. Ultimamente tra l’altro va un sacco citare Tiziano Ferro o peggio ancora Cesare Cremonini come sinonimo di QUALITÀ nell’orizzonte sonoro di un paese preso in ostaggio dalle canzoncine cuore amore. Ma MORITE e ridatemi la mia vespa 50 special, i miei vent’anni e una ragazza che tu sai avere stuprato sulla collinetta del MiAmi. Sono tutte facce della stessa medaglia, espressione che peraltro non so cosa significhi, tutto questo solo perché era buono a scrivere un testo e s’è venduto per tutta la vita un’idea di romanticismo degli ultimi e dei reietti che –diciamocelo- è fichissimo possedere in cofanetto triplo con estratti del sontuoso tour con quei riccardoni della PFM. Ecco. Il punto è che quella del FABER era musica brutta e stupida, forse meno di quanto io la consideri brutta e stupida negli ultimi tre anni ma sicuramente molto di più di quanto voi pensiate lo sia, e la prova è la filiazione diretta della cosa, il fottutissimo CRIBER, il grandissimo Cristiano de Andrè che segue le orme del padre in tutto sommato maniera patetica ma anche tutto sommato migliorativa.
Sapete un’altra cosa che detesto dei vecchi di merda? Il 70% di loro è ancora convinto di averci donato un mondo migliore, di averci dato tutto, di aver sollevato questo paese di merda dalle ceneri in cui si trovava e di averlo fatto PER NOI, per darci comodità e sostegno. Quello che hanno fatto in realtà, la maggior parte di loro almeno, è stato timbrare cartellini fasulli per vent’anni e non battere mai lo scontrino della mia mortadella, in certi casi per ribellarsi al sistema, in certi casi per riuscire a sopravvivere, in tutti i casi evitando di contribuire al bene pubblico della nostra nazione quanto avrebbero dovuto, inculcandoci questa mentalità DA STRONZI secondo la quale inculare il fisco è cosa figa e pagare le tasse è una forzatura dell’animo umano, una condizione innaturale. I nostri padri e le nostre madri ci hanno regalato un paese florido con un debito pubblico del terzo mondo, bilanciandolo con la mentalità gigantista di uno stato che si vanta ancora coscientemente di essere stato la squadra materasso al G7/G8 per dieci minuti negli anni novanta o di ospitare l’EXPO2015 con quel logo del cazzo (in realtà il logo dell’expo mi piace un casino esteticamente e questa cosa credo sia in aperta ostilità con la ricerca cosciente del brutto degli altri loghi comparsi recentemente, tipo i mondiali in Brasile e le olimpiadi a Londra, parlo non sapendo assolutamente nulla di grafica, del resto non è che io sia un riferimento in qualsiasi altro campo dello scibile) e tutte quelle mazzette di merda intascate quasi sempre da altri VECCHI DI MERDA. Avete notato che non sgamano quasi mai un trentacinquenne che s’intasca mazzette? Non sarebbe una storia di successo e un esempio da seguire per le nuove generazioni? “Aveva un grande cuore, amava il suo lavoro, s’è intascato soldi pubblici per non realizzare un portale per la pubblica amministrazione che comunque sarebbe stato merdoso”. L’unico under-35 di successo conclamato in Italia è Nicole Minetti (e dei rapper incapaci, uno dei quali a quanto dicono se l’è pure scopata). Eccetera. giuro su dio, ancora litigo quando vado dal macellaio con la tristezza negli occhi, una settimana lavorativa di merda sulle spalle e un debito di sonno inestinguibile, e lui mi attacca la pezza sul fatto che ai suoi tempi la vita era peggio, signorini. Gli darei fuoco alla casa ma la sua carne spacca il culo. Dicevo, un grandissimo irrisolto di quella generazione, e della nostra, è il FABER. E le generazioni più giovani non avevano abbastanza voglia di lavorare per poter creare un irrisolto con il CRIBER, così si sono dedicate ancora al FABER e alla macelleria e a squadre apolidi tipo Juventus e Sampdoria, continuando a bere vino rosso del contadino e ad ascoltare cose tipo Khorakanè, soffiando sulle fiamme del separatismo culturale di quei classisti di merda che ancora hanno il santino di Pasolini Pazienza Berlinguer e De Andrè, e non si capisce cosa ci faccia Berlinguer accanto agli altri.
Bizzarro insomma che siano le nuove generazioni, quelle dei decerebrati e delle mignottine e dei portoghesi ad ogni corso, a fare il salto di qualità e tirare scossoni anti-sistema allo scopo di azzerare tutto e ricostruire, finalmente, una cultura nazionale di pregio. Francesca De Andrè è la figlia di Cristiano e la nipote di Fabrizio, lei si fa chiamare DE.A. ma mi sembra uno scam clamoroso per nascondere una rivoluzione culturale. La gerarchia corretta è che prima viene IL FABER e poi viene IL CRIBER e alla fine viene LA FRABER. Ecco. La FRABER è la figlia del CRIBER e la nipote del FABER. Trova ingombrante il proprio cognome e il retaggio familiare. Ha avuto un’infanzia e un’adolescenza travagliate, ha partecipato a un’Isola dei Famosi, è stata denunciata per essersi fregata dei mobili, si è fidanzata con il grandissimo Daniele Interrante ed ora è fuori con un singolo. Pole dance (do per scontato che sia vero finchè non scopro cosa sia) e una cover trucidissima di Yes Sir I Can Boogie, una roba radicalissima con trecento maschi nudi e ritmiche latine che manco Paola e Chiara Iezzi se le sarebbero permesse (non è vero, se le sono permesse eccome). La musica punta tutto su quel fondamentalismo post-ideologico chill-wave alla Anna Tatangelo, figura sovrapponibilissima a quella di DE.A. negli episodi più alti della propria discografia (tipo la pubblicità Coconuda e simili). Pare che dietro il tutto ci sia lo zampino di Interrante (ricordiamolo: un grande fan degli Arcade Fire), ma per il resto è pura favella auto-random-tune destinata a fare piazza pulita del marchio. E presto o tardi arriverà un remix-cassa di Geordie o un pezzo senza beat e sarà lì, forse, che scopriremo se c’è o meno la chance di farci qualcosa. Per intanto il potenziale festivalbariero di FRABER mi ributta dentro il vortice. Ho diciassette anni. Sono nel sedile posteriore di una Fiat Tipo che torna dal mare. Robi guida e suona il clacson alle tipe, il woofer spara Yes Sir I Can Boogie, acufene a venire, pantaloncini da basket, un po’ di sabbia sotto i piedi e sopra il tappetino. Molliamo il FABER. Ricostruiamo questo paese dalle fondamenta.
Mi si nota di più se…
schifo tutto e tutti….
o se provo a mescolare in un unico impasto incocludente 30 anni di musica, società e politica?
mi si nota di più se scrivo un solo commento che c’entri col testo o ne metto tre a fila sul fatto che la persona che commento è bisognosa d’attenzione?
Mi è venuto fuori tutto storto ‘sto commento… mi sono accorto che non si capiva ed ho provato ad integrarlo.
Comunque, questo articolo mi pare un tentativo di essere provocatori ed originali ad ogni costo, anche a discapito di una possibile logica del testo.
non sono d’accordo, credo ci sia una logica del testo, ho seguito uno schema. e poi provocare cosa?
L’atteggiamento schifato per qualsiasi cosa sia riconducibile alla cultura di massa è sincero???