Una delle prime cose che ho imparato quando ho iniziato a mettermi seriamente sulla musica è che bisogna diffidare delle produzioni bombastiche, di tutti i suonini al loro posto, dell’ingresso delicato di un violino e della seconda voce in un ritornello e di tutte quelle cose lì. È una delle tante cose a cui nella musica arrivi per negazione, senza volerlo, e perdi memoria di come sia successo.
Le teorie musicali che riguardano il pop vengono spesso a costruirsi con un meccanismo simile a quello della common law britannica. Non c’è qualcuno che decida quale sia l’uso corretto o scorretto di un termine, o quale sia il modo corretto di arrangiare un certo tipo di canzone, non c’è nessuno che si prenda la responsabilità di codificare qualcosa a cui tutti debbano sottostare –e meno male, direi. Però quando scriviamo seguiamo delle regole, delle linee di pensiero, dei dogmi che si sono venuti a formare a forza di ripetere le stesse buone idee.
Diciamo che funziona così: qualcuno, a un certo punto, scrive qualcosa di un disco. Tipo “è registrato malissimo ed è quasi inascoltabile, ma in certi punti –nonostante tutto- viene fuori una melodia graziosa”. Un paio di mesi dopo, magari, qualcuno scrive che “le melodie sono talmente buone, è un peccato che il disco non sia stato prodotto da qualcuno di grosso”. L’anno successivo qualcuno inizia ad istituzionalizzare la cosa: “fosse stato prodotto da Phil Spector avremmo avuto in mano uno dei capolavori del pop di ogni tempo”. A un certo punto qualcuno spara un po’ più in alto: “Uno dei massimi capolavori del nostro tempo nonostante non sia prodotto da Phil Spector”. A qualcuno viene l’idea geniale: il disco è bellissimo così com’è, e non per quello che avrebbe potuto essere. BAM. Lo scrive. Da questo momento in poi la bassa fedeltà diventa un genere musicale, e chi ha realizzato quel disco un capostipite. Le teorie iniziano ad affastellarsi fino a creare una serie di assunti che diventano regole: oggi è possibilissimo possedere una discografia di migliaia e migliaia di titoli, anche molto riconosciuti e presenti negli annali della musica popolare, registrati in fretta e senza troppa cura. È possibile, allo stesso modo, sostenere che la roba mal prodotta funziona molto più che l’altra. è possibile, allo stesso modo, sostenere che produrre un disco spendendoci un mare di soldi stia –fondamentalmente- gonfiando i conti. Nel peggiore dei casi arriva un artista pop di successo e fa una cover del tuo pezzo scalcinato con sette produttori in cabina e viene fuori la peggior schifezza mai sentita.
È anche un buon modo per misurare l’influenza della critica musicale nella musica, se uno ci pensa. Il concetto di verità all’interno di un dato prodotto è fissato in molti casi su certe spigolosità strutturali che non hanno necessariamente a che fare con la natura della musica. Dagli anni ottanta in poi, e forse da prima in un’altra forma, la musica sfacciatamente sintetica, finta nel senso più teatrale del termine, è diventata la massima espressione di pop. E la musica suonata e vera è diventata espressione di un certo qual ritorno alla purezza, almeno per un certo gruppo di persone che ha continuato a scrivere finchè l’idea non si è sedimentata. Prima o poi il genere che suoni smette di avere importanza e inizia ad averne la roba che pensi mentre lo suoni, e poi l’aria che hai quando suoni. E via di questo passo. Quindici anni fa la stessa polo a maniche corte la trovavi addosso a gente che suonava metal, dance da battaglia o pop tranquillo. Poi la gente ha ricominciato a suonare e vestirsi più o meno a caso ed è stata incasellataa seconda dei posti che frequentava, che a pensarci è cosa buona e giusta.
Negli anni che ci sono toccati in sorte la professionalità viene praticata molto più di quanto poi la si predichi. A predicarla sono rimaste le riviste più tradizionaliste e i loro corrispettivi online, quelli che cianciano di rinnovamento e di adeguarsi ai tempi e investire sull’online e inseguire democraticamente qualunque retromodernismo abbiamo la sventura di veder cappottare sul mercato, vendendolo come una rivoluzione continua. Artifici linguistici da primi della classe, tutto sacrificato a una storia che s’è raccontata sempre allo stesso modo ed è fatta di contanti, hit su youtube e stronzate assortite. La musica scarsa sfugge a questi meccanismi, perché se sei scarso nessuno ha davvero interesse a portarti dalla sua parte. Esistono numerosi esempi di musica scarsa cooptata dal mercato, ma nessuno è davvero eclatante. La maggior parte delle volte la musica scarsa è solo scarsa, nel senso, ha una ragione di esistere in sé, non è scarsa-ma-con-potenziale. E quasi tutti quelli che la ascoltano non hanno l’orecchio del produttore, non vedono cinque anni avanti (l’emorragia di talent-show, delle mostre del talento, ha industrializzato a cazzo pure questo fenomeno specifico e travisato brutalmente il concetto alla base dell’ascolto povero, con risultati artistici sotto gli occhi di chiunque). Daniel Johnston era un grande artista pop in potenza: ha sempre avuto dischi eccezionali in cantiere, ma la sua massima espressione a conti fatti è il disco prodotto da Sparklehorse. A gente come i Beat Happening avrebbero potuto pompare duecentomila dollari dentro ogni album e non avremmo avuto in cambio roba migliore di quella che sta già nei dischi dei Beat Happening. Fabio Mancini.
Nel momento in cui ascolto un gruppo come In.Versione Clotinsky dal vivo e m’innamoro non so dire, esattamente, quanto questo dipenda dal fatto che amo un certo tipo di musica e quanto dalla musica in sé. Credo di preferire la musica che non ti arriva direttamente, e che questa cosa sia diventata una traccia di base dei miei ascolti, e che l’abitudine mi abbia insegnato a drizzare le orecchie ogni volta che vedo salire sul palco qualcuno che puzza d’inesperienza. E poi sto solo ad aspettare una melodia memorabile, e quando arriva ho abbastanza fantasia e stronzate da saperci costruire sopra tutto il resto. Non sono mai in malafede. Riesco a mettere in fila un processo dialettico abbastanza complesso da poterlo applicare a musica che è l’esatto contrario di quella per cui l’ho inconsciamente concepito (il pop da classifica, per dire, lo ascolto scarnificandolo già dal secondo aspetto di qualunque eventuale trappolina che considero erroneamente volta ad attirar gonzi). Si potrebbe dire che ho così bisogno delle caratteristiche fondamentali della musica pop da considerare nemica qualunque altra cosa. Alla musica violenta, stessa cosa, chiedo solo d’essere violenta. Ad entrambe chiedo di essere oneste. Qualcuna soddisfa e qualcuna no.
Roncalceci è un paesino di merda (cioè un tipico paesino della campagna ravennate) stretto in quella provincia incerta tra Russi e la Ravegnana all’altezza di Coccolia. Negli anni novanta Roncalceci ha passato un modesto periodo di hype popolare nelle zone limitrofe perché c’era un negozio che apriva solo il sabato, or so, e che vendeva campionari casuali di jeans Levi’s e polo Fred Perry a un terzo dei soldi a cui le trovavi nei negozi. Si entrava in dieci alla volta, più o meno, e si aspettava all’esterno per un’ora e mezzo: lo feci una volta con dei miei amici e poi mollai il colpo. Le In.Versione Clotinsky vengono da Roncalceci. È la prima cosa che dicono ai concerti. La loro roba potrebbe ricordare indifferentemente delle Nista Nije Nista non-avant e non-scolarizzate o delle Cocorosie senza Devendra Banhart dietro al culo. Ho già detto di quanto sono stupidi paragoni del genere: fanno pop scrauso e acustico, una ragazza suona la chitarra, l’altra s’alterna tra ukulele batteria ed ammennicoli vari. Suonano canzoni fatte di arpeggi scarnissimi e liriche che dicono solo “nananana”, e poi smettono e dicono che “questo pezzo si chiamava Na Na Na”. Magari funziona solo se sei me, ma se sei me funziona parecchio. A volte t’innamori. A volte chiacchieri durante il concerto.
In.Versione Clotinsky, da Roncalceci, credo non abbiano pubblicato niente, suonano in zona Ravenna. Magari non andranno da nessuna parte, magari faranno un sette pollici di cui dieci anni dopo ci ricorderemo in sedici. Magari no. Per ora sono lì, suonano qualche data, se riesco vado volentieri.