un concerto degli Helmet

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In Romagna il verbo rimanere è transitivo, forse perché siamo dei signorotti e dei capitalisti del cazzo, forse perché siamo degli ignoranti, comunque per noi dire ho rimasto due cose da scrivere prima di andare a dormire è normale. C’è anche un significato specifico del verbo che ne prevede l’uso intransitivo. Quando dici che qualcuno c’è rimasto puoi intendere tre cose. Si dice c’è rimasta di una ragazza che è stata messa incinta per errore in giovane età, di una persona che rimane di stucco di fronte a qualcosa che succede e di una persona che è stata segnata per la vita, in negativo, da un singolo momento. Ci sono quelli che ci sono rimasti dopo essersi calati una pasta malfatta o dopo essere stati scaricati da una ragazza di cui erano innamorati persi. Passano il resto della vita a non gettare l’ombra per terra, camminare con la testa bassa o venire sfottuti da gente che non conoscerà mai un briciolo di quella sofferenza effimera. Esiste un termine per designare la categoria sociale di riferimento: rimastone. I rimastoni sono quelli che portano i jeans con la vita alta e le camicie brutte abbottonate fino in cima, quelli che avete fatto ubriacare a una festa tra compagni di liceo per ridere di loro e scattargli una foto. E loro che ingoiavano la vodka alla pesca del discount per sentirsi accettati. Negli anni del liceo, comunque, è tutto perdonabile e modificabile. Dopo, rimanerci è fatale.

Stasera qui c’è un raduno di rimastoni. Sono rimastoni consapevoli, forse persino fieri di se stessi: hanno ascoltato un disco vent’anni fa, ora sfiorano i quaranta e continuano a considerarlo una parte importante della loro vita (o quantomeno della loro cultura). I rimastoni presenti hanno barbe e capelli lunghi, un principio di calvizie sulla cerga (romagnolo) e pantaloni larghi sdruciti dal tempo. Qualcuno che fiuta l’aria e cerca la musica c’è, ma il novanta per cento è composto da questa gente. Hanno ascoltato gli Helmet nel ’96, o nel ’94 o nel ’92, poco importa. Ci sono andati sotto e hanno continuato semplicemente a perdere occasioni di cambiare la loro vita, di diventare gente. Entri nel locale e se non stessero sudando come dei maiali ti farebbe un effetto tipo David Lynch. Quasi tutti maschi, la quantità di ragazze presenti è simile a quella del ’96: forse venticinque in tutto il locale, rughe che scavano visi troppo truccati e vestiti tra casual e gothic. Qualche rimastone è riuscito a limonarci al Dynamo Open Air, hanno affittato una stamberga e fatto un figlio. Stasera lui o lei hanno spostato un milione d’impegni e raccontato frottole per andare a vedersi gli Helmet. Guardano passare le once were ragazze e ci fanno un pensierino. Io faccio tardi perché ho dovuto fare il bagno alla bimba. Mi fa effetto entrare nel locale e rendermi conto nel giro di un minuto che se facessero una classifica della miseria umana basata sull’aspetto fisico, finirei nel gruppo quelli che in qualche modo sembrano essersela cavata. Forse è solo indulgenza mia; quel che è certo è che l’unica persona presente che s’è conservata con un minimo di criterio si chiama Page Hamilton. Magro come un chiodo, balla dentro una t-shirt troppo larga e schianta la chitarra con quegli assoli che sembrano un coro di campane. Il gruppo gli va dietro menando braccia e gambe, piegati sugli strumenti come se domani fosse day-off. Dopo qualche volta che li hai visti il live è prevedibile ma comunque cattivissimo: tutto come ci si aspetta, finale da urlo, Unsung Just Another Victim Meantime. Domani sveglia presto che c’è da andare a pagar bollette in posta, un vernissage nel pomeriggio, un tizio a cui hai promesso di sistemare la grondaia in nero e un calcetto. Due tizi stranieri, magari son marito e moglie, ballano dilaniati dall’alcol davanti a me. Hanno quarant’anni e qualcosa e magari una bella storia da raccontare che non ascolterà nessuno. Rimastoni.

4 thoughts on “un concerto degli Helmet”

  1. Non vivo in Romagna da abbastanza tempo per conoscere quel termine, rimastone, ma conosco il tipo, ho alcuni ex amici, ex perché non li frequento da decenni, che sono così, e alcuni li vedo qua. Il tipo di musica non mi sembra troppo importante, magari è pure Bob Marley, ma possono essere The Who, Depeche Mode, Nirvana e Red Hot, persino Fugazi o Primus, ma sono proprio così, sfaldati e con una sorta di vacuità e tristezza, il fantasma sfatto di ciò che erano. Eppure ai tempi parevano avere un qualche loro splendore, che io non avevo, non mi sono mai legato a alcun gruppo e tendenza quindi non spiccavo né lo desideravo, però anche allora ero piuttosto snob verso quella loro lucentezza, e notai una certa cosa: di sicuro ascoltavo le stesse cose, ma in genere nessuno di loro leggeva, io sì.

  2. Non dovrei risponderti perché ho più di quarantanni e l’impressione dei gomiti frusti causa rosicate è dietro l’angolo. Sono sicura che tu abbia riletto abbondantemente l’articolo prima di postarlo e hai deciso che andava. E va bene.
    Forse abbiamo una decina di anni di differenza, forse meno, forse abbiamo lo stesso interesse e la stessa feroce passione che ci spinge ad andare a concerti auto-profit come questo malgrado il cervello urli MANDOVAI?!! E forse faccio parte del 90% che puoi chiamare come ti pare. Ho scioccamente assistito a molte inutili reunion ma quello che mi preme dire è che secondo me, se sostituisci ad Helmet il nome della stragrande maggioranza dei gruppi che si riuniscono per soldi, potresti evitare di rileggere l’articolo prima di darlo alle stampe.
    Con rispetto, come i malvisti DonCaballero.

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