CE LO CHIEDE L’EUROPA, che a questo giro diventa una agghiacciante combo Lamb-Subsonica, da leggersi tutta d’un fiato oppure in pillole

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In una ideale top ten dei gruppi-che-hanno-continuato-negli-anni-a-fare-cose-fighissime-ma-che-non-hanno-mai-ottenuto-il-successo-che-meriterebbero (o che-avrebbero-meritato, in caso di gruppi morti e sepolti) i Lamb occuperebbero sicuramente uno dei primi tre gradini del podio, anche se non so dire con esattezza quale perché dovrei pensarci bene (e a dire il vero non sono nemmeno sicuro di riuscire a tirar fuori dieci nomi di gruppi sottovalutati, o forse sí: oltre ai Lamb mi sentirei quasi di dire i Doves, i Broken Social Scene, gli Electric Six, i Test Icicles, gli Audio Bullys, i Junior Senior, gli El Guapo, i Trans Megetti e The Beta Band. Tra l’altro alcuni di questi si sono fermati dopo il primo, clamoroso album ma facciamo finta che tutto ciò valga lo stesso ai fini della classifica).

Dicevo, contestualizziamo un pochino i Lamb: seconda metà degli anni novanta, elettronica  assolutamente figlia di quel tempo, trip hop meets drum n’bass meets techno meets la paranoia, la mente di Andy Barlow, la voce di Lou Rhodes che ti entra dentro e tocca certe corde che non sapevi nemmeno di avere, una manciata di album magnifici che sono invecchiati bene e suonano alla grande ancora adesso che son passati come minimo 15-18 anni (mica come spazzatura concettuale alla Roni Size che la ascolti adesso e ti imbarazzi per averla sentita allora), una piuttosto controversa svolta intimista nel 2001, uno scioglimento nel 2004, tre dischi solisti di Lou Rhodes che per onor di cronaca ammetto di non aver mai ascoltato, una reunion che non ricordo nemmeno quando sia avvenuta di preciso, un altro disco parecchio bello e questo Backspace Unwind uscito ufficialmente qualche settimana fa, ora che siamo nel 2014 ed il disco d’esordio dei Lamb è già maggiorenne e (si spera) vaccinato.

Che dire di Backspace UnwindBackspace Unwind è una meraviglia e al solito non se lo filerá praticamente nessuno. In breve, è quasi un bignami della carriera dei Lamb ma senza quell’innesto del pilota automatico e quei disperati tentativi di ripetere pedissequamente una formula che ha portato bene in passato tipici di chi è alla frutta e sta andando avanti utilizzando la musica solo come mero espediente per riuscire a pagare le bollette e i debiti vari (o il metadone, o il conto del medico, o gli alimenti dell’ex consorte, o gli psicofarmaci, o le puttane, o tutto quanto in un combinato disposto del tutto usuale nella figura della popstar-nemmeno-tanto-star in declino). La capacità compositiva c’è ancora tutta e i Lamb suonano incredibilmente freschi in un ambito in cui altri soggetti riuscirebbero solamente a risultare finti, posticci, disperati o addirittura patetici. Meno drum n’bass, più techno ed ambient, nulla di nuovo ma tanto non si inventa più nulla perché tutto è già stato detto, Andy Barlow e Lou Rhodes al meglio delle proprie possibilità. Quasi un miracolo. La chiudo qui e passo ad altro.

Intervallo: arriva un momento nella vita di un uomo in cui aumenta inesorabilmente il girovita. Si cambia forma e, nonostante tutti gli esercizi in palestra di questo mondo, diminuire il girovita è impresa durissima. Non si scappa perché è legge di natura. Deve essere la birra.

A proposito di fenomeni-tipo seconda metà anni novanta con ingente uso di elettronica assolutamente figlia di quegli anni: è uscito un album nuovo dei Subsonica intitolato Una nave in una foresta. Potrei anche fermarmi definitivamente qui ma vado avanti, perché certe cose è doveroso scriverle – dicevo, oggi che siamo nel 2014 è uscito un disco dei Subsonica che più che un disco è la solita scusa per poter poi fare un tour nei palazzetti dello sport/locali di medio-grandi dimensioni in cui si suona dal vivo, solo che a questo giro mancano decisamente i ritornelli paraculissimi da cantare braccia al vento / ascelle al vento / spinelli al vento (che figata utilizzare il termine “spinelli”, soprattutto nel 2014) / bottiglia di vino introdotta di sgamo nel locale al vento / zaino Invicta con le scritte fatte con l’Uni Posca / i pantaloni a righe / i Birkenstock anche d’inverno/ effetto Giamaica / parlare durante le canzoni che non ti interessano / fumare in barba ai divieti / vietato vietare / il comunismo / i professionisti degli aperitivi, della contestazione e delle tartine / questionare se ti fanno notare che stai disturbando / un paio di schiaffoni / la macchina rigata / nessun problema paga papà che ha un’azienza che scarica i rifiuti tossici chissà dove. Poco male, suoneranno quelle vecchie, tanto la gente a dire il vero è lì per quello, tanto la gente paga e bisogna accontentarla perché il cliente ha sempre ragione.

Conosco rimastoni che hanno visto quindici volte i Subsonica in concerto e continuano inesorabilmente ogni volta ad andare, in nome di un passato che non tornerà, in nome di un futuro che mai arriverà. Secondo me fanno bene, anche perché ho visto due o tre volte dal vivo la band torinese e mi sono sempre divertito tantissimo; i Subsonica sono un gruppo talmente figlio di un’altra epoca (no pc a casa, pc a casa ma con 56k, adsl con connessione ballerina, scoprire la musica davvero) che a scaricarlo oggi provi quasi un senso di tenerezza. Una nave in una foresta non è i primi due o tre dischi dei Subsonica però ci prova e a volte ci riesce pure (come in LazzaroDi Domenica, Specchio,  Ritmo Abarth), riuscendo comunque ben più che dignitosamente a riproporre un suono ed una capacità di scrittura – la sparo lì: elettronica anni novanta assolutamente figlia di meets canzone all’italiana, testi mediamente profondi, ritornelli appiccicosi, voce di Samuel Romano che a volte vorresti scappare via con lui in sella ad uno scooter truccato – che all’epoca in cui hanno iniziato a girare ce l’avevano solo loro (continuo però sempre a pensare che i Casino Royale siano arrivati davvero troppo in anticipo. Se solo fossero stati più scaltri, se solo avessero voluto sputtanarsi, se solo Giuliano Palma)(i Subsonica hanno portato avanti un discorso già iniziato dai Casino Royale, dai, solo che lo hanno fatto in maniera assolutamente personale e sono diventati i Titolari Assoluti di una cosa che è arrivata perfino al Festival di Sanremo) e nessun altro. C’è parecchio pilota automatico, ma ben nascosto ed in definitiva Una nave in una foresta mi piace parecchio. Poi magari i Subsonica tirano avanti solo per pagare le loro ingenti spese o al limite per onorare ogni tot anni il contratto con la loro casa discografica, però chi sono io per giudicarli? A quei livelli sinceramente farei lo stesso.

6 thoughts on “CE LO CHIEDE L’EUROPA, che a questo giro diventa una agghiacciante combo Lamb-Subsonica, da leggersi tutta d’un fiato oppure in pillole”

  1. Oddio che bella la parte dei Subsonica. Sintetizza perfettamente il mio pensiero.

    Alla fine a loro non gli si può volere male troppo, veramente in quel momento (fine anni novanta inizio 2000) facevano solo loro quella roba là e hanno azzeccato più di qualche pezzo in quel genere. Però…però siamo veramente in un’altra epoca….
    Anche io ai loro concerti sono andato 4-5 volte e mi sono sempre divertito molto.
    Io li lego molto al periodo di inizio università (diciamo 2003-2004) e secondo me fino al doppio live Controllo del Livello di Rombo han fatto cose egregie. Poi da là in poi siamo andati fortemente in calando. Quel Live secondo me rappresenta alla perfezione i rimastoni di cui parli tu.

  2. ok.
    punto 1) Roni Size concettuale? questa mi mancava.
    punto 2) non c’è un punto 2.
    punto 3) il 31 ottobre io i Subbi me li vado a vedere a Jesolo, con lo spirito di un 33enne che li ha già visti per lo meno 15 volte. staremo a vedere… probabilmente sarò in lacrime su diversi pezzi.
    punto 4) ci avrei giurato che avresti utilizzato l’espressione ‘pilota automatico’. 😉

  3. secondo me hanno sempre fatto dischi bellissimi, a parte ‘Eden’ che è troppo sgarzolino per i miei gusti.
    e cmq l’Eclissi, secondo me, è molto sottovalutato da pubblico e critica.

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