Ere geologiche fa, Warren Defever era la lingua più lunga del sistema solare, solo delizia niente croce per stampa musicale e lettori di qualunque emisfero. Morrissey? Julian Cope? Cristo, Noel Gallagher? Dilettanti. Chierichetti. Poveracci, ci provavano pure ma lo capivi all’istante non ce l’avrebbero fatta mai a raggiungere il solo e unico. Galassie li separavano. Anni luce. Millenni. His Name Is Alive l’emanazione, i cui dischi – ogni disco – ridefinivano fin dalle fondamenta il concetto stesso di “celestiale”, un misto strano tra Savage Republic e This Mortal Coil di almeno tre lunghezze superiore alla somma delle parti. Tempi in cui la 4AD riusciva a essere qualcosa di molto vicino al concetto di perfezione assoluta. In questo spaziotempo, nulla è cambiato: ascoltare Tecuciztecatl è come fissare il sole per un’ora. Abbacinante, colossale, irraccontabile; estasi pura, materia degli dei, comunque la si voglia definire, roba che porta a credere sul serio che His Name Is Alive sia il più grande gruppo di tutti i tempi, la musica la migliore mai esistita. L’unico vero peccato, criminale, è che una volta dissoltasi l’ultima nota dell’ultimo pezzo tutto torna come prima. Che bello se la vita vera fosse un solo, eterno loro album.