La storia dei Creed, per me, è soprattutto la storia di un altro gruppo che non c’entra niente. L’altro gruppo si chiama Low: iniziano a fare musica nei primissimi anni novanta in un posto che si chiama Secaucus, nel New Jersey. A un certo punto scoprono che c’è un altro gruppo con lo stesso nome, e quindi cambiano nome in The Wrens. È il 1994, esce il loro primo disco, due anni dopo il secondo, Secaucus, un capolavoro. L’etichetta che li pubblica si chiama Grass Records: più o meno contemporaneamente a Secaucus viene acquistata da un imprenditore di nome Alan Meltzer. Cambierà nome l’anno successivo, trasformandosi in Wind-Up Records: il nuovo padrone ha le idee chiarissime, si presenta davanti al gruppo e gli offre un contratto milionario, a patto che gli Wrens rivedano la musica e l’immagine del gruppo e si spostino su un suono più radio friendly.
Il gruppo rifiuta l’offerta per continuare a fare la musica che gli pare. A quei tempi si usavano terminologie come radio friendly e i gruppi rifiutavano i contratti milionari per questioni d’integrità artistica. A questo punto, secondo la leggenda, Alan e Diana Meltzer rivolgono l’attenzione ad un gruppo indipendente nuovo di zecca, attivo in Florida e chiamato Creed. La band sta suonando in giro con un discreto successo e si è prodotta un disco per conto suo, intitolato My Own Prison, di cui ha smerciato cinquemila copie. Si presentano a loro coi soldi, spuntano un contratto, ripassano il disco al banco del mixer e lo ributtano sul mercato facendolo diventare un bestseller da sei milioni di copie. Succede più o meno dal giorno alla notte, con un certo intuito per quanto riguarda il suono: post-grunge da telefilm per adolescenti o pubblicità dei jeans, sbattuto su suoni oscuri alla Korn. Il cantante si chiama Scott Stapp e la sua voce è indistinguibile da quella di Eddie Vedder. Avessero ceduto alle lusinghe di chi li aveva lanciati, sarebbero stati gli stessi Pearl Jam a diventare i Creed. Il disco è comunemente considerato, ancor oggi, come uno standard di base per definire il concetto di rock del cazzo.
Gli Wrens se la passano peggio. Le dispute legali per tornare in possesso dei diritti dei loro due album costano al gruppo tutta la bile e l’energia che servirebbero a realizzare un disco nuovo. Si arriverà ad una soluzione di compromesso solo dieci anni dopo Secaucus: Wind Up ristampa il disco ma continua a detenerne i diritti.
Nel frattempo la musica dei Creed è diventata uno standard, magari uno standard dell’inesistente ma comunque uno standard. Realizzano il secondo disco a brevissima distanza dal primo, con un successo di pubblico ancora maggiore. Tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila altri gruppi entrano in classifica sfruttando la stessa intuizione di incollare rock alternativo di merda e nu metal di merda; la cosa prende le forme di un saccheggio degli Alice in Chains orchestrato a mente fredda, e coinvolge roba tipo Godsmack, Days of the New, Nickelback, Staind e molti altri. È roba senza nemmeno le fondamenta pretestuose del crossover, una barzelletta raccontata per anni di quelle che nessuno ha riso manco la prima volta. Wind Up, qualche anno dopo, sarà la responsabile del successo planetario degli Evanescence. I Creed si sciolgono nel 2004. Scott Stapp prosegue da solista, gli altri fondano gli ancor più tristi Alter Bridge.
Quelli che ascoltano musica riescono a percepire la differenza tra un gruppo vero e un gruppo finto, anche senza conoscere le biografie. A volte sbagliano ma in generale no. C’è tutta una sottocultura di generi musicali, soprattutto legati al rock, che vendono a un pubblico di persone che non si fanno domande (sono domande stupide, in fin dei conti) e fatturano soldi sufficienti ad asciugarsi le lacrime. Internet avrà pure sconfitto il mercato discografico, ma non il capitalismo: nelle riviste generiche e nei rotocalchi il valore artistico delle band è direttamente proporzionale al numero di persone raggiunte dalla loro musica.
A volte il rock falso mi piace molto: quello irragionevolmente pompato e anni ottanta, quello dei suoni bombastici e della malinconia di porcellana. È relativamente più facile giustificarlo all’interno del macrosistema a cui il rock si riferisce: la dimensione della musica da stadio si sposa malissimo con le pretese di rivolta indipendenza ed autoaffermazione che spesso accompagnano le pretestuose biografie dei gruppi. E parte della mia cultura viene da lì, da pezzi romantici e moscissimi di gente tipo The Calling o Semisonic, tutta gente che ha incontrato un manigoldo in cabina di regia che a un certo punto urla “la facciamo tipo Kurt Cobain”, che ha prodotto minor hit che canticchio in automobile stando attento a non farmi beccare dagli altri automobilisti. Qualsiasi grado di ribellione e non-allineamento rispetto a questo sistema di valori è un sottoprodotto dello stesso ed un modo prosaico di partecipare. Non posso scegliere che cosa ha formato la mia cultura, lo dico con una punta d’orgoglio: avessi la possibilità di scriverlo nel CV, che ho visto tutto Beverly Hills 90210, lo farei. Riesco a capire l’intimo squallore dell’FM-rock, ma in qualche modo ne comprendo l’esistenza molto più di altre sue espressioni più credibili e ruspanti (che so, Foo Fighters o Muse).
Dal 2004 ad oggi sono passati dieci anni. Gli Alter Bridge continuano ad esistere. I Creed si sono riformati a fine decennio, hanno fatto tour di successo e non sono mai riusciti a finire un disco nuovo. Ritrovo Scott Stapp due giorni fa, dopo anni di disinteresse. Dicono che ha perso tutti i soldi, la moglie e la sanità mentale, che è stato internato in un istituto psichiatrico, che ha fatto cattivi investimenti e probabilmente è un tossico e tutto il resto. Magari era solo uno che voleva fare la sua musica: era brutta, gliel’hanno cambiata un po’, ha avuto successo. Che doveva fare? Magari qualcuno avrebbe voluto essere lui, o giura che al suo posto si sarebbe gestito meglio, che avrebbe sovvertito il sistema. Se c’è una morale, è una morale che non mi riguarda: la sua musica sembra aver fatto molto più male a lui di quanto ne abbia fatto a me.
Gli Wrens vanno ancora avanti, quando la vita glielo permette. Hanno messo su famiglia, registrato il disco più bello di sempre (The Meadowlands, 2003), fatto concerti, procrastinato per un’altra decina d’anni. Poi hanno registrato il disco nuovo e hanno firmato un contratto per farlo uscire. Non si sa ancora con chi. Se c’è una morale, riguarda il fatto che c’è un modo per invecchiare con dignità assieme alla tua musica. E costa un sacco di soldi.
Bel pezzo.
A me viene fuori una domanda che non c’entra molto con le band in questione, ma con alcuni concetti.
Ad un certo punto dici: “C’è tutta una sottocultura di generi musicali, soprattutto legati al rock, che vendono a un pubblico di persone che non si fanno domande.”
Vero. Ma è davvero necessario, porsele, queste domande?
Viviamo un’era in cui analizzare un prodotto per quello che è, senza un’overdose di concetti e nozioni a margine è impossibile. Il prodotto che nello specifico caso ti finisce nelle orecchie conta solo per una parte della valutazione. Poi ci sono le questioni “extra”, che non dico non valgano un cazzo. Anzi, se sai che ci sono è difficile, a volte, ignorarle. Però non è proprio necessario ci siano per farsi un’opinione su un cazzo di pezzo. Se ascolti uno che canta del suo tormentato rapporto con le droghe e scopri che non si droga davvero è ovvio che tutto ti scenda sotto le suole. Però io ascolto, chessò, CASO e non me lo chiedo se ce l’ha o meno una bicicletta. E vivo comunque bene.
Poi penso che ad esempio io di storia dell’arte non so una fava. E mi piace poter andare a vedere una mostra, soffermarmi su un quadro e magari non sapere il motivo per cui è stato dipinto, chi l’ha commissionato, perchè è finito in un museo a differenza di millemila probabili altri quadri anche migliori che però, per enne motivi, non ce l’hanno fatta. Magari senza manco sapere di chi cazzo è sto quadro. Solo guardarlo e dire: “Toh, è figo”.
Eh sì, probabilmente è un approccio pigro e svogliato alla questione, ma in fin dei conti è un cazzo di quadro.
Beh, a volte non è solo un cazzo di quadro, così come quello di Duchamp (un esempio a caso) non è solo un cazzo di orinatoio.
Beh si, ma questo non lo discuto. È che la via al tutto tondo mi pare a senso unico. Invece credo sia bello poterla prendere, ma anche no. Tutta questa attenzione al contorno sempre e comunque per me un po’ distoglie, cioè no, però filtra la botta che può darti un pezzo scritto dalle persone sbagliate per motivi sbagliati in un contesto sbagliato che però non conosci.
in generale sì, sono domande vuote o comunque in qualche misura pleonastiche nel senso che la musica la puoi anche ascoltare senza portele. dall’altra parte no. per dire, se ascolti dieci gruppi che copiano i melvins e poi ascolti i melvins, è probabile che tu ci senta delle differenze, e non sono necessariamente differenze esecutive o di scrittura. è che quello specifico suono, in quello specifico momento, ha un senso vero e importante ed è un senso percepito. se a un certo punto prendi quel suono specifico lì e lo metti da un’altra parte, il suono rimane bello ma non ha più quel senso specifico lì. come corrispondente, più che la pittura, ci metterei il cinema: esiste gente che non nota differenze tra l’action in CGI e gli attori che si fanno gli stunt da soli; sono la maggioranza, pagano il biglietto e fanno incassare i kolossal, ma la differenza tra l’una e l’altra cosa esiste ed è una differenza importante, ecco.
Non sono sicuro che il paragone mi fili.
La differenza tra stunt e CGI è visibile. Serve attenzione, un’occhio allenato forse, ma poi guardi il film e la vedi. Non ti serve andare a leggere se l’hanno fatta in CGI o no. L’opera basta a se stessa per farsi valutare anche sotto quell’aspetto.
Quindi o non ho capito il concetto e tu dici che tutta una serie di valutazioni che esulano la musica si possono fare a partire unicamente dalla musica, oppure non mi funziona.
io penso che stia parlando di onestà. quando dei musicisti si approcciano alla musica con onestà, mettendoci se stessi, perché è un’urgenza lo senti. quando suonano perché è così che devono suonare te ne accorgi, è un qualcosa di plastica tipo i citati Godsmack. Poi possono essere anche buoni album, ma insomma, lasciano il tempo che trovano.
ma credo di averlo scritto abbastanza chiaro: “Quelli che ascoltano musica riescono a percepire la differenza tra un gruppo vero e un gruppo finto, anche senza conoscere le biografie.” la parafrasi: “ci sono dischi che suonano veri e suonano falsi, a prescindere da quello che sono in realtà. gli ascoltatori sanno distinguerli, a volte si sbagliano ma più spesso no.”
Tendo a non sentirmi a mio agio nei panni di quello che non capisce ciò che legge, quindi scusa se preciso.
Se un rabdomante dice che sente l’acqua con un legno io gli chiedo spiegazioni. Ma non è che la frase “sento l’acqua con un legno” sia poco chiara.