«Ah, ma tu sei quello del liscio». Non che sia capitato mille volte, intendiamoci, ma nelle mie sempre più rare serate mondane in qualche caso mi è capitato di conoscere gente che in effetti mi ha inquadrato così. Nulla di male, anzi me la son proprio cercata, e anche se non mi piace definirmi “quello che ha sdoganato il liscio romagnolo alle platee indie sulle pagine di Blow Up”, devo di nuovo ammettere che sì, un po’ me la sono cercata. E’ accaduto ormai un anno fa, a gennaio 2014, e all’articolo ho lavorato, tra una cosa e l’altra, fin dalla fine del 2012.
Perché l’ho fatto? Per tante e ragioni, non tutte nobili peraltro, ma una di queste – la più basica – è che lo potevo fare, perché sono romagnolo e perché scrivo in un giornale locale, il che mi ha timidamente aperto le porte di un mondo veramente intrigante e completamente alieno alle spire del mondo indie. Al punto che qualche anno fa pensai io stesso di aprire un blog, intitolato “Guida al mondo reale per indie-blogger”. Avevo anche scritto l’articolo d’apertura, in un forum l’ho pure pubblicato, ma insomma la questione era che, se vivi in provincia e devi parlare a un pubblico mediamente over-50, succede che, beh, come posso dire, la musica cambia. In ogni senso.
Parlo di scuole di tango, band quindicenni dalle note biografiche improbabili e dettagliatissime, jazzofili duretti e purissimi, concerti di cameristica all’ora del tè e roba che nel mondo indie semplicemente non esiste, non viene rilevata dai radar ma costituisce una fetta non indifferente del cosmo musicale tutto. In questo universo sconfinato ci sono espressioni di coloritissima nicchia come il liscio romagnolo e tutto il suo indotto, talmente ben congegnato e così intrinseco alla natura stessa della musica da ballo romagnola da venire percepito come un tutt’uno e dare luogo, forse per la prima volta nella storia, alla cosiddetta “industria del ballo”, ai “divertimentifici” che in Romagna esistono da più di un secolo. Nacque infatti oltre cent’anni fa, a Bellaria, il Capannone Brighi, ovvero la prima balera (la storia della musica da ballo romagnola comincia in realtà molto prima ma per questo si può ordinare un arretrato di Blow Up, fermo restando che fareste meglio a leggervi i libri di Franco Dell’Amore e i saggi di Paola Sobrero sull’argomento).
Non sto a farla lunga, il punto che qui mi interessa approfondire è il legame inscindibile tra la parte musicale del liscio e quella imprenditoriale, e mi interessa perché se della prima – ormai da decenni – non si registra più alcun guizzo vitale significativo, la seconda sta continuando stancamente a protrarsi, con disperati e goffi tentativi di aggiornamento e un pubblico sempre più vecchio e indifferente ai templi del ballo romagnolo, la cui sorte appare segnata e ineluttabile. Qualche dato sulle chiusure delle balere forse lo trovate cercando su internet gli articoli di Ermanno Pasolini sul Resto del Carlino, che fornisce numeri tutti da verificare (specialmente quando parla di migliaia di orchestre attive fino agli anni ’80, forse si tratta di migliaia di iscritti all’Enpals, che prende dentro anche i pianobaristi e i musicisti tutti, per capirci), ma in ogni caso dà un quadro realistico se non altro delle proporzioni della decadenza.
Circa un anno fa feci una piccola indagine sulle balere, su come stavano messe in provincia di Ravenna, e insomma non è che stiano messe tanto bene. Tra le varie cose che son saltate fuori ci sono i locali ibridi, magari con le imitazioni dei California Dream Man il venerdì, la “musica per giovani” il sabato (tipicamente cover band di intramontabili anni ’60, ’70 e ’80), il latino la domenica (quest’ultimo è da intendersi o nel senso della cumbia da balera, deriva finale delle contaminazioni in direzione sudamericana penetrate nel corpo del liscio dalla Musica Solare di Raoul Casadei in avanti, oppure nel senso del reggaeton, quindi della “musica che si balla tutti insieme con le coreografie e la gente, anche i giovani, ci si divertono”) e il martedì sera “il liscio” o “le orchestre” o “i balli tradizionali”, tutti sinonimi della stessa roba, quella che un tempo era la musica da ballo romagnola e al principio dei ’70 diventa il liscio (sul perché del nome esistono alcune storie e teorie che non abbiamo lo spazio per approfondire). Poi ho scoperto che le scuole di ballo di provincia hanno attuato una politica mercantile aggressiva con un doppio esito: da una parte organizzano feste private in casoni e locali affittati e si tengono ovviamente gli introiti degli ingressi togliendo fette di mercato alle balere con attività continuativa (questa per lo meno è l’accusa, mica tanto velata, dei gestori dei locali); dall’altra il proliferare di queste scuole (perché dell’intero indotto del liscio sono l’anello che soffre meno) paradossalmente svuota le piste da ballo perché quelli delle scuole sono più bravi di quelli che un tempo si buttavano in pista con scarsa cognizione ma tanta genuina voglia di saltabeccare e oggi invece si vergognano al cospetto dei ballerini istruiti con le loro dame scosciate e saltellanti. E’ un peccato perché la natura iper-popolare di questi balli (il cui successo è da ascriversi al fatto di essere di coppia e quindi prodromi all’accoppiamento) era la sua forza: per ballare il tango bisogna davvero essere bravi e avere fisici da urlo, mentre la mazurka non seduce veramente nessuno ma almeno la possono ballare tutti. Altra cosa da segnalare, scoperta in un dibattito sulla materia che moderai un lustro fa, è che la gente si incazza ancora su questi argomenti, non vi dico i fiammetti tra il gestore delle balere che si infervorava contro il maestro di ballo e uno contro l’altro discettavano di giri di valzer, giri di merengue, 2 valzer 2 polke una mazurka, tre pezzi di “moderno” (che negli anni ’50 erano boogie e swing, oggi credo sia una qualche mistura latinoide) con un tecnicismo e una foia degni davvero di miglior causa. Che poi non lo so mica se ci siano cause migliori, che qua si parla di migliaia di persone che hanno vissuto di musica per decenni, altro che pugnette. Stupendo poi è stato parlare con l’autoproclamatosi “inventore del lunedì delle badanti” – credo fosse il lunedì -, che è un po’ come il giovedì delle commesse in spiaggia o il lunedì delle parrucchiere, cioè si è creato un nuovo “momento di socializzazione”, subito coperto con un’offerta danzereccia ad hoc, come nella migliore tradizione dell’industria del ballo. Sta di fatto che oggi le donne da balera pare siano per lo più straniere e che comunque un popolo che frequenta questi posti c’è ancora. Poi purtroppo le orchestre faticano, perché un pubblico over 65 è un pubblico che consuma poco, non si può pagare l’orchestra allora si passa al trio (un ritorno alle origini, ma direi che l’intento non è propriamente filologico…), un po’ ci si appoggia alle basi midi, si riesce sempre a sfoderare una cantante sui 45 “con due cosce così” e via andare.
Vi garantisco che, a dispetto di un presente un po’ sciapo, questa “scena” ha vissuto fasti autentici nel passato e anche la musica non era affatto male, per lo meno fino agli anni ’60, quando una nostalgia un po’ finta e cartolinesca ha preso il posto dell’originaria baldanza. Se ascoltate “Un bes in bicicleta” di Secondo Casadei, nell’originale versione anni ’30, sentirete il vinile che gracchia, sentirete lo sprizzo fascista in sottofondo, sentirete lo scoppiettio della pacca sulla chiappa e della bici che finisce nel fosso, ma capirete anche, facilmente, che quella roba era up-to-date, raccontava bene quei tempi (ed era pure, nella fattispecie, un one-step, musica americana insomma). Dopo si è giocato sulla nostalgia, i romagnoli (e non solo loro, chiedete in Veneto e Lombardia) hanno continuato ad apprezzare e a chiedere una musica che rimestava nel suo passato senza peraltro che i suoi protagonisti l’abbiamo mai curato, questo passato, dal punto di vista culturale e filologico. Poi Raoul s’è inventato la Musica Solare dalle assonanze mediterranee, Castellina ha spinto a manetta sul sudamericano, Nicolucci ha tentato con successo (ma senza eredi dal seguito paragonabile) di tornare alla tradizione più verace e alla lunga il liscio è diventato una roba musicalmente indistinta che oggi, tra l’altro, sembra discograficamente dominata dagli emiliani tipo Bagutti (e, per dire, anche un distributore di dischi come settenote è gestito a Toscanella, quindi in Emilia, da Roberto Scaglioni).
Il punto è che, tuttora e nonostante tutto, questo è un mercato interessante sotto il profilo di meccanismi che continuano ad annaspare vitalità, se mi passate l’ossimoro. E poi c’è tutto il mercato delle edizioni, che ha coinvolto miriadi di autori, presunti autori, prestatori di firma, scippatori di melodie e via andare. Quelle robe che una volta che le hai un minimo penetrate, e con loro ti sei addentrato nel cuore vero del popolo che tra un po’ non c’è più, una volta che c’hai sbattuto il naso e sprofondato le meningi, ma come fai ad accontentarti delle insipide, pulciose e autoreferenziali dinamiche del mondo indie?
Questa l’è stôria, burdèl, êtar che ciàcar.
______________________________________
PS: tutta la questione dei nuovi alfieri della riscoperta del liscio, dai Mr Zombie all’Orchestrina di Molti Agevole, dai Sacri Cuori Social Club al Vangelo Secondo Casadei, è altra faccenda, praticamente non imparentabile all’indotto del liscio-mondo, e non è quindi materia che in questa sede andasse presa in esame.
Mango, la dance anni ’90, il liscio… Aspetto la rivalutazione degli 883 e di Masini! Va la’ che il festival di Sanremo e’ il vostro evento preferito (con Xfactor)
883:
http://www.bastonate.com/2012/02/10/unaltra-per-il-ventennale-di-hanno-ucciso-luomo-ragno/
http://www.bastonate.com/2012/02/09/una-per-il-ventennale-di-hanno-ucciso-luomo-ragno/
http://www.bastonate.com/2013/06/17/la-rubrica-pop-di-bastonate-che-oggi-chiameremo-birra-e-camogli-reloaded/
(e altri dieci pezzi in effetti)
ahah grandi! miglior sito dell’ internet comunque, giusto per essere chiari.
La mia esperienza di quarantaduenne.
Come ogni emiliano romagnolo ho da sempre convissuto con la musica e il ballo liscio. I miei genitori, nati nel dopoguerra, hanno imparato a camminare e a ballare allo stesso tempo, come dice mio padre. Io e gli altri nati negli anni 70, figli delle discoteche, abbiamo accantonato il liscio…… ma era nelle vene, era comunque una musica familiare, nelle feste, nelle tv private, nelle radio locali, nelle discoteche a due sale, nelle sagre estive parrocchiali o di partito. Tant’è che cinque anni fa mi sono iscritto ad una scuola e, nel tempo, ho imparato (anche se non si smette mai di imparare: il liscio è un mondo, è un ballo molto tecnico e difficile, specie nella sua versione romagnola, il folk, ed in quella bolognese: le danze filuzziane). Sintesi: un enorme divertimento, assolutamente non paragonabile alla musica che ascoltavo da ragazzo (discoteche ma anche indie: smiths, rem prima maniera, cure, cccp – che un po’ di liscio lo “facevano -, ecc. ecc.). Un ambiente genuino, privo di sballi, dove si dimagrisce anche un kg a sera. E mi accorgo, oggi, quanto erano sciocchi i sorrisi di compatimento ascoltando una mazurka o sentendo un valzer. Il problema è che il liscio bisogna saperlo ballare e imparare costa fatica e ci deve mettere in gioco con una donna su una pista…