Sono state consegnate le Targhe Tenco, un premio alla musica di qualità italiana assegnato dal Club Tenco, il tutto sotto l’egida di un cantautore piuttosto skilled, morto suicida dopo essere stato segato a Sanremo (la versione più accreditata). Erano altri tempi. Oggi i tempi sono che vengono consegnate le targhe e il vincitore come miglior album è un (ex) conduttore televisivo di (ex) nome Mikimix, ora rapper a nome Caparezza -quando ha iniziato nel giro era comunemente considerato un sucker, oggi fa dischi più o meno della stessa qualità ma nel giro dei dischi rap che fan parlare di sé ci fa la figura di un artista di talento, per dire della crescita artistica del genere. Ma a parte Mikimix, sul Fatto Quotidiano scrive un articolo molto critico nei confronti del vincitore della Targa Tenco come miglior canzone, i Virginiana Miller di Lettera di San Paolo agli operai:
Rimangono però forti dubbi sul fatto che Lettera di San Paolo agli operai sia la canzone più bella dell’anno: testo abbastanza scontato, dettato didascalico e metafore trite, abusate e sostanzialmente stagnanti.
(random fact) La parola stagnanti mi fa scoppiare dal ridere ogni volta che la sento/leggo perché la associo alla recensione del primo disco dei Mars Volta uscita su Blow Up e firmata da Zingales. “Sbancano per la cazzata del secolo”. Non so se ve la ricordate, e se non ve la ricordate ignorate pure questo capoverso
Dicevo, Paolo Talanca, che firma il pezzo sul Fatto, è laureato in lettere con tesi su Guccini, Gozzano e Montale, e fa parte della giuria del Premio Tenco. Sorvolando sui conflitti d’interesse, stiamo comunque parlando di professionisti e/o gente che ne sa più di me. Ok? Non è nemmeno la prima volta che si lamenta del pezzo dei Virginiana Miller. Sta di fatto che un accademico, tale Simone Marchesi, professore associato di francese e italiano a Princeton, interviene su Rockit in difesa del pezzo. Simone Marchesi, si legge dalla sua bio di Princeton, ha scritto il libro Traccia fantasma. Testi e contesti per le canzoni dei Virginiana Miller (Erasmo, 2005). Sorvolando sui conflitti d’interesse, la sua difesa dei Virginiana Miller mi prende benissimo:
Non è scontato che didascalico, ad esempio, sia meno che un complimento per il testo della canzone. Se didascalico vuol dire in qualche contesto ‘pedante’, questo resta un significato secondo, uno a cui la deriva semantica dell’italiano lo ha avvicinato, ma che non cancella l’appropriatezza etimologica e testamentaria alla situazione del testo. Nel greco della lettera di Timoteo, Paolo è didaskalos ethnon –propriamente, chi insegna ai Gentili. E questo non è lettera morta nel testo della canzone.
Il resto è tutto meglio. Vengo a sapere la cosa dal facebook di un paio di persone estasiate perché il Fatto è stato cazziato. Leggo l’articolo, e le cose, con l’interesse morboso che ho per queste cazzate e quella sensazione (per quanto riguarda i beef musicali la provo tre o quattro volte a decennio) di avere altri cazzi a cui pensare.
Il Club Tenco, i Virginiana Miller, il Fatto Quotidiano, un giornalista con tesi su Guccini Gozzano e Montale, un accademico di Princeton che tra le pubblicazioni ufficiali mette un’analisi dei testi dei VM, commentatori entusiasti. Un film di Cronenberg senza le mutazioni. Questa percezione adulta della musica popolare è una categoria merceologica ricchissima. Quando ero ragazzo e comunista amavo teorizzare che questo genere di discorsi sulla nobiltà artistica del pop si facevano sull’onda della sublimazione del complesso del padrone bianco: non facevamo parte di minoranze, non avevamo svantaggi cognitivi/razziali/economici evidenti e indossavamo il mitra per difendere la reputazione artistica delle canzoncine che ascoltavamo. La maturità mi ha portato a pensarla diversamente, ma neanche così tanto.
Avevo scritto una cosa, qualche giorno fa, per i Creed: quelli che ascoltano musica riescono a percepire la differenza tra un gruppo vero e un gruppo finto, anche senza conoscere le biografie. A volte sbagliano ma in generale no. C’è tutta una sottocultura di generi musicali, soprattutto legati al rock, che vendono a un pubblico di persone che non si fanno domande (sono domande stupide, in fin dei conti) e fatturano soldi sufficienti ad asciugarsi le lacrime. Internet ha sconfitto il mercato discografico ma non il capitalismo: nelle riviste generiche e nei rotocalchi il valore artistico delle band è direttamente proporzionale al numero di persone raggiunte dalla loro musica. Non c’entra, ma un po’ mi serve da salvacondotto. Quest’ansia di nobiltà legata alla canzone italiana, ad ogni livello (avere un premio istituzionalizzato alla qualità, avere articoli contro le scelte della giuria, avere articoli in difesa di questa gente) è la stessa merda istituzionale e di destra che si ciucciano gli ascoltatori di metal orchestrale o quelli che vanno a vedersi Ramazzotti e stanno vicino al mixer per sentirsi le parti di Vinnie Colaiuta.
Giorni fa ho ascoltato l’ultimo disco dei Gerda. C’è stato un periodo in cui pensavo che la musica popolare avesse la stessa dignità del resto, ma è un modo scemo di pensare. Non sono uscito di testa per i Metallica perché li vedevo come il corrispettivo contemporaneo di Manzoni: in effetti li vedevo come l’esatto contrario, e tutto il processo intellettuale è arrivato dopo. Diversi testi romantici e tutta la mentalità degli anni novanta sono impostate sull’assunto di base che la musica sia una sola, che si possa ascoltare tutta, che non esistano barriere. Non è vero. Esistono almeno due musiche: la prima esiste sulla base della convinzione che la musica sia una sola, l’altra esiste in reazione a questo approccio. I Gerda urlano, tanto. Metriche fratturate, chitarre affilatissime, parti vocali allucinate, volumi oltre il sostenibile, sfoghi di violenza eccessivi che ti colgono impreparato. Il revival degli anni novanta lo puoi fare riformando il gruppo o riprendendo un atteggiamento che è andato perduto e che ti porta a cercare il limite dell’ascoltabilità. Ho rimesso il disco dei Gerda in auto, dopo aver letto il pezzo sui Virginiana Miller: dà un’impressione come se il mondo vero ti stia entrando in macchina dal finestrino chiuso. Non è roba per tutti, in effetti non è quasi roba per nessuno: arrogante, violentissimo, estremamente emotivo. Una cosa il cui valore è alla portata di tutti, ma a familiarizzare con la quale si arriva ascoltando musica dozzinale e violenta per anni, cercando roba sempre più sbracata e sconvolta e stando lontano da quelli che si sentono geni. Il disco nuovo dei Gerda (il cui titolo non è Lettera di San Paolo agli operai ma Tua sorella) suona così perché, per un minuscolo sottoinsieme di ascoltatori di musica, è necessario.
“Una cosa il cui valore è alla portata di tutti, ma a familiarizzare con la quale si arriva ascoltando musica dozzinale e violenta per anni, cercando roba sempre più sbracata e sconvolta e stando lontano da quelli che si sentono geni.”
C’è verità nelle tue parole.
FF, A me piace il sito, piacete voi, mi piaci tu. Ma ti prego non usare più l’espressione “piuttosto skilled”. Mi ha fatto molto male e ci vorrà un po’ per riprendermi.