Tema: il classificone del 2014. Svolgimento:

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Musicalmente il 2014 è stato un anno più o meno come tutti gli altri, o almeno come tutti gli anni che passano recentemente. Ho sentito qualcuno, ogni tanto, raccontare che questo o quest’altro anno solare avevano segnato un miglioramento nella musica, e qualche volta l’ho pensato perfino io -che so, quando verso il 2000 tutto quell’accacì muscolare alla Earth Crisis stava ritornando a essere una nicchia per palestrati protonazisti e si stava imponendo questo esistenzialismo apocalittico (diventato noioso nel giro di pochissimo, ma è un altro discorso), o insomma quando la roba alla Prodigy era tornata ad essere considerata finta e l’IDM dava un ultimo colpo di coda, il rap era entrato in quella fase Anticon-DefJux che diocristo a me piaceva, il crossover ad ogni costo stava diventando un concetto indifendibile e qualcuno ci aveva riprovato con i generi puri. In quel momento percepivo che la musica stesse cambiando, che si stesse ribellando a una fase d’impasse. Poi c’è da dire che quelle strade non hanno portato a nessun miglioramento reale, ma almeno ero in grado di raccontarmela. Anzi, il punto probabilmente è proprio l’assenza di miglioramento: se si considera la musica come un tutt’uno (secondo me sbagliando, ma vabbè), è lecito pensare ai corsi e ricorsi tra tradizionalismo e modernismo, bianco e nero, elettrico e acustico, analogico e digitale (potrei andare avanti altri dieci righe, fermatemi) come a una sorta di ciclico processo in divenire che faccia da terreno fertile ad uno scontro intestino delle ideologie.

Ecco, questa cosa oggi non sta avvenendo. Il 2014, piuttosto in linea con la tendenza normativa degli anni dieci, è stato un anno in cui i dischi belli sarebbero quasi tutti potuti uscire un anno o due prima. Nessun vento di rinnovamento, nessuno scontro ideologico: una oculatissima gestione del presente, quintalate di mestiere, dischi-rivelazione di gente che fa dischi da vent’anni, ripescaggi nemmeno più sorprendenti e via andare.

Non è nemmeno più una questione di avanguardia e passatismo; non è proprio più il punto. Se guardate alla poetica del ripescaggio wave che ha dominato il rock indipendente dal 2002 al 2009, per esempio, è possibile vederci dietro una dichiarazione estetica. Mettere in classifica i primi dischi di Liars e Interpol aveva un chiaro significato politico, giusto o sbagliato che fosse. Una rivista mette gli Interpol in testa alla classifica nei primi 2000 e tu accusi il direttore di essere un mentecatto. Con The War On Drugs questa cosa non può succedere: il disco in sé mi infastidisce ma capisco perfettamente perché stia lì, ha un suo preciso senso oggettivo. Run the Jewels, Sun Kil Moon, FKA Twigs: stessa cosa.

L’oggettività del criterio è una vecchissima chimera del giornalismo musicale. La critica rock/pop esiste da sempre in un sistema di convenzioni strutturato nel tempo ma in cui nessuno s’è mai preso il disturbo di porre regole universali, anche perché (tra le altre cose) sarebbe stato accolto da una valangata di scorregge. Quali dischi sono oggettivamente migliori degli altri? Quelli che rispettano regole stabilite solo per convenzione, il più delle volte al negativo. L’oggettività è fondamentalmente un criterio soggettivo, in questo campo: devi avere il fegato di porre condizioni d’accesso e vedere chi ci entra dentro, e su quella base promuovi e bocci la gente. Se hai ancora più fegato non ci spendi neanche il tempo: preferibile mettere in piedi un sistema più marxiano, stabilire cosa ti piace e cosa no e ridefinire i criteri di selezione sulla base del risultato finito, cioè stabilisci a mente fredda che tra critica professionale/attenta e parlare alla cazzo di cane scegli la seconda, e poi la narrativa si muove per strutturare il cazzo di cane.

Shellac

Sembra un paradosso, ma la rivoluzione della musica liquida ha portato ad uno strapotere del primo criterio sul secondo. I motivi? La dittatura dei numeri, il dover rispondere a un pubblico, l’assenza di gusti personali e soprattutto agire in un sistema aperto. Intorno al 2000 mi interfacciavo alla musica in maniera personale, ascoltavo i dischi, leggevo le riviste e decidevo cos’era buono per me e cosa faceva schifo al cazzo. Oggi posso dire che alcuni dei miei migliori amici hanno una discografia più grossa e gusti musicali molto più definiti dei miei. Ci parlo quotidianamente via mail o su twitter e FB, ho uno scambio continuo. Ascoltiamo tutti quanti gli stessi dischi, sono duecento in più rispetto a vent’anni fa ma sono comunque gli stessi. E tra quelli, grossomodo, scegliamo i nostri preferiti. Il risultato sono classifiche tutte uguali: cambiano (di pochissimo) i dischi ma non il discorso generale. Mischiano mainstream rock, rap, folk music e pop da cassa; non si pongono più problemi legati a passatismo e futurismo; premiano dischi poco offensivi, al limite della democristianità. Emblematico oltre ogni dire il caso dell’ultimo D’Angelo, un disco bello e ben fatto di black music osservante (in senso anche molto progressista, molto contemporaneo) uscito di sorpresa a babbo morto ed evidentemente meritevole, già al primo ascolto, di finire in tutte le top ten critiche del pianeta. Cosa c’è di più scontato ed allineato di un successo critico istantaneo? Cosa mi dice realmente della mia vita il nuovo disco di D’Angelo?

 

È anche difficile capire quali siano gli antidoti, parlo per me, a questa situazione. Il più scontato sarebbe di mettermi ad ascoltare musica diversa (come fa chi si butta periodicamente su noise e musica etnica), ma sarebbe una scelta ad interim e comunque non ho voglia di farlo; il più radicale sarebbe smettere di ascoltare o di parlare di musica, ma non so scrivere di nient’altro. Scelgo una soluzione di compromesso: sostenere dischi meno oggettivamente belli e più sanguigni, che mi parlino di più nelle loro imperfezioni e in una grettezza molesta a cui mi possa in qualche modo relazionare. La cosa vale più come un proposito personale per il 2015 che per l’anno appena trascorso. Comunque il mio disco dell’anno è degli Shellac. VAFFANCULO. Ragione soggettiva, è il mio gruppo preferito. Ragione oggettiva, oggi è uno dei pochi gruppo in cui quella dialettica del rock prende la forma di un timidissimo dialogo, uno dei pochi dischi in cui gli strumenti sembrano suonati o non suonati per un motivo preciso e a noi sconosciuto. Seguono Deerhoof, più o meno per lo stesso motivo, ed Earth (il loro disco più politico dai tempi di Earth2). Li scelgo sopra gli altri perché da qualche anno sto trovando più piacevoli le chitarre e non ascolto molto del resto. Sulle stesse coordinate in ogni caso è possibile trovarci anche Aphex Twin (quantomeno il disco di uno che sente la necessità di giocare pulito), e per altri versi roba roots con quell’appeal da “io non voglio entrarci” tipo Plastikman e soprattutto The Bug. Nella categoria POPPONI stravince Lykke Li, poco altro dietro; categoria dischi belli nessun ripensamento su Sun Kil Moon (uno che aveva smesso di provarci da ormai dieci anni e poi ha tirato fuori il disco della sua vita, o poco ci manca). Poco altro: una valangata di dischi che mi hanno lasciato più o meno come quando li avevo trovati, tipo Woven Hand o Alvvays o Ben Seretan, Pontiak, Run the Jewels. Un bell’anno per l’Italia, il mio preferito Ninos du Brasil ma sono tantissime le cose che m’hanno tenuto il cervello acceso, a partire da un disco respingentissimo de Lo Stato Sociale a Canicola degli Heroin in Tahiti. E poi roba tipo Gerda e Edda che vale più o meno il Fausto Rossi più dissociato, il cover album di Succi e diverse altre cose. Artisti che stanno in tante playlist ma per me han fatto discacci: Horrors, FKA Twigs, Angel Olsen, Cloud Nothings, Iceage, Caribou, Swans, Jack White, Lana del Rey.

 

Non lo so, non sono soddisfatto. Non è che sia uscita brutta musica, è che anche impegnandomi non riesco ad avere una visione. Sarà colpa mia, ma giuro che è l’ultima volta. Nel 2015 mi metto in gioco, così svecchiamo un po’ anche ‘sto cazzo di sito.

NB: Potete leggere declinazioni diverse della stessa lista su Rumore (quello di gennaio, in edicola da oggi), Studio, Ultimo Uomo e Vice

12 thoughts on “Tema: il classificone del 2014. Svolgimento:”

  1. “ma non so scrivere di nient’altro”.
    La cosa è buffa. Io spesso ti leggo, fai parte del mio palinsesto di blog internet, oserei dire nonostante tratti di musica, non fosse che parrebbe offensivo e in realtà la musica mi piace, ma ho smesso da un pezzo di interessarmene. In ogni caso, non ne ho mai letto, l’ho sempre ritenuto superfluo (va bene, cosa non lo è?).
    Tu infatti mi ricordi ciò che si disse di Jim Morrison, che usava la musica per spacciare poesia, ecco, e tu mi pare fai qualcosa di simile, veicolando la tua letteratura – non lo so mettere in corsivo, letteratura, in ogni caso sai scrivere.

  2. “Non è che sia uscita brutta musica, è che anche impegnandomi non riesco ad avere una visione”

    Ti leggo da tanto e ti commento per la prima volta. Da un pezzo, facciamo un pezzettino di tempo, ho l’impressione che siccome la musica non sta andando nella direzione che speravi – cioè continuasse sulla scia degli anni zero, per me il decennio peggiore dalla nascita della musica moderna – tutto quello che succede di nuovo (ossia frullati del meglio degli ultimi 5-6 decenni che come una gestalt danno come aggregato unico qualcosa di più della loro semplice addizione) è una sciagura oppure qualcosa verso cui non riesci a cogliere niente di positivo, peggio ancora: ascolti che non riesci più a classificare nelle vecchie categorie che gli Shellac, gli Swans ed altri continuano imperterriti a glorificare. Mi riferisco anche al tuo trafiletto sulla scomparsa dei generi musicali su Rumore di Dicembre che ho letto con attenzione perché mi è parso strano trovarmi così in disaccordo con te dopo tanti accordi in fila. Cosa c’è di male nella naturale conseguenza del fatto che le nuove generazioni sono le prime ad aver potuto ascoltare libere tonnellate di musica diversissima e suonare di conseguenza?
    (Figurati, questa per me è una benedizione.)
    Per la prima volta da un pezzo è la critica musicale che deve star dietro alle band migliori per sentire che cosa tireranno fuori anziché il contrario: il disco di D’Angelo uscito dal nulla e tutti un pizzico in ritardo ad applaudire all’unisono.
    Ho pensato persino che il tuo fastidio fosse dovuto al sentire venir meno l’importanza del tuo ruolo di critico musicale, che mi confermi dicendoti infastidito del plauso diffuso di D’Angelo, quasi a rivendicare ai colleghi: ei! non si fa così questo mestiere, accidenti a voi.

    Firmato: l’ennesimo che pensa che un’annata con così tanta buona musica come il 2014 non capitasse al Pianeta Terra dallo scorso secolo.

  3. a me è piaciuta parecchia roba dell’anno passato, Todd Terje, su tutti, poi Moodymann, Caribou e Aphex Twin (Caustic Window compreso), menzione speciale per Run The Jewels, la roba con le chitarre (sempre peggio) molto indietro con Twilight Sad e There Will Be Fireworks, Cloud Nothings e IceAge sono inoffensivi come gli Shellac

    Lana del Rey? meglio Sharon Van Etten e Marissa Nadler, ma per tutte e tre prima di trovare qualcosa di interessante passano decine di minuti di compiaciute doglianza assortite

    Edda, Gerda, gli Earth, gli Swans, non so più cosa vorrebbero dirmi, ma dev’essere un problema mio, che peraltro non sono molto interessato a risolvere

    lo Stato Sociale farò finta di non averlo letto, sul resto, beh, una bufala come FKA Twigs meritava fini ben più nobili

  4. è ispirato e rispetta regole precise, ha un suo senso storico, è il disco dell’anno se cerchi certe cose, etc

  5. tre punti soltanto:

    1 le obiezioni che mi poni hanno senso
    2 non so se sono d’accordo sul fatto che il 2014 abbia avuto musica migliore del 2013 o del 2012. per me siamo lì.
    3 il discorso sulla reputazione suppongo sia da fare per i giornalisti professionisti, la gente che ci tirava fuori dei soldi scrive/va per riviste lette da decine di migliaia di persone, io personalmente come critico non ho mai avuto alcuna reputazione. comunque c’è un discorso interessante che sarebbe da fare sul cambiamento dello scrivere di musica, di mio ho cercato di svilupparlo nelle interviste ma non so quanto sia uscito fuori.

  6. avevo letto la lista quando uscì sul mucchio extra. per me è sempre stata una lista agghiacciante, una roba a metà tra cazzeggio spinto, conti da regolare, antipatia verso alcuni generi musicali e giornalismo serio. non è che ho problemi con cazzeggio spinto o conti da regolare o antipatia verso generi musicali o giornalismo serio, è che nel listone mi sembravano proprio mischiati a cazzo.

    (d’altra parte l’avevo scritto ieri nel FB di Guglielmi e mi ha fatto notare, giustamente, che qui escono fuori cose anche peggiori)

  7. Io ho trovato più agghiaccianti le paginate iniziali di scuse, non hanno senso e anzi incitano a insultarli, sopratutto quando raccomandano di avere humor, ma per chi scrivevano, sedicenni?
    Ecco anche perché poi non ho letto tutte le critiche, ero già sfiancato.

  8. “Cosa mi dice realmente della mia vita il nuovo disco di D’Angelo?” Non lo so, della mia vita per esempio credo zero, però lo trovo davvero bello e coinvolgente. Non dovrebbe bastare questo?

  9. A me il disco di D’Angelo sembra valido, ma più per la produzione. Ottimi suoni, bella la capacità di frammentarli rimanendo comunque compatto. I brani però sono solo buoni (alcuni), e personalmente non ne ho trovato uno che mi abbia davvero incantato. (Il disco di Prince mi sembra molto più bello e polposo).
    Da un’altra parte – rivista studio? – FF lo definisce un disco “renziano”, senza spiegarla più di tanto (ma ci sta, era più una battuta). E in effetti ci sta, per come la vedo io. E’ un disco che si regge più sulla forma, efficace, studiata e aggiornata ai tempi, che sulla sostanza. Poi vabbè, avercene. Di D’angelo, non di Renzi.

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