Frammenti d’un discorso sul cinematografo: WHIPLASH, Bird e I dieci comandamenti

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Prima di dire du parole su Whiplash, che ci è garbato parecchio e che io ho visto per voi in anteprima ai’ Fucecchio Film Festival, devo cominciare dall’inizio; anzi: a dirla tutta sarebbe la fine, ma pace.  In soldoni, L’è andata così: dopo aver visto il film, ho pensato bene di rivederne un altro un po’ più vecchio, che ritengo essere ancor più grosso.

Parlo di Bird, forse uno de’ meglio film mai fatti sulla musica, o meglio su un musicista. Come se Clint Eastwood, perché il regista è lui, si fosse messo dietro alla macchina da presa e, invece che “azione!”, avesse detto: “Belle fiche, ora vi fo vedere come si gira un biopic, poi tornate pure a farvi le seghe”. Secondo me l’è andata così: l’ho scritto nella mia lingua solo perché c’ho poca familiarità con l’americano.

Ciò per dire che Bird l’è davvero BELLO. Aiutatemi a dirlo. È uno di que’ film che solo chi ha girato anche Fino a prova contraria, J. Edgar e un’altra ventina di filmoni della madonnaddolorata poteva fare. Ho nominato Fino a prova contraria e J. Edgar perché i’ primo è una delle su’ meglio cose (basti solo JAMES WOODS, maremma cignala), mentre i’ secondo spicca di brutto tra i suoi ultimi lavori, ma pare che un se ne sia parlato abbastanza. Giusto pe’ chiarezza, eh.

Comunque, si diceva di Bird. È la storia di Charlie Parker, che non mi ricordo perché veniva chiamato Bird. I più maliziosi penseranno “perché ce l’aveva grosso!”, dandosi di gomito come a dodic’anni; ma gli amerihani l’uccello lo chiamano in un altro modo, e poi figurati… i jazzisti l’eran tutti neri: sarebbe stato un soprannome poco originale, no?

Tornando seri – si fa pe’ dire – Charlie Parker l’era un sassofonista che prese il Jazz e lo rivoltò com’un calzino. Soluzioni melodiche e armoniche ganzissime, mai sentite. Un senso di’ ritmo novo pe’ davvero, che ti fa pensare che i negri ce l’abbiano proprio ni’ sangue, il ritmo; altro che luoghi comuni.

Clint, che l’è anche un musicista e la musica la ama sul serio (Piano Blues, per dirne uno, dateci un occhio; ma anche Honkytonk Man e Jersey Boys), c’ha fatto un film nerissimo, ma non nel senso afroamericano della parola: ni’ senso di cupo e funereo, come riesce solo a lui e a pochi altri; dove l’amore pe’ i jazz si trasforma in odio pe’ questa sporca vita, resa ancor più sudicia dall’eroina, dall’ulcera, dal bere e dalla morte d’una figliola.

Charlie Parker non era uno che faceva una vita da chierichetto, e il film ce la racconta tutta. Noi si patisce insieme a lui, a questo fantastico Forest Whitaker sempre sudato com’un maiale, conciato com’un baston da pollaio. Forest, un attore meraviglioso (non avete visto Ghost Dog? rimediate subito e fatelo vostro, diomarrano), non interpreta Bird, ma diventa Bird. È Bird resuscitato come i’ Cristo. Roba che un sarebbero bastati quindici Oscar e novantacinque Coppe Volpi per fa’ capire ai’ mondo come cazzo recita questo qui. E un sarebbero bastati nemmeno pe’ Clint, che per du’ ore e mezzo secche ti tiene incollato allo schermo, ti fa innamorare di quest’omone così geniale e così imperfetto. A film finito, ni’ caso uno non avesse mai sentito una nota di Parker o di jazz in generale, t’avresti voglia di sapere pure chi l’era la donna delle pulizie di Miles Davis.

 

Ora, perché tutta questa pappardella su Bird?

Perché sì; e perché le scene di Bird sono intervallate dall’immagine di questo piatto (quello della batteria, non quello pe’ la pizza) che casca sull’impiantito: Crash! Crash! Crash!. Un rumore che riecheggia ni’ capo di Charlie Parker; come a volergli dire: tutto l’è principiato da lì, ricordatelo. E chi ha fatto Whiplash, un ragazzo che si chiama Damien Chazelle, se l’è ricordato bene.

I’ film parla d’un pischello che fa il conservatorio e vole diventare un batterista Jazz di quelli veri. Si fa un culo della madonna, sempre a suonare giorno e sera. Un si fa nemmen la doccia: anche lui, sempre sudato fradicio. Il sangue gli scappa dalle dita mentre suona, ma lui continua come nulla fosse. Lo interpreta Miles Teller, bravissimo a portare sullo schermo un personaggio ambizioso, ossessionato ai’ punto tale da rifiutare una bella passserina dagli occhioni blu. Fossi stato io dentro i’film, gl’avrei detto: “le bacchette cacciatele ni’ culo e suonaci la discografia di Art Blakey, finocchio”.

J.K. Simmons, che qui si conferma come uno dei più grossi attori de’ nostri tempi, fa la parte di Fletcher, un direttore d’orchestra che in confronto a lui i’ sergente Hartman pare Fabio Fazio. Cattivissimo, sempre incazzato come una scimmia in una gabbia d’un metro quadro, sboccato e pignolo fino all’inverosimile. Tira le seggiole, offende ogni poero cristo che vada fori d’un quarto di tono; ma soprattutto piglia di mira i’ nostro amico batterista, lo fa smadonnare e sanguinare come non mai, fino a rischiare di farglici rimettere l’osso di’ collo.

Sapete che gli dice al ragazzo? Gli dice: “Caro mio, lo sai che successe a Charlie Parker? Salì su un palco, si mise a suonare, lo fece a cazzo di cane e il batterista tirò di sotto un piatto pe’ comunicargli quanto facesse cacare”. Esatto: lo stesso piatto che crasha al suolo ni’ film di Eastwood. Fu questo fatto a far scattare qualcosa dentro i’ sedicenne Charlie: qualcosa che però, maremma infame, lo fece diventare Bird.

Lo stesso vorrebbe fare lo stronzissimo Fletcher con il determinatissimo Andrew. Ce la farà? Io un ve lo dico, guardatevi Whiplash che è un gran film sulla vita, girato come Iddio vole da un giovine che forse ne’ prossimi anni avrà qualcos’altro da raccontare. Chi dice che è un filmetto c’ha la mamma maiala e gli garba Baricco, ascolta Allevi e l’è anche grillino. E come dice i’ mi’ amico Checco (che vorrei chiamare Cecco, ma poi lo chiamo sempre Francesco): non tirateci fori questa bischerata del filmettino da Sundance perché non è vera; che poi a Robert Redford non gl’è nemmeno garbato. Troppe parolacce, dice.

 

Pe’ concludere, se vi garba andare ai’ cinema per riempirvi un po’ gli occhi e a divertirvi con le avventure di’ popolo ebraico, andatevi a vedere Exodus, l’ultimo di Ridley Scott. Dopo aver fatto trombare Camoron Diaz con una Ferrari, nonno Ridley torna a dare spettacolo con un film biblico, che si potrebbe definire un remake de’ Dieci comandamenti con Charlton Heston, che però era una cosa da sparassi ne’ coglioni, roba che la mi nonna aspettava che lo dessero su Rete4 pe’ risparmiare sul sonnifero.

Exodus è innanzitutto il parco giochi d’un grande ottuagenario, che si diverte come un bimbo a ruzzare con L’Antico testamento: mosche, piaghe, rane, coccodrilli che sbranano gli egiziani, le case degli ebrei che sembrano i bassifondi di Blade Runner.  Christian Bale che ci regala un Mosè degno del miglior Michele Placido, accompagnato dalla stessa fisicità d’un Bruce Wayne e dell’uomo senza sonno che ha visto Dio sotto forma di bambino; mentre il co-protagonista di Breaking Bad (che fa Giosuè) lo osserva stupito da dietro una roccia, confondendo l’antico Egitto con il New Mexico e la visione divina con le anfetamine.

Ramses invece è quello di Animal Kingdom, qui pelato come una palla da biliardo. Un tormentato omo senza palle, che riversa la sua omosessualità latente in piramidi, sfingi e obelischi tirati su dagli schiavetti più avvenenti.

Se uno ci va con lo spirito giusto, l’è un film da vedere; rigorosamente in sala.

E all’uscita vu penserete che i vostri figlioli, un giorno, guarderanno su Rete4 un film molto meno palloso.

Bone cose a tutti.

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