L’altro giorno guardavo lo spot del 5 stelle sul ritorno alla lira, e a parte la critica artistica che dovrebbe essere incentrata su questa dimensione normcore che ci dà una misura del successo artistico di cose tipo The Lady, come giustamente puntualizzato da (se non sbaglio) Giulia Blasi, e saltando l’inquietante presenza scenica della tizia deus ex-machina finale che sembrava un po’ il cowboy di Mulholland Drive, mi ha preso malissimo il fatto che fosse così figa-oriented. Ok? C’è proprio questo sottotesto per il quale con la lira si scopava di più, con ragazze più carine e vino che dava meno alla testa. Diosanto, NON è VERO, non è vero coi punti esclamativi e gli 1. Con la lira non si scopava quasi un cazzo e tutto quello che si riusciva a scopare era infetto e triste e aveva il viso di Maria Montessori come nei video di Aphex Twin.
Nei nostri giorni non si riflette mai troppo sulle questioni legate al dibattito politico per due motivi fondamentali: il primo è che in fondo non ci frega un cazzo di nulla, nel senso, non abbiamo questioni ideologiche da cui partire per capire se una cosa è giusta o sbagliata: non abbiamo simpatia per i padroni ma schifiamo i nostri pari grado, i lavoratori, gli impiegati pubblici coi privilegi nei quali vediamo una versione sfigata e semplice di noi stessi e possibili commensali a una tavola sempre più piccola (tipo quando ci si mise a gridare allo scandalo perché a Roma gli sbirri s’eran dati malati a capodanno). La seconda ragione è che siamo comunque troppo impegnati a leccare il culo, salire nel carro dei meno perdenti e scrivere la rece della strategia politica/comunicativa di chi ha vinto, in una serie di corsi e ricorsi che, non si sa bene come, dopo un anno di pantano istituzionale hanno salutato la più geniale manovra politica dell’ultimo decennio ad opera di Matteo Renzi (far eleggere un democristiano come presidente della repubblica a furor di parlamento). Dal punto di vista dei risultati reali, riuscire imporre un presidente della repubblica piuttosto che un altro dovrebbe dare quella sensazione che provi quando la nazionale riesce a sbaragliare il Congo in amichevole, due settimane prima dei mondiali di calcio. Ok? Ok.
È vero che il dibattito politico contemporaneo una scesa continua, sia chiaro, e quindi tanto vale non parlarne o discutere di omosessualità e strategie comunicative. L’alternativa è sedere a un tavolo in cui il 25% dei commensali è a favore dall’uscita dall’Euro, che è come dire, non riesco neanche a spiegarvi il nonsense se non riuscite a capirlo per conto vostro (dovessi usare un’altra similitudine, proverei quella di un congresso di medicina in cui un relatore su quattro è dichiaratamente contrario alla presenza di un intestino nel corpo umano). L’unico momento in cui in Italia s’è vista politica, da Berlusconi in poi, è stata la gestione d’emergenza Mario Monti. Mario Monti, a prescindere dall’idea politica che ha e di cui tanto non vi frega un cazzo, è il capo di governo che ci serve: entra in conferenza stampa, qualcuno gli chiede dell’uscita dall’euro e lui trova il modo più composito per dire “ma di che cazzo parlate, IDIOTI” e passare oltre. Ecco. Vedete, questo è un grande paese fatto di persone che semplicemente dovrebbero smettere di esprimere opinioni e ricominciare a produrre beni e servizi, e il leader politico che ci meritiamo è uncool as fuck, vestito bene, grigio in testa e pronto a sgridarci ogni volta che vogliamo dire la nostra su qualcosa in merito a cui anche lui potrebbe dire la sua.
Il festival di Sanremo invece può essere tutto quello che vogliamo. Fabio Fazio aveva intuito un’occasione e aveva provato un golpe. Era un golpe votato all’instaurazione di un sistema culturale global all’interno della canzone italiano, che spolverasse i FABER e i DEGRER di quelle generazioni là e tentasse di selezionare attivamente gli eredi contemporanei di quella roba lì per poi metterli in mostra in una kermesse fatta apposta per loro. Il fallimento del golpe fazista è dovuto per il settanta per cento alla resistenza delle istituzioni e all’atto eroico di certi singoli rappresentanti dell’ancien regime, tipo Giusy Ferreri e Mengoni, e al trenta per cento è colpa del fatto che la spudorata ricerca di quella gloria nei nostri giorni non avesse espresso niente di meglio di robaccia tipo il CRIBER e i Marta sui Tubi. Curiosamente la rivoluzione renziana si è compiuta gli stessi giorni del Sanremo 2014, e il suo rivelarsi restaurazione (sai che spoiler, poi) ha trovato il suo pieno compimento la settimana prima di Sanremo 2015. Da questo punto di vista l’edizione Carlo Conti spicca per quanto è politicamente schierata: MUSICA a strafottere. MUSICA sopra le polemiche pro-contro omosessuali, MUSICA ad accompagnare l’agghiacciante discesa sul palco di una famiglia calabrese con settecento figli e il padre che s’intasca il premio Claudia Koll 2015 per il più alto numero di ringraziamenti a Cristo in novanta secondi. MUSICA a lenire i dolori della più patetica reunion della storia, Al Bano sul palco che unisce l’evidente stato confusionale e le battute più acide e stronze possibili dirette alla sua ex (che nel confronto sembra una persona equilibrata, e stiamo parlando di una che ha pubblicato una canzone sulle scie chimiche non più di tre mesi fa) all’ugola on fire di cui solo lui è capace, beccandosi un momento È la mia vita che nessuno s’aspettava, o quantomeno io no, spaccando tutto. MUSICA che in mezzo minuto di live trasforma Tiziano Ferro nell’essere umano più gradevole del sistema solare, una specie di Ian MacKaye dell’arenbì perennemente in fotta con LA MUSICA appunto.
MUSICA che, soprattutto, ritorna miracolosamente in forze dentro le canzoni, così a caso. Mi spendo una cosa che ho detto l’anno scorso: nella forma più pura, nella forma che amiamo, Sanremo è soprattutto il Kumité della canzone italiana, un luogo dove ogni anno si incontrano campioni di ogni stile e si menano a vicenda per decretare il più forte di tutti. Cioè il principale pregio di Sanremo ha senso nel momento in cui ognuno tira fuori il meglio che ha e lo butta contro gli altri, e il principale difetto di sanremo sono millecinquecento stitici accreditati che giudicano gli artisti sulla base di concetti stupidi tipo “non ha la canzone”. Evolviamoci, diosanto. Uno guarda a Gianluca Grignani e lo sente cantare così, e il suo pezzo, la sua merda, spinge in un modo che gli altri semplicemente se lo sognano un po’ perché è la sua merda e un po’ perché lui è lì e si sta giocando tutto il giocabile. Poi ci sono casi umani, sicuramente, storie di merda che fanno da contorno al tutto, strani carneadi messi in gara non si sa a che titolo, ma la purezza delle esibizioni e la qualità media dei pezzi mettono comunque in scacco il resto. È la cazzo di MUSICA a rendere irrilevante un contorno tra l’ordinario e il merdoso, le famiglie fondamentaliste di venti elementi, le polemiche infinite su ciccioni e omosessuali, Alessandro Siani e quegli altri scoppiati di Zelig, le vallette appannate e quello che volete. Dite quel che vi pare ma un’edizione più politicamente MUSICA di questa non si vedeva da un pezzo. E ora, il consueto momento-pagelle, ovviamente limitato ai cantanti in gara.
CHIARA
Il personaggio di Chiara è il tipico personaggio x-factor, nel senso, la storia umana di merda dell’impiegata che fa un provino e un talent e cambia la propria vita. È lo stesso personaggio di Giusy Ferreri, con la differenza che Chiara Galiazzo ha quello sgradevole appeal di easiness proletaria, che come interprete è brava ma non personale e meno personale e che diosanto Giusy Ferreri l’anno scorso mi ha fatto a pezzi in mezzo minuto. Ma quantomeno è molto più in botta quest’anno di quando lo era quella volta che si presentò con quel pezzo bruttissimo scritto da Bianconi. 6.3
GRIGGS
Se c’è una cosa per cui Sanremo è rilevante è che puoi accantonare quello che c’era prima, le polemiche e la crisi e le buffonate, e giocarti tutto nei quattro minuti che stai sul palco. Grignani esiste da anni in questa situazione, e in uno stile musicale che s’è evoluto in un modo assolutamente personale, magari opinabile ma totalmente suo. Andare a Sanremo con qualcosa di sanremese o con qualcosa del Grignani primi anni novanta sarebbe stato semplicemente impensabile: si gioca la sua mano e non risparmia un cazzo di niente. Io probabilmente sono un romantico, ma se devo scegliere qualcosa del festival che mi dica qualcosa della mia vita sono gli occhi spiritati di Griggs in botta persa che spinge sul ritornello. 8.2
ALEX BRITTI
Britti sembra avere più o meno gli stessi demoni di Grignani ma più stile nel gestirli. La gag della chitarra è stagionatissima ma lui se la suona e se la canta con uno swag eccezionale. Qualcuno nei network lo sfotte per il tasso di riccardonismo e mezz’ora dopo si mette in piedi per commemorare Pino Daniele, perché noi non siamo un cazzo ipocriti. 6.7
MALIKA AYANE
Momento classe/momento cultura/momento rottura di coglioni, pezzo per intenditori e premio della critica, il fantasma del sanremo passato, forse in prospettiva sarà la canzone più debole dei suoi Sanremo eccezion fatta per quella dell’edizione condotta dalla Clerici, quando l’orchestra sentì che era stata fatta fuori e iniziò a lanciare gli spartiti. Ma Malika Ayane vola sopra a tutto, ci butta più grazia di quanta cazzo non abbia già di default e porta a casa un momento intimista che va a un passo dallo spaccarmi il culo, brava Malika, fai parte dei bomber dal giorno uno. 7.6
DEAR JACK
Diciamo che a sentirla una volta non ho provato il desiderio di uccidere i membri del gruppo, ma credo che se mi ricapitasse di sentirla lo proverei. Essendo inevitabile di risentirla, 4.3 per pararmi il culo.
LARA FABIANI
Non so un cazzo di Lara Fabiani e stavo meglio quando la persona di cui non sapevo un cazzo era Simona Molinari. Lei è tipo il lato oscuro di tutto quello che ho detto qui e il possibile premio Frankie Hi-Nrg (ricordiamolo: è il premio Bastonate, insignito alla persona che non c’entra palesemente un cazzo e fa quel che è umanamente possibile per toglierci le penne; il premio è intitolato al vincitore dell’anno precedente), sale sul palco sorridente e continua a sorridere mentre canta, fino a dare il sospetto di un’emiparesi al volto. È chiaro comunque che Lara non ha nessuna colpa, è stata messa in gara like sheep led to slaughter, e il premio Frankie Hi-Nrg è comunque una bella soddisfazione per me. 4.5
NECK
A un certo punto, verso il pomeriggio di ieri, si stavano affastellando voci secondo cui il pezzo di Nek detto NECK da qui alla fine del festival sarebbe stata una roba pesantemente EDM. Ho scritto al mio clone che era tra i giornalisti che avevano sentito già i pezzi e lui mi ha detto che in realtà sarebbe stata più una roba tipo quei pezzi cassa dei Coldplay. Doccia fredda ma insomma non sapevo cosa aspettarmi, e poi NECK ha fatto la sua cosa straight in the face con un po’ di cassa ma non molta e tutto il cuore che si può mettere dentro la canzone italiana. Non si può dire che sia un sopravvissuto, forse lo è a se stesso e forse ha schivato tutte le trappole che la sua figura gli aveva messo davanti e ci ha rimediato solo qualche sfottò e i bambinetti di 45 anni che ricantano le sue canzoni al karaoke, ma NECK è dentro a questa gara più di chiunque altro e diosanto SPACCA IL CULO. 9.1
ANNALISA
Kekko dei Modà è una specie di incubo degli alternativi, il signore del cazzo e della merda, per così dire, quello che non c’entra, quello che fa la musica brutta tamarra e pompata che non vale un cazzo se paragonata alla MUSICA VERA ma anche in qualche modo alle altre musiche che percepiamo brutte tamarre e pompate e magari non diciamo, tipo i Sangiorgi o insomma gli autori sanremesi in generale. Detto questo secondo me quell’epica sentimentale alla Kekko Silvestre a Sanremo ci sta da dio, la canzone dei Modà con Emma meritava il secondo posto, la canzone di Emma senza i Modà meritava tutto sommato il primo posto e anche la canzone di Annalisa di quest’anno merita di andare a finire molto molto in alto perché è BELLA, è cantata da dio e ti spacca e questa cosa qualcosa conterà pure. MONDO SCARRONE. 9.4
DI MICHELE/PLATINETTE
Onesta ma tipo nient’altro. 4.0
NESLI
Nesli è buono, nel senso, sembra fare parte dei buoni, non è qui a saltare degli squali, è qui a fare la cosa più cazzuta che può e la canta con un fegato grande così. Mi aspettavo la merda e invece lo potrei mettere nella top 5 parziale. 7.2
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E basta, per ora. I miei cavalli per stasera sono Nina Zilli e Masini che sembra essersi fatto un look tipo Bob Mould.