Non so più quante volte ho letto di qualcuno a cui la musica ha salvato la vita. Avete presente? Musicisti tatuati che fanno le faccette sulle riviste con la carta patinata e una grafica un po’ così, di fianco l’intervista e uno risponde alla domanda con qualcosa tipo “Se non fosse per il punk rock sarei morto o in galera”. Quelle cose alla Rolling Stone, presente?
(che palle)
Ok, l’altra sera pensavo che in fondo è vero. Ero andato a vedere Johnny Mox, a mezzanotte lui era lì in piedi sulla batteria, nessun altro sul palco, e ci insegnava a fare il beatbox con quella faccia pulita da impiegato statale che ha. Ho pensato proprio distintamente “cazzo guardalo, la musica gli ha salvato la vita”. E che in fondo in quel momento la musica stesse salvando la vita anche a me, lì sotto al palco con un telefonino in mano a far la foto con l’angolatura giusta, 37 anni sulla groppa e un bicchiere di whisky torbato che il giorno dopo mi avrebbe dato l’emicrania. Ecco, quello che non trovi mai scritto su quelle riviste è che nel salvarti la vita la musica ne uccide altre centinaia, vite più felici e sciolte e meglio vestite e con meno pancia e meno mal di testa la domenica mattina. Qualcuno di quei punk rocker tatuati non avrebbe avuto alcun problema a fare l’assicuratore o il bancario e magari si sarebbe arrampicato sulla scala sociale e avrebbe fatto la carriera importante e ora starebbe trattando l’acquisto di qualche pezzo d’arte.
Quando mi guardo intorno ai concerti, ultimamente, vedo sempre questi visi e queste barbe e queste felpe, come se tutti avessimo avuto la stessa storia alle spalle. Eravamo più o meno gli stessi di quindici o venti anni fa, qualcuno s’è conservato e qualcun altro s’è ingobbito. Di gente tatuata e in forma da poter sbattere in copertina ce n’è un paio, e in genere ci fanno la figura degli sfigati. Questi anni sono preziosi per la musica perché ci danno una visione di quello che è il prezzo. Lo puoi leggere sul viso di quelli che stanno lì ad aspettare il gruppo che suona per ultimo: hanno scambiato la serata con la moglie, rimediato una babysitter, fatto il conto di dover dormire due ore meno di quanto si fa di solito, alzarsi con il mal di testa e doverlo rimpiangere. La dimensione da pensionati della musica, di qualsiasi musica, è una splendida realtà che ci ammanta nel suo ineluttabile splendore. Una volta ero ad un festival indie rock, più di dieci anni fa. Incontrai certe persone con cui scrivevo assieme, in una webza che parlava di indie/emo/etc e si chiamava Movimenta. L’aveva fondata un tizio di Milano di nome Daniele, la gestiva assieme a tale Diego. Diego mi presentò il suo amico Luca Benni, jeans da metallaro, scarponi nei piedi, capelli corti scurissimi. Scriveva per Movimenta ma cantava anche in un gruppo power metal. Avevamo venticinque anni o qualcosa di più; ci guardavamo i gruppi fino a notte tarda e bevevamo le birre e dormivamo in delle tendine fuori dal posto con gli amici degli amici. Diego mi disse che Luca Benni stava per metter su un’etichetta. Ogni tanto qualcuno si svegliava e tirava fuori questa cosa dell’etichetta, ma Luca Benni lo guardavi e pensavi “questo è il classico sfigato che parla e tanti saluti”. O almeno io lo pensavo, perché esteticamente mi sembrava la persona più simile a me in quel posto. Poi l’etichetta la mise in piedi davvero. L’aveva chiamata To Lose La Track e aveva fatto un disco dei Dummo e uno split tra FBYC e As A Commodore. Me li aveva anche mandati per posta.
Molti rapporti in questa cosa minuscola qui sono basati su una specie di informale cortesia. Tipo, se io scrivo e tu hai un’etichetta, mi mandi i dischi per “sapere cosa ne penso”. Sia io che te sappiamo che me li mandi per avere una recensione, ma in qualche modo suona meglio. Tu sai che io sono inaffidabile lento e privo d’interesse, io so che tu lo sai, magari ti offro una birretta se ti becco in giro e andiamo pari col conto dei soldi. Ora fortunatamente ci spediamo degli mp3 e non c’è più il problema di sentirsi in debito. Luca Benni invece ti manda i dischi perché vuole sapere cosa ne pensi. È una cosa fisica che vedi manifestarsi quando vai a un concerto e lui è a un banchetto. Luca Benni è un tizio che vorrebbe produrre i dischi dei suoi amici e regalarli alle persone che secondo lui dovrebbero ascoltarli, e purtroppo è costretto a venderli per poter tenere in piedi un briciolo di economia e poter fare altri dischi l’anno prossimo.
Però boh, mi sembrava tutto uno scherzo. I primi anni fece uscire un po’ di roba, tra cui il disco del gruppo di Diego. E poi sono passati altri anni e Luca Benni ha fatto uscire un disastro di dischi. Li ho ascoltati tutti, una settantina abbondante di titoli: alcuni mi sono scivolati via di dosso come l’acqua fresca, ma alcuni mi hanno cambiato la vita. Magari me l’hanno proprio salvata, e chissà quante vite hanno ucciso nel farlo, quanti rimpianti inespressi, quanti altri progetti rimasti in cantina, quante belle persone non sarò mai. Passo le serate a scrivere recensioni da pubblicare in riviste che se va bene finiranno al macero (se va male neanche lì). Leggo le recensioni degli altri, ascolto i dischi, m’incazzo se leggo un articolo impreciso. E Luca Benni aveva tutte le possibilità di questo mondo, poteva far felice chiunque, amministrare un’azienda o sposare una brava ragazza o scrivere il grande romanzo americano. E invece ha fatto dei dischi. Che altro potevamo fare? Noi siamo questa cosa qui.
Luca Benni si scrive sempre con il nome e il cognome. Regola fissa. Non so perché.
I compleanni ci servono soprattutto a raccontarcela e dirci che in fondo ne valeva la pena. To Lose La Track in questi giorni compie dieci anni e ha organizzato una manciata di concerti in giro per festeggiare. Luca Benni invece oggi compie quarant’anni; il suo ultimo pacco mi è arrivato lunedì, conteneva una compilation per il decennale di To Lose La Track. Dentro ci sono tanti pezzi bellissimi che magari a voi non piaceranno, ma a me fa piacere di averli ascoltati quando uscivano e poter collegare a molti di quei pezzi una cosa che ho fatto o una persona che ho conosciuto o un posto in cui ero. Dovessi pescarne uno che racconta tutta la storia, sceglierei quello che c’entra di meno in assoluto.
Buon compleanno.
Bellissimo, grazie.