In una classifica dei pezzi che più mi squartano, Being in love starebbe non tra i primi cinque; starebbe tra i primi tre. Ho scoperto Jason Molina con The Lioness, incontro fortunato. Al momento giusto, con le parole giuste, un attimo prima dell’avvitamento senza ritorno, quando ancora qualche reazione umana strettamente connessa all’azione (quale che fosse l’azione) la conservava. Da Ghost Tropic a scendere invece ben altra faccenda: the end of all illusion come diceva Lou, bandiera bianca ai demoni (dovevano essere demoni ben impegnativi), nero senza spiragli e senza ritorno; lui via via sempre più risucchiato dal gorgo, fino a quando il gorgo se l’è portato come succede a tutti prima o poi. La differenza sta nel lasso di tempo trascorso a calcare questa terra; Jason ha deciso che per lui anche basta molto presto (o molto tardi, dipende dai punti di vista), la biologia ha fatto il resto, con un piccolo aiuto da più o meno qualsiasi bevanda alcolica (e non una volta sola). Da anni non riascoltavo The Lioness, il rilascio emotivo era diventato troppo complicato da gestire; forse è ancora così. Tra poco lo scopro.