100 canzoni italiane #6: ENERGIA

Titolo Dipinto_006

2001

Ho sedici anni. Accompagno i miei genitori alla fiera del tartufo ad Alba. Non credo che quei due buontemponi siano mai stati dei grandi fan del tartufo – ci piace, ma niente di serio – e forse siamo qui solo per occupare una domenica. La fiera è sotto una tensostruttura nel (credo) centro città. Nel senso, penso sia il centro città perché camminiamo sul ciottolato. Entrando, l’odore di tartufo è atroce. Non avevo dubbi che sarebbe stato così, qualche quintale di tartufo non può che produrre un allucinante odore di tartufo.

Andando ad Alba, abbiamo ascoltato Ferro Battuto. Non ci è piaciuto granché, ma credo che in famiglia dare una possibilità a Battiato sia una questione di amore. Battiato alla fine è una questione d’amore. A esser sinceri, non il Battiato pre-L’Era Del Cinghiale Bianco. Almeno, non ancora. Piuttosto, è il Battiato di tre anni prima, quello di Gommalacca. Quello sì che ci piace.

1998

Ho tredici anni. I miei genitori mi accompagnano alle partite di basket in paesini inquietanti nella provincia di Torino. Roba tipo Rivalta, Collegno, Venaria. Una volta siamo arrivati fino ad Aosta. Papà ha una Volkswagen Passat con il caricatore dei CD nel bagagliaio. La fortuna è che quel c’è dentro si ascolta, a meno si soste tattiche all’Autogrill. L’obiettivo dichiarato è evitare Atom Heart Mother che l’allenatore – che viene in macchina con noi – ama particolarmente.

Il disco 1 del caricatore è e rimarrà per anni Gommalacca. Ci piace da impazzire, e credo che in famiglia sia una buona cosa. Almeno non si litiga. Gommalacca chiude con Shakleton (sic), e Shakleton chiude con un inno disumano che parte a tre minuti e tredici e chiude a otto e trentaquattro. Uno a tredici anni non vede la portata di quell’incrocio di synth e tamburi e loop pinopischetoliani, ma in cinque minuti c’è l’intero perimetro di una vita vissuta pericolosamente. La cassa spazia e il nostro rientra, cantando in tedesco. L’assurda idea che un disco di Battiato possa davvero finire così. Battiato, quello di Cuccurucucù. Uau.

Ovviamente a tredici anni Shakleton viene skippata violentemente, che a ripensarci è una bestemmia. Il massimo della cassa dritta a tredici anni è Blue – Da Ba Dee, ascoltata a casa di Simona, in via Barbaroux. I genitori di lei sono spesso via, e da buoni campanilisti sabaudi ci facciamo riconoscere nel vicinato sparando gli Eiffel 65 a volumi atroci, come sottofondo di serate in cui quelli davvero furbi finiscono a limonare e restano a dormire da lei, mentre gli altri, nell’ordine, sfogliano i numeri di Ken Il Guerriero (edizione Granata Press, mica la nostra sfigata ristampa Star Comics), tentano forme di terrorismo impacciato nella casa finto-antico di lei (fette i bresaola in testa a busti finto-marmo, tramezzini sotto i tappeti, insomma, niente di serio), tengono traccia di quelli che scompaiono a far porcherie in camera di Erika (sorella di Simona), e verso mezzanottemmezza tornano a casa con la coda tra le gambe e “ci vediamo lunedì a scuola divertitevi ciao”. Simona ora fa il medico. Erika lavora in uno studio legale. Io vivo in un’altra città. Battiato continua a fare Battiato, nel bene (molto) e nel male (Fleurs 1, Fleurs 3, poi anche Fleurs 2).

2014

Ho ventinove anni. Battiato annuncia il Joe Patti Experimental Group. Il pensiero è uno solo: “Cristo santo, se fa una cosa sintetica e folle, deve fare Energia”. Pensiero poi sviscerato con i soliti noti in uno scambio di mail dai toni urlanti, tipo “deve fare Energiaaaa”. “Se fa Energia è la volta che torno al ClubTOClub”, “se fa Energia vendo mia madre”, “se fa Energia mi faccio prete”, “Energia-phuturo-verdeo-sviaggioa”, “se fa Energia corro nudo per Verona”, cose così. Trovo un video caricato su Youtube pochi giorni dopo il primo concerto, e quello al posto di Energia fa proprio la chiusura di Shakleton. A ripensarci, tredici anni e troppi ascolti dopo, è giusto così.

2001 (di nuovo)

Ho ancora sedici anni. Sono nella sezione C e Gabriele Gatto nella A. Nella mia testa, Gabriele è quello che ne sa a pacchi di musica. Quando dico “Battiato” risponde prestandomi un masterizzato con dentro Fetus e Pollution. Il massimo del mal di testa battiatesco – fino a Fetus e Pollution – è stata la seconda parte di Come un cammello in una grondaia (masterizzato da amici di famiglia). Farsi voler bene al liceo è una fatica, anche se è indubbiamente una buona cosa. Ma Fetus e Pollution li sto trovando troppo faticosi, anche se dentro ci sono due pezzi che insomma, che meraviglia. Una inizia con delle voci di bambini che parlottano, poi si apre in qualcosa di strano e cosmico, come se si aprissero tante porte tutte insieme. Un’altra parla di corpi di pietra che arrivano, e poi partono dei cori. Che meraviglia pure lei. Il resto sta lì, mi fissa, ma non ci capiamo. Chissà perché poi. Gabriele oggi non so che fa. Ma era una bella persona. E quello è il momento in cui il primo Battiato si mette lì, e aspetta.

2005

Ho vent’anni. Per la serie live della Erstwhile (etichetta-che-al-tempo-ignoro) esce Schnee_Live di Burkhard Stangl e Christof Kurzmann (artisti-che-al-tempo-ignoro). Lo voglio perché ha preso dieci (DIECI) su Blow Up. Sono giovane, son cose che si fanno da giovani. Quello che troverò dentro saranno trentatré minuti immensi, registrati dal vivo a Berlino, con il duo che si prende qualche libertà di troppo e deraglia una versione di Sometimes It Snows In April di Prince per cuori grandi. Per una volta, mi è andata bene.

Per comprare Schnee_Live scrivo a Giuseppe Ielasi, che al tempo aveva una distribuzione di dischi, e lo ritiro in una galleria meravigliosa in via Tadino. Io adoro via Tadino, che è nel quartiere dei negozi di fumetti, del negozi di videogiochi, dello Yamato Store. Arrivo, e sullo stereo sta andando Son Mémorisé di Luc Ferrari. Voci di bambini che lamentano “mammaaa, non è colpa mia”. Credo sia quella roba di cui scrivono ogni tanto, sempre su Blow Up. Il Field Recordings. Le robe di cui scrive Daniela Cascella, quelle che i miei negozianti di dischi bollano con laconici “lascia perdere, non fare cazzate, che poi mica te le riprendiamo indietro quelle robe eh…”.

A vedere come è finita, di cazzate ne ho fatte a profusione. Fare cazzate a profusione – soprattutto fare cazzate a profusione – è e rimarrà per sempre una buona cosa. La cosa che più mi rimane impressa di quella visita è che Schnee_Live (con le sue chitarre, i suoi rumori, la sua delicatezza) è un disco ben strano, ma non strano come “l’idea di registrare voci di bambini e metterle lì, senza che succeda nulla di più”. Oggi, quando penso ai dischi strani, penso sempre al piccolo me che ascolta voci di bambini che dicono cose, all’inizio di Son Mémorisé, in via Tadino.

2006

Ho ventun anni. Passo regolarmente alla FNAC di Milano, perché è un gran posto per cercare dischi in città. Forse è il migliore (pessimi negozi, a Milano). Il commesso è Andrea, il ritratto dell’entusiasmo. Ha aperto da pochi mesi un reparto (leggi: ha allestito un mini-box un po’ nascosto) di Krautrock, e mi spinge i dischi. Per 17 euro e 90 porto via Musik Von Harmonia, per iniziare evitando le mezze misure.

Un martedì mi mette in mano i primi quattro dischi di Battiato. “Fidati”. Io, per i sedici euro scarsi che sto per spendere, mi fido. Ma quei dischi non li amerò fino in fondo. Meglio la sperimentazione fitta fitta di Dino e di Watussi, al posto di un tizio siciliano che ascoltavo cinque anni prima, e che flirta con quella roba là. Dio santo se ci si sbaglia, a ventun anni.

2013

Ho ventotto anni. James Holden fa uscire il disco che aspetto da sette anni, e lo presenta – tra le altre cose – con un lungo speciale su BBC Radio6, in cui snocciola i pezzi, i loro riferimenti (espliciti e impliciti), e le idee di musica ballabile e di musica da ballo. Alla fine, parte la solita fusione certosina tra Amadou Sangara e Peace for Earth di Four Tet, e se esiste l’estasi eccola qua. Poi Peace For Earth rallenta, e ci siamo, gli “oh” “oh” “oh” entrano in un loop preso male e a pitch bassissimo, e poi il VCS3 sgracchiante, e poi “ho avuto molte donne in vita mia”. E uno nel cuore suo capisce da dove arriva Blackpool Late Eighties. E da dove arrivano molte altre cose. E che ci crediate o no, tutto è compiuto.

1972

Non esisto ancora. Franco Battiato si presenta negli studi RAI di “Tutto è Pop” a presentare Energia, in quello che (almeno a me) sembra un playback orrendo. La cosa che rende il tutto epocale è che, pur essendo un playback orrendo, sul palco c’è anche Roberto Cacciapaglia. Roba che se ero a Tutto è Pop mi davo fuoco. Battiato intanto è quello che “la musica elettronica è poco popolare in Italia”, è il “coraggioso iniziatore di questo genere che richiede una ricerca accurata”, e che “si avvale di collaborazioni con compositori internazionali come Karlheinz Stockhausen”, e a cui par giusto chiedere “come si arriva a fare una simile scelta?”. Già. Come fare? Che fare?

Il pubblico è mascherato con un sagomato di cartone con stampato sopra faccione occhialuto del divo Franco – quello del celebre scatto dei divani Busnelli, con lo sguardo spiritato dietro gli occhiali a grana grossa e la passata di cemento in faccia – mentre il nostro imbraccia la chitarra acustica in più comoda tuta da lavoro, e appare piccolo e impacciato come se stesse per affrontare il mondo. Sotto si aprono lentamente voci di bambini, poi il sintetizzatore, la drummachine, la gioia. È qui che si scorge il senso di tutto-quanto-insieme, la delicatezza, la meraviglia del pop, i suoni trovati, “capire tutti i sogni che la vita dà”, i sintetizzatori che iniziano a rincorrersi, la musica cosmica (quella vera), la consapevolezza che voltandosi oggi o ancora domani lui sarà lì dove è sempre stato. E che cambieranno gli occhiali e i capelli e i vestiti, ma lui sarà lì. 1972. Il pubblico degli studi della Rai guarda preoccupato il nostro, che snocciola pezzi. I punti sono uniti. All’inizio di tutto quanto, tutto è già compiuto.

3 thoughts on “100 canzoni italiane #6: ENERGIA”

  1. Ciao Sono Andrea che lavorava alla Fnac, ora lavoro da Trony che è subentrato a Fnac. Volevo ringraziarti per le belle parole, mi hanno colpito tanto, mi spiace per i primi quattro di Battiato dischi che ancora adesso ascolto magari alternandoli con le Equpe 84, i Mondo Drag, Matia Bazar e Ensleved. Grazie ai clienti come Te che Fnac era diventata quello che è riuscita a diventare!

    Un Abbraccio

  2. Ciao, ho letto il tuo bellissimo articolo e anche io a 15 anni ho skippato “Shackleton”. Me ne pento ancora adesso perché quella canzone è fenomenale, ti prende e ti porta da un’altra parte, in un altro mondo o realtà parallela. Un effetto simile è prodotto in me anche da “no time no space”. Mi fa viaggiare con la testa,in “mondi lontanissimi”(tra l’altro adoro la sua versione riveduta in inneres auge). Anche se non sei appassionato del Battiato anni 70 ,ti consiglio “clic”. “No you turn” e “probiedad prohibida” sono fantastiche a mio parere. Ma il mio preferito di quel periodo è “sulle corde di aries”. “Sequenze e frequenze” è una delle mie preferite in assoluto. Mi sembra di vederlo Battiato, “seduto sopra un muretto a guardare il mare”..e poco dopo me lo immagino partire,lasciare l’amata Sicilia per tentare la fortuna a milano negli studi Rai, nel ’72..

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