Navigarella: CANZONI SUL MASTURBARSI

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Ha aperto una nuova testata online, o come la volete chiamare. Si chiama Prismo e si occupa di cultura più o meno pop. Nello staff ci sono anche io, il mio primo articolo parla di musica brutta ed è molto bello, ma non quanto quello di Valerio Mattioli.

I Camillas hanno suonato Bisonte alle eliminatorie di Italia’s Got Talent e hanno passato il turno. I Camillas suonano da anni in giro per i posti dove va la gente come noi, e ci si vanta spesso del fatto che ad andare nei posti dove va la gente come noi si ha il privilegio di conoscere cose che gli altri non conosceranno mai, tipo i Camillas. I Camillas in TV sembrano funzionare bene e probabilmente, a differenza della media delle persone che si esibiscono a un talent, sono destinati a un futuro. La cosa sembra in parte supportare certe tesi presenti in un articolo di Virginia Ricci su Noisey che ipotizza l’indie italiano come una sorta di vivaio del pop di massa, e in parte non è affar mio. I Camillas, la prima volta che te li trovi davanti, sembrano il miglior gruppo sulla terra, poi il concerto si allunga e perdi la concentrazione. La seconda volta dopo tre canzoni ne hai a basta, la terza volta sopporti a malapena la prima canzone e poi inizi a stare a casa. A guardare il video di Italia’s Got Talent sul tubo sono rimasto stordito dagli occhi da cerbiatto di Nina Zilli con la parrucca*.

 

è finita la prima serie di 1992, da un’idea di Stefano Accorsi. Non l’ho vista (la cosa più appassionante in merito, in rete, è un dibattito sul fatto che Tea Falco sia, o meno, una buona interprete) ma una delle puntate si chiude con Washer degli Slint. Il giorno dopo erano in fibrillazione un sacco di persone, un po’ per questioni di affetto un po’ per dire che, ehm, se ci facessero un blind test e mettessero Washer la riconosceremmo. Negli anni ho letto un mezzo migliaio di articoli sugli Slint in cui l’autore si chiedeva quando sarebbe stato riconosciuto al gruppo il suo valore dal vivo. Nell’ultimo decennio abbiamo avuto una reunion (con concerto bruttissimo a Bologna), la vendita all’asta degli strumenti usati nel tour, la lettera d’addio pre-suicidio di David Pajo, la canzone in chiusura ad una serie TV e uno stuolo di epigoni tristissimi. La perfetta parabola artistica di un gruppo anni novanta nei duemila.

 

I Refused hanno pubblicato la prima canzone dai tempi di quel disco là. Non avevo idea che i Refused fossero ancora attivi, pensavo le cose si sarebbero limitate al tour di un paio d’anni fa. Nello strimmare il pezzo ho scoperto che hanno fatto fuori il chitarrista Jon Brannstrom dopo il tour, e in effetti la canzone suona piuttosto Refused ma senza la chitarra appuntita del tizio -sostituita da quel classico suono ribassato a zanzara che sta in qualsiasi disco metal registrato dal 2004 ad oggi. Il fatto che continuino a stare in giro va abbastanza contro qualsiasi dichiarazione abbiano fatto i Refused sull’argomento, ma abbiamo accettato di peggio pagando soldi. Il fatto è che i Refused hanno avuto la loro possibilità di cambiare il mondo della musica e probabilmente l’hanno anche sfruttata, ma il mondo è comunque in mano alle destre e il nuovo pezzo dei Refused suona come dei vecchi barbogi del cazzo che vogliono insegnare ai giovani a picchiare duro, e sotto al palco ci stanno i 35enni a cui Songs to Fan the Flames of Discontent ha *cambiato la vita* e maltrattano i ventisettenni perchè se lo sono scaricati dal mulo e non sanno cosa significa SBATTERSI per trovare la musica nei negozi. Una cosa che potremmo chiamare sindrome di Aldo Grasso**. Prima o poi qualcuno morirà soffocato dalla sborra di qualcun altro, come nella canzone di Nina Zilli a Sanremo.

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*Ho guardato il video del suo pezzo a Sanremo per la prima volta in questo momento, e ho capito solo adesso che la canzone parla di masturbarsi. Credo di avere scuse, ma a ragion veduta doveva finire più in alto nella classifica finale. Oggi vado a comprare il vinile.

**la sindrome di Aldo Grasso, o sindrome del vecchio che invece di rantare a caso al bar dei repubblicani continua a fare l’editorialista, è il complesso per cui un giornalista avanti con gli anni fa le pulci alla generazione che non accetta le condizioni lavorative proposte per fare gli interinali all’Expo. La sindrome si manifesta nel momento in cui gente cresciuta nella bambagia culturale del lavoro fisso e del paese da costruire fa discorsi tipo “evidentemente questi giovani non sono abituati al lavoro”, non rendendosi conto che sono stati LORO a togliercelo il lavoro e a non togliersi dalle palle e che non hanno strumenti per leggere non dico la realtà, ma neanche le storie che commentano. Dovrebbero avere il coraggio di mollare la sedia, provare a mettere dei trentenni al loro posto, lasciare ai diciannovenni il compito di rompere il cazzo ai trentenni di cui sopra e andare a nutrire i piccioni al parco come faceva mio nonno alla loro età, o almeno ammettere che sono loro ad aver tenuto i loro figli ben lontani dai posti di lavoro e occuparsi di qualcosa che non ci riguardi. nota a margine: ho 37 anni e la cosa dei lavori precari all’Expo riguarda anche amici miei. Fatevi una botta di conti.

3 thoughts on “Navigarella: CANZONI SUL MASTURBARSI”

  1. **
    Che poi in parte è vero e in parte no, nel senso che si dicevano le stesse cose trent’anni fa, io sono vicino ai cinquanta, e sono altresì sicuro che le ritroverei in qualche romanzo dell’800.
    Insomma, ma chi cazzo ci ha voglia di lavorare, a 14 anni come a trenta? Nessuno, neanche io che ho la mia brava etica del lavoro e che stringo bulloni da quando appunto avevo 14 anni.
    Magari la verità è che molti vecchiacci sostengono una cosa del genere biasimandola, ma in realtà sperandola, così possono scoreggiare un pochetto più a lungo sulla propria sedia, e pure pagati.

  2. ma la situazione adesso è molto peggio, cioè i cinquantenni-sessantenni di oggi hanno responsabilità terribili e atroci che noi non avremo mai, o avremo quando sarà il nostro turno d’essere cinquantenni-sessantenni e mandare avanti il mondo nel senso di cercare di evitare la catastrofe assoluta e totale.

  3. Riferito a Grasso lo capisco, è un intellettuale, è organico, è privilegiato, ma a un operaio di 50 o 60 anni che cazzo gli puoi dire?
    Io ne ho 49 e ancora non capisco cosa mi è successo, figurati che mi e succederà, e ancora sono però incazzato dal terreno bruciato che mi sono ritrovato da adolescente negli anni ’80, incazzato coi miei fratelli maggiori, e ugualmente non so che senso ha, a che serve. E quindi alla fine hai ragione tu, servono diciannovenni che mandino affanculo i trentenni dopo che tutti ci siamo liberati dei sessantenni e passa, ma se aspetti che si levino dalle palle i sessantenni motu proprio stai fresco.
    Insomma, le recriminazioni servono a poco.

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