Poi sono finito davanti a una TV e ho guardato un po’ di concertone e ho pensato cose orribili e intanto a Milano dei manifestanti mettevano a ferro e fuoco la città, certe macchine prendevano fuoco, venivano rovesciate e cose così. Una tipa s’è fatta una foto ricordo davanti a una macchina in fiamme, un coglione è stato intervistato da qualche TV.
Il primo maggio è una cosa un po’ spinosa. Il nostro tempo è deliberatamente post-ideologico, nel senso che potrebbe tranquillamente essere ideologico ma sceglie di essere post. La definizione di post prevede il superamento di un problema, ma il problema ideologico non è stato superato, l’abbiamo solo chiuso dentro a un armadio di fianco alla bandiera dei Mori e lo tiriamo fuori ogni tanto, quando serve. Ad esempio il giorno delle elezioni o quando dobbiamo fornire un retroterra politico al nostro sbattercene i coglioni. “Io a Genova c’ero”, per esempio.
Non sono tutto ‘sto fan del Concertone, non sono mai andato a Roma a vederlo, per dire. Anche guardarlo da casa è agghiacciante, quel 4% di artisti non disprezzabili che hanno calcato il palco era penalizzato da suoni merdosi, tempi televisivi agghiaccianti, scalette di tre pezzi e via di questo passo. Quest’anno i gruppi suonavano tre pezzi o giù di lì, e durante un pezzo c’erano le interviste agli altri musicisti o i commenti di Vergassola o un momento intimista con Levante. Il palco gira su se stesso, così un gruppo monta mentre gli altri suonano, ma io preferivo la soluzione che si usava al MEI (il palco separato in due metà visibili: a sinistra un gruppo suona con trasporto emotivo e pathos, a destra il gruppo successivo sta montando il palco e due membri si bestemmiano contro). È un momento tardopomeridiano e l’artista più di grosso che becco è Teresa De Sio, la quale comunque sembra essersi conservata piuttosto bene e il suolo gutturale che le esce dai polmoni eleva il tutto un gradino sopra quello che mi aspetto da un gruppo di gruva terrona.
(Gruva terrona è una definizione razzista: si riferisce al suono dei gruppi meridionali che suonano al concerto del Primo Maggio, concettualmente una versione povera e triste di certi Almamegretta. La gruva terrona è politicamente schierata a sinistra, guarda ai suoni oscuri del terzo mondo, si contamina a cazzo, dichiara orgogliosamente di essere del sud tramite artifici linguistici o aperte dichiarazioni. Non comprendo molto chiaramente questa musica, nel senso che mi sembra quasi tutta uguale, ma è quasi sicuro che sia colpa mia -non riesco a cogliere certe sfumature, sono bravissimo a distinguere un gruppo grind dall’altro ma con il folk etnico non ce la faccio. Sicuramente è l’unico genere musicale in cui sopravvive quell’idea farlocca di commistione superficiale tra generi a cui si aderiva ciecamente nella seconda metà degli anni novanta)
Non voglio dire che mi piaccia Teresa De Sio, voglio dire che se la smerdate avreste dovuto sentire quelli che suonavano prima. Il Concertone è così, va sostenuto ignorato o osteggiato a seconda di cosa si vuole ottenere dalla cosa. Personalmente credo esistano cose molto peggiori del Concertone, ma solo a patto di cercare fuori dalla musica. Intanto scorrevo twitter col cellulare e dicevo, appunto, Milano stava andando a ferro e a fuoco. Esistono due tipi di manifestazioni: le prime sono pacifiche e tranquille, le ragazze si mettono i fiori nei capelli (non mi piacciono, sono allergico), molti hanno imparato la canzone prima di partire e stanno lì a marciare. La pericolosità di queste manifestazioni è limitata al numero di partecipanti, come per i gay pride -quando in giro per Bologna passeggiano migliaia di omosessuali in fila devi accettare quantomeno che l’omosessualità esiste, e accettare certe cose per la nostra nazione non è mai stato divertente. Le seconde sono manifestazioni pacifiche più una piccola percentuale di manifestanti riottosi che sfasciano cose o tirano cose ai poliziotti. La prima e la seconda esauriscono, grossomodo, i movimenti di piazza in Italia. Non abbiamo espressioni di rabbia popolare cieca e incazzosa tipo Watts o Baltimora o il 1870, diciamo così; la violenza della manifestazione e quella della reazione delle destre tendono a manifestarsi più in fase preparatoria e di commento. Per screditare i movimenti di protesta del nostro paese solitamente vengono usate due categorie di manifestanti: i violenti e i coglioni. Le manifestazioni contengono entrambi, in una percentuale congrua a quella presente nelle discoteche, allo stadio, al supermercato e in qualunque altra situazione in cui siano presenti esseri umani. Quando ero ragazzo e manifestavo mi capitava di guardare la TV alla sera e c’era una divisione abbastanza seria dal punto di vista politico, parlando di notiziari. A Rai3 erano pro-scioperi, calcavano la mano, intervistavano politici coglioni e manifestanti con le palle. Non tutti i manifestanti con le palle avevano effettivamente le palle, molti ripetevano a memoria una pappardella imparata il giorno prima, ma dicevano qualcosa. Nei TG Mediaset, quando Mediaset era al governo, andavano in giro con i microfoni e mandavano in onda idioti, perdigiorno e negozianti infuriati. Era una divisione abbastanza semplice tra schieramenti politici in cui era facilissimo sgamare l’artificio, da entrambe le parti; da che parte stare l’avevamo comunque già scelto.
Il primo maggio del 2015 è stato diverso. La città di Milano era “sotto assedio”, la mia linea di commenti sul Twitter gridava vendetta. Le radici teoriche alla base dei commenti potevano essere fatte risalire a due dei principali pensatori politici del tardo ‘900: mia mamma e mio babbo. Mia mamma diceva che con la violenza non si risolve niente, mio babbo era più un teorico della repressione per un bene superiore, alla Panebianco. “Gli dai due schiaffoni nella faccia e vedrai che d%£%£& la smettono di rompere i maroni” (Renato Farabegoli, “Semantica della Tolleranza”, Laterza, 1993). La città di Milano non ha reagito benissimo al vandalismo perpetrato ai suoi danni. La principale ragione di questa cosa è il sostanziale o formale disaccordo con le ragioni alla base della protesta, o con i metodi della stessa. Va detto che a Milano la cosiddetta comunicazione viene presa molto più sul serio che nel resto d’Italia, a torto o a ragione. Quindi in qualche modo una certa percentuale di popolazione (perlopiù alloctona) offre consulenze gratuite di comunicazione politica ai manifestanti, invero piuttosto simili a quelle fornite da mia madre ai miei tempi, o in certi casi a quelle di mio padre. A volte l’invito a prendere i manifestanti a ceffoni in faccia è dato da persone che esultavano il giorno in cui i fatti della Diaz furono dichiarati tortura dalla Corte Europea. Milano è un posto strano in cui le cose succedono più forte e più piano che nel resto d’Italia. Il giorno dopo la protesta i milanesi si sono messi in giro col secchio e le spugne e hanno ripulito la città. A livello di comunicazione succede che i No Expo (si protestava per questo) ci han fatto una figura di merda, prevedibile dando un’occhiata distratta ai servizi sull’Expo che passano sui TG nazionali da mesi. E i milanesi volenterosi che hanno ripulito ci hanno fatto una figura egregia, a parte quelli che hanno messo in mezzo dei manifestanti pacifici (come ogni altro aggregato umano, anche tra le brave persone c’è quella stessa percentuale di coglioni e violenti). Fondamentalmente l’epoca contemporanea su fonda sulla delegittimazione di qualsiasi cosa venga fatta, in generale (anche, boh, comprare il prosciutto dal salumiere. Arriva quello dopo di te, somiglia un po’ a Jon Snow e compra la golfetta. Ho perso la reunion della golfetta?, pensi. Questa cosa è successa davvero, un mesetto fa), una tensione che in qualche modo si ripercuote sul sistema politico, il quale si è adeguato atterrando su una strana terra di confine in cui sostegno e patrocinio funzionano a intermittenza si negano a vicenda generando inerzia (Expo 2015 ne è un esempio perfetto). Certe persone ci sguazzano, hanno imparato ad essere post o lo sono sempre state, producono merda quando va bene o gestiscono la comunicazione dei produttori di merda quando va ugualmente bene. Me compreso, fuori da Milano. Nei confronti della manifestazione la città ha avuto una reazione molto fisiologica, nel senso proprio dell’organismo umano, la quale comprende anticorpi, isolamento dei batteri e una bella cacata lenta alla fine. Una volta gli stronzi venivano isolati per vivere meglio, oggi servono soprattutto all’altra parte politica.
Poi insomma, era la festa del lavoro. Sono incappato in un commento volante (forse di Giulia Blasi, non sono sicuro) secondo cui il lavoro viene raccontato da anni e anni allo stesso modo: si parla spesso della crisi del lavoro, quasi mai della natura dello stesso. Per me “festa del lavoro” è un ossimoro, il lavoro è quell’esatta cosa che stai facendo invece di festeggiare, e se stai festeggiando per lavoro probabilmente c’è un imbroglio da qualche parte. Negli ultimi anni c’è un Concertone del Primo Maggio a Taranto che sta scalzando, dal punto di vista dei numeri, quello di Roma.
(il primo maggio è San Giuseppe, ma il concertone è in Piazza San Giovanni. San Giuseppe è il santo patrono di chi accanna.)
Il Primo Maggio a Taranto è il risultato di una felice intuizione secondo cui ha più senso portare la manifestazione nelle terre in cui risiede la maggior parte della fanbase, invece che costringerli a prendere un treno. Il Primo Maggio a Taranto è anche il risultato di una felice intuizione secondo cui cambiare le cose non ha senso e piuttosto conviene portarci, appunto, lo stesso evento di quello a Roma con gli stessi gruppi e la stessa formula. Il Primo Maggio a Taranto è il risultato di una politica troppo democristiana a Roma, di questa retorica dei collusi che vanno a patti con gli altri collusi e stringono mani sporche e stanno sotto l’ombrellino dei Renzi del caso. Il concertone di Taranto è più hardcore, suppongo: i Nobraino, per dire, sono stati purgati perchè hanno fatto una battuta di cattivo gusto (marciare al passo o niente). Il successo del concertone di Taranto viene misurato in partecipanti, cioè secondo dati di audience. Un giorno il Concertone di Taranto sarà trasmesso su RaiDue e quello di Roma, realisticamente, smetterà di esistere o sarà spostato al Fanfulla con un pubblico di settanta irriducibili più Teresa De Sio performing suoni gutturali a caso. Abbastanza un paradosso per un evento di cui non si smette mai di dire che “è una festa”. A parte l’esclusione dei super-innocui Nobraino, il resto è tutto uguale. Gli stessi gruppi, lo stesso concetto musicale di merda, lo stesso borioso atteggiamento post-tutto di chi lo commenta sprezzante, come se dovesse andarci a suonare Arca.
Due o tre giorni dopo la manifestazione, la mia timeline ha cambiato casacca. Chi commentava amareggiato e ferito dai manifestanti idioti ora abbozzava o linkava articoli “interessanti anche per chi non è d’accordo”, gli altri si sono scatenati ed è ricominciato tutto il giro. Non so dire se SkyTG24 abbia mandato in onda anche qualche manifestante presentabile, così, per bilanciare. Io ho ripescato un disco dei Pogues e lo riascolto sempre, che non è poi molto diverso dalla gruva terrona o qualsiasi altra merda finto-etnica.
Che visione ingiusta del Fanfulla. Un posto che ospita artisti che il primo maggio d’ogni dove si sogna. Peccato perché il post sarebbe carino nel suo riassunto degli ultimi 4 giorni. Evitando uscite degne dei Lo Stato Sociale però. Forse volevi scrivere Angelo Mai.