attivista del centro sociale, a casa c’ha la colf il padre la fabbrica

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Due o tre anni fa un gruppo chiamato Thegiornalisti s’era presentato all’attenzione della stampa italiana dissando una cinquantina di gruppi italiani su non ricordo quale rivista, roba sul tenore di “Maria Antonietta ha voglia solo di una cosa e di sicuro non è la musica o la chitarra”. Non ho mai capito se fosse una cosa seria o faceta, e in un caso o nell’altro non faceva ridere. La cosa, unita al nome, mi ha fatto scegliere così di punto in bianco di non ascoltare mai i Thegiornalisti, anche se mi avesse detto chiunque che il loro disco sarebbe stato il più epico e grandioso mai realizzato. È una specie di rischio morale al contrario, a cui cerco di inchiodare i gruppi che chiedono attenzione. Siete sicuri che la vostra musica le puttanate a cui mi costringete ad assistere? Io non sicuro di volerlo. Poi è successo che effettivamente i TheGiornalisti siano diventati i Fabers della nostra epoca con un disco dell’anno scorso di cui chiunque mi ha detto bene e che io non ho ancora ascoltato a parte un pezzo che non mi ricordo come suoni ma il cui testo diceva fondamentalmente Maria Antonietta ha voglia solo di una cosa e di sicuro non è la musica o la chitarra.

Detesto la vostra ostentata superiorità-easy, detesto il vostro fingere di essere tranquilloni e di reagire con stile alle cazzate scritte sui blog demmerda, quando in realtà VE TORCETE DRENTO, nun ce state, ve cercate su google, VE CERCATE SU GOOGLE!

(Ashared Apil-Ekur)

La stessa cosa, precisa precisa, mi è successa questa mattina con un gruppo che si chiama GNAC di cui mi è arrivato un comunicato stampa in tarda mattinata (o meglio, due comunicati stampa uguali spediti da due persone diverse). Il titolo del comunicato è GNAC: da oggi su YouTube il video del singolo K2 dove cantano “che due coglioni Brunori Di Martino e Colapesce”, e già si capisce che aria tira. Il comunicato stampa ci dice di più (come direbbe il mio amico Merola): e in una decina di righe mette insieme quasi tutto quello che di brutto e triste c’è nell’indiepop contemporaneo.

Ad esempio, la descrizione della musica del gruppo. K2” illustra al meglio quella miscela di rock, folk, pop, deviazioni prog o punk, scorribande balcaniche e inserti jazz-blues che stanno alla base dei suoni freschi, accoglienti e festosi degli Gnac. Nella loro musica le tastiere dettano melodie rotonde, la batteria e il basso si agitano e fanno muovere i corpi e la voce lingua sciolta morde e traballa sui versi. A leggere così sembrano una pericolosissima compagine di folk scanzonato ma militante da concerto del primo maggio, ma non è così: sono qualcosa tipo dei cloni dello Stato Sociale (gli piacerebbe) con il cantante un pochino più parlato e quel po’ di indolenza post-tutto che serve a farla franca.

 

Fa figo essere costipati nell’impossibilità del fare.
(Ennio Flaiano)

Ne ascolto due minuti perché sono incuriosito dalla descrizione del testo. K2” è una canzone che sull’onda di un liberatorio “che due coglioni” se la prende con le coppie che non smettono mai di prendersi o lasciarsi, con chi è sempre in crisi ma poi compra l’iPhone, con Facebook, WhatsApp e gli smartphone. Ma gli Gnac ce l’hanno anche con i gestori dei locali che non pagano, gli studenti universitari mantenuti da papà e i cantanti indipendenti, Brunori, Di Martino e Colapesce compresi: “Che due coglioni il cantante indipendente con la camicia quadri, la mamma con il suv, i servizi sulla tav / Brunori Di Martino Colapesce, i radical chic, l’attivista del centro sociale, a casa c’ha la colf il padre la fabbrica”. Ascoltare il pezzo è la cosa meno liberatoria che ho fatto oggi (compresa mezz’ora a leccare il culo a un capo magazziniere in Liguria perché scaricasse un camionista che gli si era rivolto, a suo dire, con poco rispetto). È chiaro che nel pezzo degli Gnac c’è pure un po’ di autoironia come del resto è chiaro che Brunori Di Martino e Colapesce, confronto a questa roba, sembrano i Fugazi. E che anche se gli Gnac fossero un gruppo musicalmente rilevante, anche solo un pochino, un diss così a cazzo squalificherebbe la loro musica. E il fatto che il diss a cazzo sia anche l’oggetto principale della cartella stampa li squalifica due volte, a cui si aggiunge l’obbligatorio sfogo contro i figli di papà, la retorica anti-hipster e tutto il resto.
È un brutto periodo per l’universo culturale in cui vivo e per cui in qualche modo, non so bene perché, continuo a  nutrire fiducia. Quel briciolo di spirito critico che era rimasto addosso alle teste della musica indipendente s’è irrimediabilmente dissipato in questa dialettica interna metatestuale a cui quasi nessuno sta sopravvivendo. Stiamo qua a menare il torrone con questa infinita autoreplica di un discorso ideologico che in mancanza di un obiettivo qualsiasi si scaglia contro i figli di papà -una cosa che già vent’anni fa faceva vomitare, figuriamoci adesso. E quando è stata l’ultima volta che qualcuno di questi ha detto qualcosa che ci è rimasto dentro, a parte l’ultimo disco dei Thegiornalisti? Da quanto tempo non incontro qualcuno che combatta costruttivamente questi cliché che in così tanti sono disposti a dissare, raccontandomi le sue minchiate con un briciolo di onestà? Domanda sleale, lo ammetto. Lo sapete qual è il dramma? È solo una canzoncina. Una roba fatta con criterio e qualche soldo da qualcuno che ci tiene sul serio e magari ha pensato che metterci dentro le camicie a quadri e i SUV sarebbe stato carino, ne parlavo ieri sera con Cinci la Cate e a un certo punto è arrivata questa coi capelli viola che credeva di stare a Williamsburg SFIGATA. Il gruppo che la suona ha gli stessi vestiti e le stesse barbe e la stessa estetica bucolico/sgarzolina di merda della roba che critica, e di altri seicento video di gruppi come loro che ho avuto la disgrazia di vedere negli ultimi anni, ma non è sempre quella cazzo di autoironia che arriva in salvataggio di tutto e tutti?

Quantomeno nella loro odiosa presa di posizione contro problemi inesistenti hanno avuto la mia attenzione, e un pezzo che parla di loro su un blogghettino di musica. Se volete riduciamo tutto all’ennesimo purchè se ne parli e al fatto che nella bilancia dei futuri possibili sia comunque una buona cosa. Poi di ascoltare un disco degli Gnac, per quanto mi riguarda, non se ne parla nemmeno. Fine della storia, croce sopra, e suppongo sia meglio per chiunque.

6 thoughts on “attivista del centro sociale, a casa c’ha la colf il padre la fabbrica”

  1. Ascoltando i Luminal mi ero chiesta perché non aveste mai parlato di questo gruppo su Bastonate, forse questo pezzo è un po’ una risposta.
    Per te rientrano nella categoria “gente che sputa nel piatto in cui mangia per farsi notare”?
    Secondo me sì, ma anche no. Nel senso che alla domanda che poni:

    “Quel briciolo di spirito critico che era rimasto addosso alle teste della musica indipendente s’è irrimediabilmente dissipato in questa dialettica interna metatestuale a cui quasi nessuno sta sopravvivendo. Stiamo qua a menare il torrone con questa infinita autoreplica di un discorso ideologico che in mancanza di un obiettivo qualsiasi si scaglia contro i figli di papà -una cosa che già vent’anni fa faceva vomitare, figuriamoci adesso. E quando è stata l’ultima volta che qualcuno di questi ha detto qualcosa che ci è rimasto dentro,”

    io risponderei dicendo che a me qlcs che mi rimane dentro lo lasciano, a dispetto del fastidio che dovrei provare (e forse ho provato ai primi ascolti) verso di loro e il loro rientrare nella categoria di “sputatori nel piatto etc.”.

  2. ho una visione molto peggiore dell’ambiente musicale.. purtroppo la gente non ha gusto e neanche vuole averlo… i mezzi moderni rendono tutto più superficiale, una volta che hai tutto, non hai nulla (spotify)… e la stampa promuove tutto… del giro indie ho notato, da musicista mi ci trovo dentro, come un infiltrato, dicevo, ho notato che si autocelebrano e si autoreferenziano.. comunque sono d’accordo con l’articolo in parte..

  3. Ohi Fa’, io credo tu abbia ragione e che sia il miglior scrittore italiano del momento, come ti dico sempre nella speranza che tu prima o poi SGANCI, però comincio a sospettare che dobbiamo iniziare a lasciar perdere i ventenni con le loro cose da ventenni. Oggi ho ascoltato per cortesia una ragazzetta che lavora per noi allo stand* parlarmi di EMIS KILLA e del perché a Bologna non lo si ascolti ma si ascolta un altro rapper, no so, e mentre parlava pensavo che in realtà non me ne fregava così radicalmente un cazzo che probabilmente mi ucciderò. Nel senso che non mi occuperò mai più di musica su internet, per la tua gioia.

    *perché in tutto ciò io ti scrivo dal SALONE DEL LIRBO di Torino ed è Augias Andreoli Severgnini Veltroni Pif e la resistenza dei piccoli editori e lo spettacolo della cultura e le lagne le lagne le lagne, che davvero i problemi dell’indie italiano mi sembrano in effetti ridottissimi, tipo quando non hai un figlio e pensi che boh la carriera sia importante e poi hai un figlio e OH sta ricominciando la partita della Lazio ciao

  4. in realtà qui non ho mai parlato dei Luminal perchè fondamentalmente non li ho mai ascoltati, e comunque non c’è un vero e proprio motivo per cui parlo o non parlo delle cose; per dire su Bastonate ci sono tipo 15 pezzi su Jovanotti che sta sul cazzo a tutti e nessuno sugli Entombed che sono il gruppo preferito di tutti i membri della redazione insomma. dei Luminal so solo che a un certo punto erano elencati tra le più grandi promesse dell’indie italiano dentro un articolo collettivo di cui conoscevo ogni altro gruppo, così ascoltai mezza canzone e mi piacque tanto da farmi decidere che forse erano amici di quello che aveva scritto l’articolo. probabilmente mi sbaglio, solite questioni di pregiudizi miei. magari sono il miglior gruppo al mondo, domani li sento.

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