100 canzoni italiane #10: BANANA REPUBLIC

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Gli ingredienti per truffare la malinconia

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Paolo Conte è un avvocato di Asti, ha 42 anni, sta andando al ristorante con sua moglie, a Roma. L’anno scorso è uscito il suo terzo disco: si intitola Un gelato al limon, come la canzone. Fuori dal ristorante incontra Francesco De Gregori che lo saluta e si scusa, gli chiede di perdonarlo. È il 1979, De Gregori è tornato dalla tournée con Lucio Dalla: Banana Republic, come la canzone che dà il titolo al disco.

– Andiamo al concerto di Lucio Dalla, aveva detto mio padre; siamo arrivati sul prato e ci siamo sdraiati, fuori. – Tanto si sente anche da qui, ha detto mio padre. Le canzoni arrivavano come un’eco: qualche parola ogni tanto, gli applausi del pubblico, certi momenti musicali più sostenuti, un crescendo, una ritmica insistita e basta. – Io non sento bene, avevo detto a mio padre, – Andiamo dentro a sentire che si sente meglio. – Per andare dentro bisogna pagare il biglietto, quindi si sente bene anche qui, mi aveva risposto lui. Da allora le canzoni di Lucio Dalla mi arrivano come un’eco lontana anche se le metto a un bel volume pieno, in macchina con i finestrini chiusi. Poi si presta la sua voce, quel gusto di sospensione che ha.

Quasi in ogni piatto si possono trovare, oltre agli ingredienti della ricetta, anche quelli di una storia: un incipit, uno sviluppo e un finale, scrive Michael Pollan nel libro Il cotto. Fuori dal ristorante De Gregori si scusa con Paolo Conte perché nel tour, con Lucio Dalla, hanno fatto una canzone di Paolo Conte, quella che dà il titolo al disco, la canzone che Paolo Conte ha dedicato a sua moglie: Un gelato al limon. De Gregori si scusa perché nel concerto hanno fatto un arrangiamento della canzone che, gli dice, non rende la profondità del testo, – Ma no, mi avete fatto un gran regalo, dice Paolo Conte.

Se fossi un professore di letteratura e dovessi spiegare il correlativo oggettivo a una classe di scolari, credo che userei la canzone di Paolo Conte: Un gelato al limon, con le strofe che hanno quel tono intimo per via delle immagini private, difficili da capire: “quel sogno arabo che ami tu”, quale sarà questo sogno? Gli “abissi di tiepidità”, gli “oceani notturni” e poi, invece, nel ritornello una cosa che sappiamo tutti: un gelato bianco che sa di limone.

Io nel locale avevo notato la ragazza bionda e alta. Era strano che una ragazza così bella ricambiasse così, diretta, lo sguardo mio.

Banana Republic è anche un film, un film concerto dal vivo di Ottavio Fabbri, il film della tournée di Lucio Dalla e Francesco De Gregori negli stadi, nel 1979. Il film è molto bello, si vedono Dalla e De Gregori che girano in macchina, Dalla in spiaggia in costume da bagno che sceglie tra vino bianco e vino rosso, De Gregori che spiega com’è suonare davanti a cinquantamila persone e davanti a tre. Gaetano Curreri nella tournée di Banana Republic suona le tastiere, diventerà il cantante degli Stadio. Nel film Curreri dice che Lucio Dalla è il più grande pianista italiano in Do, un altro del gruppo dice che il bello della loro collaborazione tra Dalla De Gregori è che è una collaborazione senza contaminazione: ciascuno rimane nel suo stile. Nel duetto in cui Dalla e De Gregori fanno Gelato al limon si capisce benissimo: nelle strofe, le strofe con le immagini difficili da capire, senti De Gregori che le fa nel suo stile di accenti bruschi e Dalla nel suo stile di svolazzi e sospensioni, poi si ritrovano insieme nel ritornello, nel punto che capiscono tutti: un gelato bianco che sa di limone.

Bisognava attaccare discorso, attaccare discorso per dare un seguito a quegli sguardi. Evitare che se ne andasse da sola via e io rimanessi lì a vederla andare via. Ma anche dopo aver attaccato qualche discorso, poi, se ne era andata via e io ero rimasto solo a vederla andar via.

– L’incontro con Dalla è stato prima umano e poi artistico. Io mi ricordo proprio perfettamente che ci fu uno strano incontro da studio a studio, uno di fronte all’altro, quando eravamo per caso nella stessa casa discografica. Non so perché, ma da come entrava e usciva mi resi conto che era una persona…  che era un vecchio amico, anche se non l’avevo mai visto, dice De Gregori nel film Banana Republic. – Credo che la gente si diverta a vederci in due, proprio perché è la negazione di tutti gli schemi impresariali e tecnici.

Con Cristian eravamo nel locale insieme, lo stesso locale, un’altra sera, entra la stessa ragazza: alta, bionda, inusualmente ricambiatrice di sguardi.

Dalla ha cominciato a scrivere le parole delle sue canzoni a 35 anni, prima non le scriveva lui o non le scriveva affatto. In tre anni, dal 1977 al 1980, scrive tre dischi pieni di canzoni capolavoro. Canzoni divertenti, originali, commoventi e sorprendenti a quarant’anni di distanza. L’anno che verrà, Com’è profondo il mare, Balla balla ballerino, Anna e Marco, Disperato erotico stomp, “e io che qui sto morendo e tu che mangi il gelato”. In mezzo a quei tre anni scrive delle canzoni con Francesco De Gregori: Cosa sarà, Come fanno i marinari e da lì viene l’idea di una tournée negli stadi.

Attacco il discorso io e andiamo avanti per un po’, Cristian entra e esce, ordina da bere, si unisce al discorso e la ragazza, alta, bella e bionda, prende a parlare delle scie chimiche. Cristian le ride in faccia, io mi controllo. Non vorrei che finisse di nuovo che lei se ne va e allora cerco di minimizzare.

Nel 1979 non era normale che i cantanti italiani suonassero negli stadi, infatti l’organizzazione non aveva dimestichezza con la sistemazione del pubblico, con l’ingresso del pubblico, con il montaggio del palco, con la pioggia, tutte cose che nel film Banana Republic si capiscono bene. Il disco, che uscì mentre il tour era ancora in corso, avrebbe dovuto essere registrato a Bologna, ma la data fu annullata per la pioggia. Dà l’annuncio al pubblico Dalla: – Attenzione scusate amici, sono Lucio, Lucio Dalla, per ragioni tecniche di mancanza di sicurezza siamo costretti a rinviare il concerto per domani, alle ore venti. Vi ringrazio, siete degli amici. Poi il concerto non verrà recuperato. La RCA, la casa discografica di Lucio Dalla, Francesco De Gregori (e anche di Paolo Conte), il disco lo incide con registrazioni sparse, prove e quello che riescono a mettere insieme. Il registratore del pullman mobile non aveva abbastanza piste per gli applausi del pubblico e la RCA sovraincise gli applausi, ma erano applausi da stadio di calcio, non da stadio concerto: anche loro non avevano tanta dimestichezza con gli stadi.

Il mio tentativo di minimizzare va male: la ragazza alta e bionda, bella e inusitatamente ricambiatrice di sguardi, mi dice che sono un disfattista e che è colpa di quelli come me che poi le cose non si sanno e nessuno fa niente. Cristian continua ridere nascondendosi la faccia in un avambraccio.

L’idea iniziale era di chiamare la tournée di Dalla & De Gregori negli stadi I Marinai, come la canzone che avevano scritto insieme, ma Ennio Melis, il direttore della RCA, disse che sapeva di vecchio. Per il tour Dalla e De Gregori avevano preparato una nuova canzone da fare in duetto, oltre a Cosa sarà, Come fanno i marinai e Gelato al limon. Una canzone che De Gregori aveva conosciuto grazie a suo fratello Luigi e che aveva cominciato a tradurre per gioco. È una canzone del 1976 di Steve Goodman, nell’originale Banana Republics, che parla di nord americani che se ne vanno in Sud America cercando di distrarsi, che scappano dal fisco e trafficano marijuana. – Chiamatela così, gli dice Melis, chiamatela Banana Republic, che è curioso e non si capisce cos’è.

Usciamo dal locale e lasciamo la ragazza alta bionda e bella, seguace della scie chimiche, dentro; ce ne andiamo io e Cristian verso la macchina. C’è un verso della versione di Dalla e De Gregori di Banana Republic che dice: “E attraversano la notte a piedi per truffare la malinconia”.

Nel 2003 il disegnatore Altan pubblica per Einaudi un libro, raccolta di vignette, che si chiama Banane. Il protagonista è il Cavalier Banana, una satira di Silvio Berlusconi, e il tema di fondo è la trasformazione dell’Italia in un paese che somiglia a un paese sudamericano negli anni settanta, una Repubblica delle banane, come quello di cui parla la canzone.

Io e Cristian, andando verso la macchina, arriviamo nella zona dell’Università e vediamo un signore che chiude una serranda; io lo riconosco, è facile, ha i dread, una divisa da cuoco con i pantaloni militari e il suo ristorante ha appena preso una stella sulla guida Michelin. – Prima o poi ci veniamo a mangiare da te, gli dico, appena mettiamo da parte i soldi. E ci mettiamo a parlare con lui. Dei suoi piatti, di quanto e perché costa così il suo menu, del fatto che gli piaccia l’opera lirica.

Ora è normale che i cantanti suonino negli stadi e fa sorridere che una volta, nel 1979 durante il tour Banana Republic, il pubblico non potesse sedersi sul prato, per ragioni di sicurezza. Chiamare l’Italia una Repubblica delle banane è diventato comune. Le ragazze ti parlano di Nuovo Ordine Mondiale restando serie. Andare al ristorante è un fatto culturale, anche se non sempre il mangiare funziona come correlativo oggettivo. Uno dei piatti di Marcello Trentini (lo chef di Magorabin, ristorante stellato di Torino, che una sera io e Cristian mentre ce ne andavamo in giro abbiamo incontrato che chiudeva la serranda del suo locale) è: gambero crudo, mandarino e lingua di vitello. È più vicino a delle strofe difficili da interpretare, all'”intelligenza degli elettricisti e al sogno arabo che ami tu” che a un gelato bianco che sa di limone. In ogni piatto non ci sono solo degli ingredienti ma una storia da raccontare: un inizio, uno svolgimento, una fine.

Quella sera, la sera in cui io e Cristian ce ne andavamo in giro come due vecchi amici anche se ci conoscevamo da poco, potevi sentire come un’eco di una canzone lontana, una di quelle ascoltate fuori da uno stadio, sdraiato sul prato; e se ti sforzavi, tra gli applausi del pubblico e i crescendo della musica, potevi distinguere le parole:

E poi verso sera li vedi
Tutti a caccia una donna e via
E attraversano la notte piedi per truffare la malinconia
E spendono più di una lacrima su un bicchiere di vino e di rum
E piangendo gli viene da ridere
Ballo anch’io se balli tu.

 

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