sono stato a vedere Tiziano Ferro dal vivo

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Subito dietro di me quando inizia il concerto c’è una signora di 55 anni, 1,60 di altezza, 90 di peso, un pesante accento bolognese, fascia TIZIANO FERRO in testa, canotta slabbrata. Urla quando si spengono le luci, canta Xdono alla bell’e meglio con il suo accento. Il mio probabilmente è anche più pesante del suo ma non mi sento in forma per cantare i primi pezzi. In parte è dovuto al fatto che anche Tiziano Ferro sul palco non sembra in forma e a suo agio. Xdono, La differenza tra me e te, Sere nere. Poco dietro alla mia destra c’è una coppia di scenester, lui ha una maglietta disegnata da Ratigher. A sinistra c’è un gruppo di mamme con figlie al seguito, la più piccola sui 5 anni, fascia in testa, un bel viso allegro. La mia macchina (4 persone) porta una bambina di 10 anni. Gli spalti e il prato sono pieni ma in un modo abbastanza tranquillo e rilassato, la gente non spinge, non ci sono scene di panico collettivo a parte chi canta –pensavo comunque di più. La cosa che mi colpisce di più nella prima parte del concerto è che è soprattutto, ehm, un normale concerto.

Mio fratello ed io siamo andati a pranzo assieme, per un certo periodo. Era una informale celebrazione dell’età adulta: lui non era più un secondo padre per me, io non ero più un primo figlio per lui. La distanza ideologica tra le età si stava relativamente assottigliando e uscivamo da soli in cerca di un po’ di relax e due chiacchiere tese. Prendevamo la via dei colli e ci scolavamo una bottiglia a testa. Guidavamo a turno, una volta io una volta lui: la mia macchina era un casino, stipata di CD e altre cose. La sua era intonsa e aveva tre dischi, uno dei Joy Division e due compilation di musica italiana generica messe insieme dalla moglie. Lui ascoltava più che altro la radio: a un certo punto, in un viaggio di andata, passava Tiziano Ferro e lui cambiò all’improvviso. “Pensavo ti piacesse”, gli dissi. “Mi è scaduto quando ha fatto outing”, rispose. Dev’essere successo in quel periodo che va da quando tutti iniziarono ad usare la parola outing a quando tutti iniziarono a correggere quelli che usavano la parola outing in modo improprio. Io iniziavo ad amare Tiziano Ferro in quel periodo, non credo per via dell’outing e neanche del coming out. Credo fosse per via dei dischi.

Il lunedì mattina è sempre un po’ più duro degli altri giorni, su internet. C’è più roba da leggere, ci sono i flame fatti apposta e tutto il resto. Lunedì 29 giugno, schiacciato tra l’annuncio del referendum greco e l’analisi politico-economica del mettere la bandiera arcobaleno sulla foto profilo su FB, c’è un editoriale di Gramellini che parla dei concerti di Vasco e Jovanotti, e delle “tribù” che li affollano. “È un’Italia perbene come quella di Lorenzo, ma ovviamente più attratta dal lato oscuro delle emozioni. Qui gira birra, là acqua minerale. E le ragazze non cantano con i maschi ma addosso o addirittura sopra, abbarbicate in gruppi laocoontici da cui spuntano solo i reggiseni.”  Un pezzo abbastanza orribile che retrodata di un altro paio d’anni la banale esperienza di un concerto e la riporta ad un rituale di adesione con pretese esoteriche in posti da 50mila persone. Questa settimana in ufficio abbiamo avuto discussioni: qualcuno andava a vedere Jovanotti, qualcuno andava a vedere Vasco, io avevo comprato i biglietti per Tiziano Ferro. La collega coi biglietti di Vasco non l’ha presa bene, quella coi biglietti di Jovanotti avrebbe voluto essere anche a Tiziano Ferro. Ero infastidito da entrambe le opinioni, ovviamente, come qualsiasi indie-snob che si rispetti. “Perché non capiscono?”, sussurravo a me stesso. I concerti di Tiziano Ferro che considererei *ideali* sono popolati di esteti che con la sinistra hanno passato la settimana ad ascoltare roba tipo Cows e Bongzilla e con la destra adorano senza riserve i passaggi di testo più emotivi di certi singoli. Sarebbe carino se tutti al concerto indossassero la maglietta del Bimbo Fango, ma non posso chiedere troppo. Tiziano Ferro, interrogato da Rockit su questo argomento, dice che “E’ una cosa che io trovo molto tenera e divertente, anche perché questo mi riconduce anche all’idea che ho della musica, una passione quasi fisica. La musica è come l’erotismo e, come tutto ciò che è condizionato dall’istinto, a volte è qualcosa che ti tocca in maniera così animale che non hai voglia di condividerla con gli altri.”

Questo però è il paese reale. Invece del gruppo spalla, per dire, c’è una delegazione di Radio Italia (un dj, uno speaker e due ragazze scosciate) che suona terribili pezzi al confine tra rap italiano di merda, italo-dance di merda ed EBM di merda (un genere misto che a quanto pare sta invadendo militarmente le radio generiche, al punto che pure gente tipo Malika Ayane e Giusy Ferreri è fuori con dei singoli-cassa) e carica il pubblico urlando su le mani o la conoscete questa?, come a un cazzo di evento televisivo. Un’ora di questa merda, forse qualcosa di meno. Al netto di 47 euro di biglietto, pubblicità Livenation sui megaschermi, un’ora per parcheggiare l’auto, 30 minuti per arrivare sul prato e generale sconforto per le situazioni da stadio, inizio a pensare che non ne sia valsa la pena.

E Tiziano Ferro all’inizio non carbura. Non è che stiano suonando male ma non c’è quel clic che mi aspettavo, come se ci fosse chissà che rivelazione. Voglio dire, chi se lo aspettava che durante Sere nere la situazione in mezzo al prato sarebbe stata sotto controllo? Inizio a pensare a quante aspettative ho riposto in questo concerto. È come se fossi qui a saldare un conto con me stesso, l’apice emotivo dell’estate 2015, la tacita ammissione che sono finalmente un uomo e tutto sommato posso perdere davvero la brocca ad un evento collettivo come questo. Poi inizio a sentirmi come se fossi scritto da Massimo Gramellini e non è una sensazione piacevole, mi rilasso e ricomincio daccapo. Si rilassa anche Tiziano Ferro: perde la seriosità stiracchiata delle prime canzoni e inizia a ballonzolare in giro per il palco.

Il palco è una cosa impressionante. Una serie di ledwall alti anche una ventina di metri, montati a parallelepipedi come fossero dei palazzi, su cui vengono proiettate immagini in HD di palazzi e cubi e animazioni diverse ad ogni pezzo. È il concerto con più regia che io abbia mai visto: ogni movimento sembra studiato per filo e per segno con una coreografia molto precisa. C’è una passerella centrale su cui Tiziano Ferro cammina di rado, ci sono cavi a cui viene attaccato all’inizio per iniziare il concerto in maniera informale, con un volo di quindici metri. La direzione ferrea del tutto toglie molta della spontaneità, o forse doveva solo scaldare la voce o acquisire un po’ di conforto. Quando parte Indietro è tornato tutto al suo posto: ho capito che sono venuto a vedere un concerto, e Tiziano swagga che è una gioia per gli occhi. Le difese dell’aspettativa s’abbassano in breve e il primo tuffo al cuore arriva dove non te l’aspetti, un pezzo tipo Imbranato.

Tra Il regalo più grande e Scivoli di nuovo Tiziano Ferro si lancia in un discorso sull’amore. È una cosa che si riferisce vagamente alla cosa della corte suprema USA, con quel tipico tono da supercazzola alla Tiziano Ferro. Avete presente? Come quando a febbraio fu ospite sul palco di Sanremo e disse, uhm, che i governanti ci dicono bugie e le canzoni ci raccontano la verità, o qualcosa del genere (non è una critica, io lo vidi a Sanremo e decisi di comprare il biglietto per il concerto). Molti discorsi di Tiziano Ferro funzionano soprattutto come meccanismi ad orologeria, non funzionano in se stessi quanto nella loro potenzialità generale e/o in virtù di quello che arriverà dopo. Schierarsi pubblicamente da una parte o dall’altra è una mossa coraggiosa, ma non quanto il non schierarsi, non quanto sparire dietro la tua musica. L’adesione tribale ai concerti di Vasco e Jovanotti è soprattutto il risultato di questo dialogo tra personaggio pubblico e personaggio privato (ed è sicuramente inquietante pensare che una persona come Vasco Rossi sia soprattutto il risultato di un dialogo tra due diverse dimensioni di sé, ma nondimeno), che tende a creare una fanbase abbastanza riconoscibile e creare un circolo vizioso alimentato da questo fanatismo separatista italiano all’acqua di rose. Tiziano Ferro è immune da tutto questo. I suoi testi possono riguardare molti ma non tutti, e la sua poetica non ha tracce di populismo se non di secondo grado (lui dice cose, molte persone ci si rispecchiano). I toni delle sue canzoni cambiano molto da un disco all’altro, seguendo probabilmente gli stati d’animo generali dell’uomo, dove magari Jovanotti mette la Grande Chiesa e San Patrignano in Penso Positivo per poi dissociarsi da se stesso ed ammettere di averlo fatto soprattutto perché, tipo, fa rima. La supercazzola prima di Scivoli di nuovo parla di imparare ad amare, del diritto di farlo, poco altro. Si piange soprattutto per quello che non dice.

Davanti a me ci sono due coppie. I maschi, in maglietta casuale, urlano pezzi di testo e s’abbracciano. Le conoscono quasi tutte.

Imparare ad amare non è mica tanto facile, dice Tiziano Ferro. Grazie al cazzo, verrebbe da rispondere, poi lo vedi sorridere e ringraziare e guardarti con quegli occhi. Gli occhi di Tiziano Ferro sono un effetto speciale, ai suoi concerti almeno questo lo impari. Butta un occhio su pezzi di pubblico e sorride e sembra gioia piena, assoluta. Parla di Bologna, della traduzione dei cantautori. Sul finale, appena prima di chiudere, citerà direttamente il più grande cantautore e filosofo che abbia mai operato a Bologna: “sono stato bene”, dice. Il concerto cresce da una canzone all’altra. Vestiti improbabili color rosso fuoco si mischiano a visual di fiamme decomposte mentre lui svolazza con la voce in Xverso. La parte centrale dedicata alla gruva, ai pezzi arenbì, è una cosa abbastanza pazzesca.

(ascoltai Tiziano Ferro per la prima volta quando lo fecero tutti, Xdono che passava una trentina di volte al giorno tra radio, televisione, bar e supermercati. Lo inquadrai in breve come un patetico tamarro che ci provava con l’arenbì e decisi che il fastidio sarebbe durato al massimo il tempo di due festivalbar. Poi il Festivalbar ha smesso di esistere e Tiziano Ferro ha iniziato a spaccare seriamente i culi)

Così, insomma, c’è un momento per la gruva e un momento per amare. Il pubblico qui lo celebra in modi goffi e sguaiati, cercando di coprire la sua voce con le urla in pezzi come L’amore è una cosa semplice. Imparare ad amare, dice lui, lui ha imparato, dice lui. Io non lo so. Di amore ce n’è uno e ce ne sono duecento, c’è l’amore che ti fa perdere la testa e c’è quello che vai a letto un’ora dopo perché devi stendere i panni. C’è l’amore del corpo e quello delle bollette scadute, quello che ti spacca lo stomaco e quello che ti impone una dieta con molte verdure. Qualche amore l’ho imparato e qualche altro no. Poi c’è l’amore che non lo riesci a dire, e a me quello piace molto. È fatto di discorsi che stanno in un universo fatto di due persone e seguono regole grammaticali autodefinite, e comunque decida di uscire fuori da quell’universo si sporca e diventa stupido banale e noioso e niente di che, 5.5 su Pitchfork al massimo. Lo inseguo in un milione di canzoni e nei film e nei libri e lo manco quasi sempre perché non sono molti quelli capaci a scriverlo perché non credo sia una cosa che s’impara, ecco, lo invidio. Ho imparato a funzionare anche io come un meccanismo ad orologeria, come quando in Alta Fedeltà il protagonista si chiede se ascolta la musica perché è triste o se è triste perché ascolta la musica. Buon compleanno, tra l’altro. La mia risposta è che Tiziano Ferro mi parla d’amore in una lingua che non comprendo proprio del tutto ma un po’ sì. Questa cosa forse è comune a un sacco di persone qui dentro. Ci tiene lontani da quello che accomuna il pubblico di Jova e di Vasco, non beviamo acqua o birra con fare ideologico, non ascoltiamo Bombino piuttosto che Springsteen, non siamo fauni né gattoni. Perlopiù siamo gente col cuoricione peloso che fa otto ore di lavoro al giorno senza rompere troppo il cazzo. Tiziano Ferro ha questi testi fatti di rime stronze, congiuntivi sbagliati, termini desueti, saliscendi vocali e piccole rasoiate al cuore e nel complesso di una canzone o di un disco tutte queste cose funzionano in un modo pazzesco che

Tiziano Ferro, in questo, è splendidamente non-generazionale. Ai concerti di Guccini ti capita di chiederti che cazzo facciano i fan di Guccini le sere che non sono a vedere Guccini; stasera li riconosci come quelli che vedi alle riunioni di condominio o in fila per la spesa. Suppongo che il suo punto forte sia riuscire a parlarti senza chiederti adesione; in certi momenti suona non-necessario e sgradevole e magari tronfio, in altri momenti c’è bisogno di lui. Se dovessi dire che è stato il più bel concerto della mia vita penso che farei fatica; ce l’hai o non ce l’hai, ti piace o non ti piace. Penso che mio fratello, outing o non outing, avrebbe fatto fatica a contestualizzare un trentacinquenne che balzella sul palco fasciato in un completo inappuntabile poco prima di cambiarsi dietro un muro di ombre cinesi. Mio fratello ha visto Vasco Rossi una dozzina di volte. E c’è anche una dimensione di complessità, di retaggi culturali e di altra roba che si frappone tra l’amore, la testa degli uomini e le canzoni pop. O magari gli sarebbe piaciuto e magari il prossimo tour, boh. Tiziano Ferro è contento di quello che ha davanti. Continua a sorridere cantare ballare e ringraziare e infilarsi in qualche altra supercazzola o qualche diavoleria tecnica da grande concerto (sul finale si scopre che la passerella è una specie di gru, che si alza e fa un giro a trecentosessanta gradi sul pubblico che urla all’impazzata). Lo stadio è pieno, lui sorride, getta il cuore oltre l’ostacolo, si sgola e ci salva. Per qualche minuto, mica tutta la vita. L’ultima canzone è Incanto ed è la più bella, quella che cantiamo di più, quella in cui lui è preso meglio, una chiusura perfetta. Le persone all’uscita non spingono, camminano tranquille, sorridono un po’. C’è puzza di bagni chimici e piadinari altrettanto chimici, come ai concerti veri, ma un po’ meno. Dal parcheggio al casello dell’autostrada sembran tutti tranquilli: dieci minuti, poi si torna a casa. Sono stato bene, penso. Musicalmente non lo saprei spiegare. Domani si lavora.

9 thoughts on “sono stato a vedere Tiziano Ferro dal vivo”

  1. La visione volontaria e a pagamento di un concerto di Tiziano Ferro mi risulta inspiegabile almeno quanto la somiglianza tra il logo (in barra indirizzi) di Bastonate e quello di Internationalsexguide.

  2. Ti ho letto tutto d’un fiato!
    Siamo stati da Tiziano all’Olimpico, il sabato, ed a tratti ho avuto le tue stesse sensazioni. È stato lento all’inizio, poi intimo, poi emozionante, di un’emozione più nostra che generale. C’era lì il mio regalo più grande, il mio incanto, giusto per intenderci!✌️ Venerdì però siamo stati anche da Vasco, diverso certamente, ma bello e chissà il 26 viene pure Lorenzo, non abbiamo i biglietti ma ci pensiamo✌️

  3. Succede così, invecchiamo e ci vediamo tutti più uguali, meno diversi, abbandoniamo gli ardori di giovine età , perdiamo i denti e infine dipartiamo. Da qualche parte in questo ciclo c’è la musica di Tiziano Ferro che, come ogni musica, può fare, quindi c’è poco da stupirsi. Ciò è bellissimo.

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