Il cane

cane

1993: gli Alice in Chains finiscono un tour massacrante e si chiudono qualche giorno in studio a registrare il loro secondo EP acustico, che viene fatto uscire nel gennaio del ’94 e schizza al primo posto della classifica di vendite. Il cantante Layne Staley ha già un grosso problema di dipendenza da eroina e passa i giorni che seguono la release chiuso in clinica, a disintossicarsi. Non dura molto: mentre il gruppo prova per il tour successivo con i Metallica il cantante ricomincia già a fare uso di eroina, costringendo gli Alice in Chains a cancellare le date in in fretta e furia ed entrare in animazione sospesa. Layne Staley si allontana dai compagni, approfittando del break per peggiorare la propria condizione e registrare alcune canzoni con un supergruppo di Seattle chiamato Mad Season (Mike McCready, Barrett Martin e altri). Jerry Cantrell, nel frattempo, inizia ad abbozzare qualche pezzo per un disco che potrebbe essere solista o boh. Da qualche parte all’inizio del ’95 i quattro Alice in Chains si ritrovano e decidono di tornare a suonare assieme. La base su cui lavorano è la roba scritta da Jerry Cantrell durante la pausa, e un mesetto dopo l’uscita (salutata dalla critica) di Above dei Mad Season, gli Alice in Chains si chiudono in studio per registrare un nuovo disco. Le session sono molto difficili, per ammissione dei membri del gruppo: Layne Staley è una mina vagante, per la maggior parte del tempo assente o non in condizione di registrare; gli altri chinano la testa per tirar fuori qualcosa di sensato e integrarlo al meglio. Le registrazioni, con Toby Wright in cabina di regia, durano diversi mesi. Il disco che ne esce arriva nei negozi il 7 novembre del ’95, senza titolo, in copertina un cane senza una zampa, chiuso in un bizzarro jewel case giallino.

La storiografia del rock si fonda per buona parte sul concetto di genio, forse perché è incentrata sull’idea che una canzoncina di tre minuti possa diventare un monumento alla contemporaneità e cambiare la vita delle persone. E molto giornalismo rock è un giornalismo a caccia del genio, si pone esplicitamente la domanda di chi sia –in un gruppo- la personalità che fa la differenza. In molti casi la questione è oziosa e il genio è abbastanza alla luce del sole –nei Nirvana era Kurt Cobain, negli Oasis era Noel Gallagher, nei Mats era Paul Westerberg. In altri casi il “genio” si è scoperto tardi, magari dopo che aveva abbandonato il gruppo (Mike Johnson con Lanegan, Phil Elvrum con gli Old Time Relijun, cose simili). Le economie dei gruppi, viste da uno che non ha mai avuto un gruppo, spaziano lungo uno spettro di sfumature che parte dalla visione artistica di un singolo accompagnato da una schiera di braccianti dello strumento, e arriva a dischi che sono espressione di un manifesto conflitto tra più teste che lottano per la supremazia compositiva.

Personalmente ho un certo debole per i gruppi animati dal conflitto, soprattutto quando il conflitto è a due. Mi piacciono perché in moltissimi casi non si può parlare di “genio”: è il legame tra due persone a dare un senso alla musica. Il mio gruppo preferito con questo assetto sono gli Husker Du, i cui membri hanno avuto modo di sciogliersi e far uscire decine di dischi, pregevoli ed onesti, il cui valore artistico che anche solo paragonare a quelli del gruppo da cui provengono suona offensivo. Ma non sono pochi i gruppi incentrati su questa dinamica, a partire dai Beatles per arrivare –che so- agli 883. Per gli Alice in Chains la cosa è sempre stata problematica. L’interpretazione che va per la maggiore è quella secondo cui il genio degli Alice in Chains sia il cantante, uno la cui voce imprendibile riesce ad elevare le canzoni di un autore medio-bravo come Cantrell allo status di classici del pop. Io non sono d’accordissimo. Layne Staley, è vero, è un interprete grandioso e senza pari, ma non sempre. La prova principale in tal senso è il disco dei Mad Season: più che decoroso e continuamente citato tra le gemme minori del grunge, ma essenzialmente un disco senza alcun equilibrio e senza una direzione –una cosa che non riesco più a suonare. Vale più o meno quanto i dischi di Jerry Cantrell senza Layne Staley: sempre decorosi, sempre oscuri, sempre buoni, mai niente di più. Questi due tizi, essenzialmente, erano fatti per lavorare insieme. Jerry Cantrell scriveva canzoni che perdevano parte del loro senso senza Layne Staley, Layne Staley scriveva canzoni che senza Jerry Cantrell il senso lo perdevano quasi tutto.

Il disco degli Alice in Chains del 1995 viene comunemente definito The Dog Album. A me piace chiamarlo il cane.

Jar of Flies, l’EP del 1994, fu l’espressione più compiuta ed esaltante degli Alice in Chains fino a quel momento. L’alternanza tra elettrico e acustico non era una novità per il gruppo, ma non c’è paragone tra l’accoppiata Facelift/Sap e quella Dirt/Jar of Flies. Non credo sia mai esistito un gruppo rock più bravo degli Alice in Chains a comporre e suonare con la spina staccata: Jar of Flies è un disco che semplicemente non smette mai di affascinare. Fin troppo logico aspettarsi che il gruppo ci riprovasse per il disco successivo e diventasse il massimo esempio di grunge esportabile nei salotti buoni. Poi esce il cane e tocca tornare a scuola. Pesantissimo, brutalmente incentrato su certi chitarroni ribassati che sanno un po’ di Kyuss e Black Sabbath e tirano verso il doom metal, strumenti compressissimi anche quando girano in acustico, un’oscurità che al confronto Dirt era ottimista. Roba ultra-umorale in cui si alternano alcune delle migliori canzoni mai fatte dal gruppo (a partire da Grind) e roba che sembra scritta con la mano sinistra per ingrassare il minutaggio, e che nel complesso -nessuno saprebbe dire la ragione, credo- assume un fascino senza precedenti. Layne Staley, quasi del tutto assente, è da brividi: si limita spesso a semplici comparsate nei cori affogate di effetti, che fanno cacar sotto dalla paura, oltre che esplodere nell’episodio più negativo e malsano dell’album, esattamente a metà (Head Creeps, unica canzone di cui risulta unico autore). Tutto il resto è un manualone di rock pesante alla Jerry Cantrell che se non avesse quel nome stampato in copertina non venderebbe manco le copie che servono a saldare i conti dello studio. 

Il cane è il disco di un gruppo morto e sepolto, che non sa di esserlo ma lo sospetta fortemente. Gli AIC non partiranno in tour a supporto del disco: il gruppo si ripresenterà dal vivo l’aprile successivo per registrare un unplugged. Fanno qualche data di supporto ai Kiss, nel tour del ritorno mascherato: durante una di queste Layne Staley va in overdose e viene preso per i capelli. Da qui in poi quella degli Alice in Chains diventa una storia di merda. Layne Staley si rintana in casa, incapace di uscire dalla dipendenza; il gruppo continua ad esistere sulla carta e verso fine anni novanta inizia a pubblicare robaccia pleonastica per onorare contratti o incassare qualche spiccio. Il box set del ’99, con un paio di tracce registrate per l’occasione, poi compresso in un singolo disco che faccia da semi-greatest hits; un live elettrico qualche anno dopo, e subito a ruota un secondo greatest hits. Jerry Cantrell continua a scrivere e registrare musica: Boggy Depot nel ’98, Degradation Trip nel 2002. Dischi belli a cui manca Layne Staley, e che presto o tardi vengono seppelliti dal tempo e dai gruppi nuovi.  

La musica concepita in una dimensione di negazione, disagio e malessere ha sempre esercitato un notevole fascino sui fan. È difficile dire se sia una questione narrativa o musicale, ma molti gruppi rock anni novanta hanno concepito le loro migliori opere nel loro momento più buio. Uno dei miei dischi preferiti si chiama De Mysteriis Dom Sathanas e contiene parti di basso registrate da un tizio che di lì a poco avrebbe trucidato il tizio che suona le parti di chitarra nello stesso disco. Per dire, delle volte sembra tutto una barzelletta. Una volta mi capita di intervistare un fuoriuscito dagli Emperor, un personaggio strano di nome Mortiis, suona questa sorta di dark/gothic/ambient/EBM, con addosso una bruttissima maschera horror da folletto. L’unica intervista che farò mai in un camerino, prima di uno show. È il 2002, siamo io e un tizio di metal.it, lui viene prima e gli fa settanta domande sul disco, col tizio che risponde per filo e per segno. Io mi trovo senza domande e gli chiedo la prima cosa che mi venne in mente: “ti piacciono gli Alice in Chains?”. Lui si illumina come se qualcuno l’avesse ripescato dai morti, e mi parla di quanto siano stati un gruppo fondamentale per lui, di quanta cazzimma c’era dentro Dirt e di quanto sia stato un esempio per lui quel modo di incanalare la negatività e tutta quella roba. Mi chiede perché gliel’ho domandato, e io gli dico che il pomeriggio ho letto su Blabbermouth del ritrovamento del cantante, morto da due settimane nel suo appartamento. E questo dark/goticone con un passato nei Mayhem e un presente mascherato da folletto horror mi guarda con gli occhi sbarrati, e mentre prova a farfugliare un commento si mette quasi a piangere.

Tutto un po’ grottesco, ma in fondo gli Alice in Chains sono soprattutto questa cosa qui. Nel senso, un gruppo di profilo altissimo che sull’onda del proprio malessere ha riunito una delle fanbase più improbabili della storia recente. La fanbase è composta di compagni di liceo con un buon lavoro in banca ed oscuri cultori dell’estremo con una discografia ai limiti dell’esoterico. Quando Phil Anselmo salì sul palco del loro reunion show ad interpretare Would?, sembrò un appuntamento col destino.

Ogni fan degli Alice in Chains ha il suo disco preferito, quasi tutti si dividono tra Dirt e Jar of Flies. Una risicata minoranza, di cui faccio parte a tempo perso, è straconvinta che il cane sia di gran lunga il loro miglior disco.

5 thoughts on “Il cane”

  1. Direi tra il cane e Jar of flies. Però mi capita più spesso di riascoltare il cane.
    E mi capita anche di riascoltare Mad Season. Perchè è un incontro tra musicisti che hanno pochissimo talento nello scrivere canzoni ma una marea di stile. Staley lì è grandissimo.
    Ricordo che si era parlato di un secondo album con due voci (l’altra era Mark Lanegan), che non è uscito (suppongo che non sia mai stato scritto e registrato).

    La mia perla misconosciuta (si fa per dire) del grunge è il primo album dei Truly. Che sfigati. Che sfigato (io).

  2. Ma allora Jair Of Flies
    e poi si, il cane zoppino
    Io però ho inaspettatamente apprezzato tantissimo anche i due della reiunion, forse più black eccetera che quello dei dinosauri
    e niente

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