Ricchi e poveri e straccioni e teste di minchia (e il disco rap più esclusivo della storia)

10eQualche tempo fa il Wu Tang Clan ha annunciato di aver lavorato, saltuariamente nell’ultimo lustro, ad un disco di 31 canzoni che sarebbe stato stampato in una sola copia, messo all’asta e consegnato al miglior offerente. La cosa si è evoluta in un vero e proprio progetto artistico: il disco sarebbe stato prodotto e stoccato in un caveau, per poi finire all’asta ed essere venduto al miglior offerente, con una serie di clausole legali che vincolavano l’acquisto ad alcune condizioni, ad esempio il divieto di sfruttare commercialmente l’opera prima del 2103.

(no, la clausola secondo cui il compratore doveva accettare di subire un tentato di furto ad opera del Wu Tang Clan o di di Bill Murray è un fake, sorry)

Poi il disco, intitolato Once Upon a Time in Shaolin, all’asta ci è andato davvero, ed è stato portato a casa da un riccone per una cifra che dalle indiscrezioni era dell’ordine dei milioni di dollari. Al seguito della transazione, il Wu-Tang entra nel guinness dei primati con il singolo disco più costoso della storia. Al di là di questo, e delle menate ideologiche sull’esclusività, ci sarebbero riflessioni interessanti da fare su una serie di concetti messi in campo da questa cosa. Ad iniziare dalle consuetudini legate alla “pubblicazione” di un disco –si può dire che un disco sia stato pubblicato se in realtà è stato privatizzato? Ha senso che esistano opere di musica popolare non-destinate alla popolazione? Come può esserci una relazione tra l’artista e il suo pubblico se l’artista estromette il suo pubblico dai frutti del proprio lavoro creativo? E via di questo passo. Oltre a questo, ci sono discorsi da fare sul tramonto dell’idea di “mercato musicale” e su questo infinito montare dell’idea di mecenatismo, su quali siano i confini etici dello spremere due milioni di dollari al ricco signore, sul perchè sia stato fatto proprio ora, in un momento storico in cui non si può più spremere facilmente un dollaro a due milioni di poveracci.

Poco importa quanti e quali siano i dibattiti potenziali legati a questa vicenda, in ogni caso: tutti i discorsi sono passati in cavalleria quando s’è scoperto che il misterioso riccone che s’è beccato il disco non è Quentin Tarantino o qualche anonimo rampollo di buonissima famiglia, ma nientemeno che Martin Shkreli. La storia sta tutta qua.

Martin Shkreli è un colosso della finanza statunitense, figlio prodigio d’immigrati a New York, che apre il suo primo hedge fund  intorno ai vent’anni e nel giro di dieci anni diventa un colosso dell’industria farmaceutica americana. Si tratta anche, incidentalmente, dell’uomo più odiato nell’America del 2015, per via di una scalata piuttosto assurda che ha visto la sua Turing Pharmaceuticals acquisire la licenza per il Daraprim (un farmaco contro la toxoplasmosi usato nella terapia contro l’AIDS), blindarne la distribuzione e alzare il prezzo da 13 a 750 dollari a dose. Nelle parole dei commentatori, tutto quello che c’è di sbagliato nel capitalismo moderno. Nelle parole dei cronisti musicali, un casino totale. A strettissimo giro si scopre che Shkreli è socio non-operativo di Collect Records, un’etichetta accacì fondata un lustro fa da Geoff Rickly, il cantante dei Thursday (dischi di gente tipo Nothing e Touché Amorè). La domanda è: come ti poni sapendo che il tuo disco è finanziato da uno che fa i soldi sui malati di AIDS? Buona domanda. Secondo Wiki Geoff Rickly ha conosciuto Shkreli in occasione dell’acquisto di quest’ultimo della chitarra usata dal primo per registrare Full Collapse. Prezzo: 10mila dollari. Domanda a margine: vendere una chitarra usata al quintuplo del suo valore è ok a patto che l’acquirente sia una bella persona? Vabbè. Sia quel che sia, la notizia ha scombussolato il mondo del punks per almeno venti minuti, il tempo che c’è voluto a qualche gruppo per preparare uno statement in cui si dissociano dall’etichetta e a Rickly di buttar fuori Shkreli dalla società.

La realtà empirica ama molto avventurarsi un passo o due oltre i nostri sogni più sfrenati: nel giro di due mosse Martin Shkreli è diventato il personaggio musicale più importante del 2015, quello che ha fatto più cose per riportare il germe dell’etica all’interno di un sistema musicale “alternativo” con la faccia come il culo. La sua sola esistenza sembra essere l’unica pillola avvelenata che è riuscita ad intridursi in un sistema di sfruttamento musicale (lo chiamano evoluzione) che ha fatto della sponsorship e della partnership la regola, a prescindere da quale casacca indossino quelli che escono il grano, e che al contempo è riuscito ad annullare anche solo l’idea che si possa scegliere a quali canali rivolgersi per essere a proprio agio con se stessi e la propria musica, riducendola ad una sega intellettuale da comunisti scoppiati. La proprietà del “disco più esclusivo della storia”, un album probabilmente buono realizzato da un gruppo di cui abbiamo quasi tutti un disco a casa, è in mano ad un probabile stronzo ed è stata pagata con soldi spremuti a dei probabili malati terminali. Le potenzialità di questa storia sono infinite: listening party del disco segreto del Wu Tang in qualche club, con i giornalisti che s’ammazzano per l’accredito; concessione pro bono del disco del Wu Tang alla campagna elettorale di Donald Trump; concessione di uno streaming gratuito su qualche piattaforma tipo NPR, Brooklyn Vegan o Pitchfork, e vedremo anche lì chi si fa avanti e chi si tira indietro. O ancor meglio, accettare che sia Shkreli a donare il disco al mondo, magari mettendolo personalmente in download, e anche lì sarà bello vedere chi rimarrà scandalizzato e chi s’ascolterà il disco senza pensarci troppo. Nel frattempo RZA s’è già affrettato a correre ai ripari ed informare la stampa che la transazione è avvenuta prima che Shkreli facesse la manfrina col Daraprim, e che molti dei soldi della transazione andranno comunque in beneficienza. Non che a qualcuno freghi un cazzo di vedere le ricevute dei versamenti.

4 thoughts on “Ricchi e poveri e straccioni e teste di minchia (e il disco rap più esclusivo della storia)”

  1. E’ una storia abbastanza interessante, questa.
    Il punto per me è sempre legato a quanto puoi sapere di quello che, volente o meno, finanzi quotidianamente.
    Ultimamente mi trovo spesso a legittimare il “non essere tenuto a saperlo”.
    Tempo fa era partita una campagna di boicottaggio (che potrebbe essere ancora in corso) a Barilla perchè il proprietario, a quanto pare uno scemo, se n’era uscito male contro i gay. Il discorso sarebbe sensato se tutti gli altri produttori di pasta avessero reso pubblico cosa pensano in merito. E potrebbero comunque essere dichiarazioni false. O ancora il signor Voiello, liberalissimo in tema coppie di fatto, potrebbe picchiare la moglie. Insomma, difficile essere sicuri di finanziare solo gente di cui si condivide l’etica o aziende di cui si è certi non abbiano scheletri nell’armadio.
    Quindi adesso tu mi hai sostanzialmente detto che il disco dei Touchè Amoré che ho comprato ha contribuito ad arricchire uno stronzo e la cosa mi crea disagio. Ora potrei non voler comprare il prossimo disco, ma in proporzione farei più danno alla band che non al tipo in questione. E la band non credo abbia poi un ruolo nella faccenda.
    E ancora, mi spingo, pure il tipo dei Thursday che vende a 10.000 euro la sua chitarra non è tenuto a sapere che chi la sta comprando è un farabutto e, tutto sommato, alzare 10.000 euro da uno che può permetterseli per una chitarra può avere tantissimi buoni motivi dietro, così come non averne, ma di certo non sarà semplice venirne a una leggendo in internet.
    Quindi non so, oltre al prendere atto di vivere in un mondo tutto sommato poco condivisibile e riflettere sul fatto che dove ci sono tanti soldi c’è sempre la pelle di qualcuno a fare da contorno, non credo si possa fare.
    A meno di volersi chiudere in una casa su un albero, isolati dalla società e vivendo di quel che offre il bosco.
    Volendo usare un certo metro di analisi, che poi mi pare prossimo a quello del post, siamo tutti collusi.
    E non è una giustificazione tipo tutti=nessuno, ma proprio il trovare sbagliato colpevolizzare chi non è tenuto a sapere le cose per via di un sistema che non è possibile combattere.
    Secondo me.

  2. Il tipo dei Thursday non ha fatto i soldi manco all’epoca dei dischi su Island e ora ha un lavoro “9 to 5” da comune mortale. Giusto per mettere la cosa in prospettiva.

  3. comprando il disco dei touche amore non hai contribuito ad arricchire uno stronzo. per due motivi: 1) ai livelli dei touche amore nessuno si ‘arrichisce”. 2) skhreli ha dato 1 milione di dollari a fondo perso a rickly. non ha mai richiesto una ricevuta, ne’ dei soldi indietro.
    di magnati come skhreli che finanziano la musica “indipendente” ce ne sono vari in america. anche un altra label abbastanza famosa e’ finanziati dai soldi del figlio di un boss della pepsi cola.

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